L’euro oggi vale meno di un dollaro e l’Europa, se non cambia qualche cosa, rischia di valere molto meno di quel che sognava.
Vi domandate perché mentre la guerra infuria e in Ucraina si contano i morti, noi ci occupiamo di come la burocrazia europea spenda i nostri soldi di contribuenti onesti? La risposta è semplice: perché mentre il continente è sull’orlo di un conflitto mondiale, la vecchia e cara Ue dimostra tutta la propria inettitudine. Gli Stati Uniti d’Europa sono – forse erano – un’idea meravigliosa: mettere insieme le forze di alcuni dei Paesi economicamente più progrediti per consentire a Bruxelles di avere un peso politico, economico e militare simile se non uguale a quello degli Stati Uniti d’America. O per lo meno questo era il disegno dei padri fondatori, i quali immaginavano un’alleanza fra Francia, Germania, Italia, Inghilterra e Spagna che avrebbe attirato anche altri. In pratica, dopo essersi fatti la guerra per secoli, le principali nazioni d’Europa provavano a mettersi insieme, condividendo Costituzione e, si sperava, ideali. Si è cominciato con l’economia, pensando che i soldi avrebbero messo d’accordo tutti, più dei principi. In realtà non è andata così, perché fin dalla nascita della Ceca, ossia della Comunità economica del carbone e dell’acciaio, primo abbozzo di Unione, si è capito che non era facile coniugare gli interessi siderurgici della Francia con quelli della Germania, per non parlare di quelli italiani. È finito male anche il secondo esperimento, ovvero di Euratom, l’organismo che avrebbe dovuto coordinare la politica energetica del vecchio continente, spostando la storica dipendenza dalle fonti energetiche da idrocarburi a quelle nucleari. In realtà ogni Paese è andato per la propria strada e se oggi ci ritroviamo il cappio al collo della Russia, che minaccia di chiudere il rubinetto che ci rifornisce di metano, è a causa delle scelte di alcuni decenni fa. Dopo le esperienze nel campo dell’energia e dell’acciaio, con la follia degli incentivi a chiudere le acciaierie (risultato: oggi, anche a seguito delle iniziative della magistratura contro l’Ilva, siamo costretti a importare acciaio e a strapagarlo perché i Paesi in via di sviluppo ne fanno incetta), è arrivata la moneta unica. E anche qui non è andata benissimo, perché il compromesso che ha consentito la nascita dell’euro e l’adozione di una valuta comune ha provocato sconquassi. Quelli registrati in Italia sono noti: appena introdotta la nuova moneta, abbiamo avuto un generale aumento dei prezzi, complice di certo la disattenzione della politica; di conseguenza, «l’inflazione da cambio valutario» ha provocato la perdita della tradizionale capacità commerciale dell’export italiano.
Se prima i nostri prodotti potevano fare concorrenza a quelli tedeschi, magari anche con l’aiutino della svalutazione, una volta messa in comune la moneta e allineati i valori delle merci, il giochetto non è più stato possibile. Così, a distanza di vent’anni, la Germania ha un surplus commerciale tra i primi al mondo e noi arranchiamo. Ma questo è solo uno dei fallimenti dell’idea comunitaria. Gli altri riguardano la mancata armonizzazione dei sistemi fiscali ed economici, oltre che l’assenza di una legislazione condivisa, di una politica estera collettiva e, come si vede ora, di un esercito europeo.
Se si guarda la situazione senza i pregiudizi pro o contro Bruxelles, gli Stati Uniti d’Europa continuano ad apparire un’idea meravigliosa, forse l’unica partorita nei quasi ottant’anni che sono seguiti alla Seconda guerra mondiale. Peccato che il progetto rimanga ampiamente irrealizzato e oggi, anche di fronte a quel che sta accadendo in Ucraina, ci rendiamo conto di far parte degli Stati disuniti d’Europa. Non è difficile cogliere le divisioni che segnano e paralizzano il vecchio continente ogni volta che si tratta di prendere una decisione. Tanto per cominciare, la Gran Bretagna si è chiamata fuori e oggi gioca da sola una partita che vorrebbe rimettere in piedi una specie di Commonwealth, guidato dal Regno Unito e con intorno un po’ di satelliti europei, iniziando dall’Ucraina per finire alla Polonia e agli ex membri della cortina di ferro. Poi c’è la Francia di Macron che, in assenza di leadership tedesca, ambisce ad assumere la guida dell’Unione. Quindi gli interessi della Germania, che però non è più condotta con mano ferma da Angela Merkel, ma da quella titubante di Olaf Scholz. A ruota seguiamo noi, con un premier di prestigio, ma che nessuno ha eletto e che i partiti, ormai lanciati in campagna elettorale per il prossimo rinnovo del Parlamento, sopportano a malapena. Seguono la Spagna, con lo scolorito Pedro Sánchez, l’Ungheria, con Viktor Orbán, la Finlandia, con Sanna Marin, l’Olanda, con il falco Mark Rutte, più altri, tutti con interessi particolari. Risultato, pressati dagli Stati Uniti d’America, gli Stati disuniti d’Europa si sono arruolati in una guerra a difesa dell’Ucraina con una certa riluttanza, armandosi più di parole che di strategie. Le divisioni sul gas e sul petrolio lo dimostrano, ma quelle sull’esercito europeo, le spese condivise, la politica estera non sono da meno.
Poi, a fare da contorno a tutto ciò, c’è il carrozzone di Bruxelles. Un finto Parlamento che finge di fare leggi, ben sapendo che non ha neppure il potere di indirizzo, in quanto le decisioni vere dovrebbero spettare alla Commissione europea, cioè a Ursula von der Leyen e compagnia. Scrivo «dovrebbero» perché in realtà l’ultima parola tocca ai premier dei singoli Stati, come abbiamo visto nel caso dell’embargo al petrolio russo. Di fatto, l’Europa non è un Paese come sono gli Stati Uniti, non ha un presidente riconosciuto, non è neppure una federazione, ma un’unione d’interessi e, ahinoi, come dimostra l’inchiesta di Antonio Rossitto, di sprechi. Non so se la guerra porterà con sé qualche riflessione che induca a cambiare, però ho la sensazione che il conflitto in Ucraina sia l’ultima occasione per mettere mano a un progetto che rischia di naufragare. Come abbiamo scritto le scorse settimane, l’euro oggi vale meno di un dollaro e l’Europa, se non cambia qualche cosa, rischia di valere molto meno di quel che sognava.
