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Banksy, l’insostenibile forza dell’assenza

Banksy, l’insostenibile forza dell’assenza

A Ferrara vanno in scena 130 opere del più famoso street artist del mondo. Che parla delle nostre passioni e contraddizioni. Ma lo fa negandosi alla fama.


«I più grandi crimini del mondo non sono commessi da persone che infrangono le regole, ma da persone che seguono le regole. Sono le persone che seguono gli ordini, che sganciano le bombe e massacrano i villaggi». Quest’affermazione, tra le più efficaci di Banksy, sembra un viatico per affrontare tempi in cui, pure con giustificazioni sanitarie, si è impressa una svolta autoritaria nella vita civile in gran parte del mondo.

Banksy non poteva immaginarlo ma Elon Musk, su posizioni opposte, nella logica di un capitalismo sfrenato, le ha interpretate con un invito alla disubbidienza rispetto a regole autoritarie che hanno arrestato la produzione industriale in molti Paesi del mondo. Musk ha invitato a disobbedire alle misure imposte («regole») dell’autorità dello Stato. Musk ha chiesto ai dipendenti di non rispettare la quarantena: «Se non volete venire al lavoro, potete stare a casa senza stipendio».

Banksy, con i suoi paradossi, è esposto ora a Ferrara, e le sue immagini semplici ci mostrano tutte le nostre contraddizioni, e anche le sue. Fuori delle istituzioni, fuori dai musei che lo cercano, ma lui si sottrae, o a cui si impone quando non lo vogliono, Banksy ha scelto di dipingere all’aperto, e non «en plein air», come gli impressionisti. Ma sui muri, come tutti i graffitisti, e senza autorizzazioni: «Un muro è un’arma molto potente, è la cosa più dura con cui puoi colpire qualcuno».

Così ha fatto ogni qual volta si è trovato davanti a un’emergenza: «Mi piace il fatto di far pensare di avere il fegato di far sentire la mia voce in forma anonima in una democrazia occidentale ed esigere cose in cui nessun altro crede come la pace, la giustizia e la libertà». Come la parte migliore di noi, Banksy difende i principi che hanno rappresentato la nostra romantica giovinezza contro la guerra, contro il capitalismo, l’autoritarismo, il militarismo, contro i muri. Eppure, inevitabilmente, com’è toccato ai dadaisti, a Piero Manzoni, subordinato al mercato. Anzi, complice.

Non è stato così ingenuo Andy Warhol che ha assecondato il capitalismo, rovesciandolo: così non è stato lui a far la pubblicità della Coca Cola, ma la Coca Cola a far la pubblicità di lui, con uno spettacolare rovesciamento. In un certo senso, lo razionalizza anche Banksy, che ha giocato con il mondo dell’arte (vedi il suo dipinto passato nel tritacarte e venduto da Sotheby’s) ma con una sconcertante consapevolezza; assurdo combattere il capitalismo per diventarne complici. Ed è anche inevitabile: «Non possiamo fare nulla per cambiare il mondo finché il capitalismo non si sgretola».

Nel frattempo, dovremmo andare tutti a fare acquisti per consolarci. Il mondo di Banksy, prigioniero come tutti noi, è un mondo di bambini che non contrastano le regole: semplicemente non le conoscono. Più di molti altri Banksy, le cui invenzioni sono originali, ha pressoché rinunciato al pezzo unico, in cambio di un’arte democratica, alla portata di tutti, dove le sue invenzioni sono prodotte in serigrafia su carta. È un genere popolare, poco più che un manifesto, ma del medesimo spirito. In questo, l’intuizione di Banksy si lega al mondo della comunicazione, di cui egli è uno dei grandi eroi del nostro tempo: mi riferisco a Love is in the air, conosciuta anche con il nome di «lanciatore di fiori».

Il montaggio è eloquente e, nell’immagine originale, il ragazzo in rivolta poteva lanciare sassi o bombe, non certo fiori. È evidente che Banksy cerca il nostro consenso, evoca la parte migliore di noi. Come resistere a una bambina sotto l’ombrello, per illustrare l’azione del devastante uragano Katrina a New Orleans, nel 2005? Come resistere alla celeberrima ragazza con il palloncino? E, in quel prevalere dell’emozione, cosa conta che sia un dipinto a olio o una serigrafia su carta? Un originale o una riproduzione? Un pezzo unico o un manifesto? Di un’immagine così vincente e commovente Banksy ha eseguito numerose versioni. Una volta, su un muro a lato di un ponte, nella zona di South Bank, Londra; un’altra volta nel quartiere londinese di Shoreditch, vicino alla stazione di Liverpool Street.

In tal modo l’opera di Banksy perde la sacralità, ma la trasferisce tutta al personaggio misterioso, irraggiungibile, di cui si parla per volontà dell’artista che ha favorito l’alone di mistero. Quanto alla versione della ragazza con il palloncino, apparsa a Shoreditch, sul muro di un negozio, i proprietari dell’esercizio proposero lo stacco dell’opera per venderla all’asta. Non l’autore rivendicò il suo diritto alla libertà, ma il popolo, che si sentì defraudato di un’opera, pure abusiva, disponibile come documento, aldilà della proprietà. L’indignazione popolare impose che l’opera non fosse rimossa, trattandosi di un’opera abusiva e collettiva.

Gianluca Marziani, curatore della mostra a Palazzo dei Diamanti a Ferrara dice, e con chiarezza, legittimando molte interpretazioni: «Banksy crea fenomeni di adorazione nascosta, simili alla passione del porno che pochissimi dichiarano ma che moltissimi perseguono. Mi piace considerarlo la miglior perversione praticabile del sistema artistico, un soggetto del desiderio che mescola istinto percettivo e pratica mediale, semplicità e complessità, alto superficiale e basso profondo. Banksy pratica un’arte dove lo spettatore aderisce alle contraddizioni, ai doppi/tripli sensi dei claim, all’ironia immancabile, al catastrofismo motivato, al cinismo ridanciano, ricordandoci che sarà una risata a seppellirci, e che forse dovremmo prenderci tutti meno sul serio. Ridere, ridere, ridere: restando umani».

Banksy è un punto molto avanzato di contraddizione, esiste di più non esistendo, non apparendo, essendo la maschera di se stesso. Il Banksy che conosciamo è la maschera di Banksy e, d’altra parte, esiste di più quanto meno appare. È lui a suggerirci: «Se vuoi dire qualcosa e vuoi che la gente ti ascolti, allora indossa una maschera. Se vuoi dire la verità, allora devi mentire». Analogo fu il mito di uno dei grandi scrittori americani che, dopo aver consegnato all’editore il suo capolavoro, Il giovane Holden, sparì, non incontrando più nessuno e non facendo circolare alcuna sua immagine: J.D. Salinger.

Il capolavoro di Banksy è la sua sparizione che si confà alle figure fuori dalla misura degli uomini: penso a Ettore Majorana, a Gino De Dominicis. Banksy è entrato in questa dimensione e interpreta un sentire di massa che vive, impotente, le sue stesse condizioni. Ma abbiamo chiuso la strada (il teatro di Banksy) in un museo, nel più bel palazzo del Rinascimento italiano, e lo abbiamo trattato come Raffaello. Gli abbiamo dato un vantaggio ma, al tempo stesso, con lui, nelle sale, abbiamo esposto anche i nostri pensieri. Anzi, non i pensieri, la parte migliore di noi che, probabilmente, non ci appartiene.

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