Con i suoi ritratti di artiste e giovani emancipate, l’Atelier Manassé è stato un crocevia artistico nella vienna tra gli anni Venti e Trenta del Novecento. Così lo stile déco interpreta con immagini straordinarie eleganza, ambiguità, erotismo.
Non ci poteva essere occasione più felice della mostra di Klimt e l’arte italiana per mostrare al mondo l’Atelier Manassé, la cui attività inizia quando termina quella del celebre pittore viennese. La condizione femminile, la moda, la danza, il teatro, il cinema segnano una continuità fra le due esperienze: quella pittorica e quella fotografica. Vienna era la città di musicisti quali Gustav Mahler e Arnold Schönberg. Sigmund Freud vi aveva pubblicato i suoi scritti sulla psicoanalisi, influenzando la fantasia accesa di un narratore come Arthur Schnitzler. Nel 1903 fu fondata la Wiener Werkstätte, società di arti applicate con l’architetto Josef Hoffmann, il pittore Kolo Moser, il banchiere e collezionista Fritz Wärndorfer.
L’idea nuova era far collaborare artisti e artigiani, i primi per concepire i progetti, i secondi per realizzarli: oggetti, mobili, gioielli, borse, vasi, fino alla rilegatura di libri e alla stampa di tessuti. In quegli anni si animavano la fotografia, il cinema, le riviste, e la notte la vita era nei club e cabaret, i nuovi centri della musica, della cultura e della moda. Usciti dalla Grande guerra, l’eccesso divenne la norma, nella ritrovata libertà, con inattese consapevolezze femminili. Le donne si esprimevano in piccoli gesti, come un taglio di capelli «alla maschietta», fumare, guidare o vestire da uomo, in nome di una reclamata parità sessuale. Iniziò allora una promiscuità e ambiguità anche nel vestire, sulla scia del movimento americano delle cosiddette flappers. Giovani ragazze disinibite.
In questo clima si afferma l’Atelier Manassé che fotografa attrici, ballerine e le fanciulle in fiore della borghesia viennese. L’Atelier fu fondato in Austria nel 1924 dai coniugi Olga Spolarics e Adorjan Wlassics e fu attivo fino al 1938. Le loro creazioni si distinsero attraverso uno stile di ammiccante erotismo nel clima surrealista, a metà strada tra avanguardia e porno-kitsch. I soggetti erano donne sexy e glamour, in pose eleganti e con costumi tardo-futuristici e stravaganti, per riprese fotografiche che venivano ritoccate attraverso tecniche artigianali. L’Atelier acquisì tanta fama che diventò di moda posare, oltre che per stelle del cinema, teatro e cabaret, anche per le donne della società elegante. Anticipatrici di quelle del più provinciale palcoscenico delle dive e dei divi italiani di Arturo Ghergo e Elio Luxardo, le fotografie di Manassé documentano la modernità e la stravaganza dei costumi.
Come era accaduto per Klimt nel 1910 con la Biennale di Venezia, è nel 1932, con la prima Biennale di arte fotografica a Roma, che si vedono in Italia le fotografie dell’Atelier Manassé registrate in questi termini: «Manassé di Vienna si è fatta una reputazione mondiale come ritrattista di grandi personalità mondane e artisti di nome. Qui lo troviamo però sotto altri aspetti, e certo non meno interessanti. Per esempio, la fotografia pubblicitaria per un prodotto medicale è di una efficacia straordinaria […]. Ma dove questo artista riesce a dare la scalata a cime di bellezza e sensibilità artistica non comuni, è […] nella mano di Cristo; una sola mano inchiodata sulla Croce, può dire un mondo infinito di cose. Di straordinaria bellezza e perfezione tecnica è ancora il nudo femminile con il “gong”, per quelle stesse qualità di morbidezza nelle ombre e trasparenza perlacea delle luci». Klimt agisce ancora in fotografie come quella dell’attrice Thyra Winge, e in immagini algide, di modernità sconvolgente, come quella del ballerino Fridi Grubbe. Eleganza, ambiguità, erotismo, connotano le fotografie di queste dive e divi nelle posizioni più seduttive ed ammiccanti, come nel caso dell’attrice Lil Dagover.
Nulla sembra impossibile per l’obiettivo di Manassé, fino all’interpretazione di un sonetto shakespeariano nell’invenzione de Il mio tesoro, secondo lo schema lillipuziano adottato anche ne Il mio gattino: «Con che animo, partendo, li ho rinchiusi, / i miei ninnoli, e con che serrature, / per trovarli, inusati, al mio solo uso, / da mani d’altri, cupide, al sicuro. / Ma tu che rendi men che nulla questi / gioielli se ti mostri, tu mio primo / conforto e ora mio cruccio, preda resti / d’ogni furfante che ti s’avvicina. / Non t’ho messo in alcuno scrigno, fuori / di quello in cui non sei, ben ch’io ti senta / qui pure: nell’asilo del mio cuore / dove tu giungi e parti a tuo talento. / Per essermi rubato, poi: se avviene / ch’è ladra anche virtù con un tal bene». Lo stesso spirito è in quello scrigno che contiene e nasconde l’amata ignuda.
Parallelamente alla produzione dei ritratti di attori e attrici, i coniugi ungheresi si specializzano nel nudo femminile. I corpi sono sempre ritratti in pose studiate e a essi sono giustapposti elementi scenografici, spesso insoliti, e costumi di scena. Creano accostamenti evocativi e suggestivi, in linea con il gusto glamour della capitale austriaca negli anni Venti. Non mancano le immagini costruite attraverso raffinati fotomontaggi e accuratissimi ritocchi per creare effetti surreali. Le fotografie Manassé sono spesso evocative di una femminilità misteriosa e fatale, ma non mancano i toni ironici e surreali vicini alle sperimentazioni visive delle avanguardie che si andavano affermando, in quegli anni, in tutta l’Europa. L’ironia guida composizioni come Omicidio? No! È solo un manichino caduto. Il virtuosismo materico conduce a esiti come Scultura in bronzo (la ballerina Teresa Paoly). Lo stile déco trova nell’Atelier Manassé un’espressione fotografica irripetibile.
Notevole è la sezione su Seduzione e nuova femminilità, una serie di inarrivabile e sempre ammiccante invenzione. Alcuni studi sono tra le prove più moderne dell’intera produzione. Un’altra notevole sezione è quella dedicata a Moda e lifestyle, in creazioni sorprendenti e ancora una volta klimtiane, come Costumi di fantasia dalla rivista «Gruss und Kuss» al Deutsche Theatre München, o il ritratto dell’attrice Maly Podszuck. Sorprendenti i «doppi» attraverso lo specchio per evidenziare le acconciature alla moda. Sarà difficile trovare una più felice corrispondenza tra arte e fotografia, come in queste mostre di Klimt e Manassé nella stagione più fertile del Mart di Rovereto.
