Le onoreficenze ricevute dalla Repubblica e una politica aziendale proiettata all’estero che invece non rispetta il Paese. La propaganda sulla dinastia industriale e le guerre cruente sul tesoro di famiglia. È un doppio, ambiguo binario quello su cui John Elkann si muove da sempre. La magistratura che ora indaga può fare chiarezza sui segreti dell’erede di casa Agnelli.
Il benemerito Cavaliere del Lavoro (tolto all’Italia e portato all’estero) John Philip Jacob Elkann, nominato nel maggio 2021 da Sergio Mattarella e Giancarlo Giorgetti, aveva un cruccio (oltre a essere inorridito per aver ricevuto l’onorificenza insieme a un suo «fornitore», che egli considera ben al di sotto del proprio rango anche se si tratta di Giampiero Fedele, un geniale imprenditore bresciano che ha lanciato Lasim, produttrice di componenti d’avanguardia per l’automotive). La scheda del Quirinale su John recitava: «Nell’ultimo decennio, sotto la sua presidenza, il Gruppo Fiat-Stellantis ha realizzato in Italia investimenti superiori a 10 miliardi di euro per la produzione di nuovi modelli». Forse si sono distratti quando parlano di «nuovi modelli» anche perché sembra che parlino di un mecenate e filantropo, di una sorta di «arcitaliano», termine che piace molto a John. Ed ecco il suo cruccio.
Peccato che quella definizione fosse già stata usata da Giordano Bruno Guerri per definire un personaggio di ben altra levatura, Curzio Malaparte, autore della famosa frase dedicata al trisnonno di John, il senatore (nominato dal duce) Giovanni Agnelli che lo aveva licenziato dalla Stampa: «Meglio vivere un giorno da leoni che cento anni da Agnelli» (al punto che a Torino nella sede del giornale, con il consueto charme condito di autocensura, non hanno mai appeso la foto di Curzio nella galleria degli ex-direttori).
In compenso, però, è rimasta vacante per John la definizione «antitaliano». Egli, da tempo, se la sta meritando compiutamente. Ci si riferisce alla «fuga» all’estero delle società della Casa con relativa produzione, di cancellazione sostanziale dei marchi Fiat o Alfa Romeo ormai francesi, del lavoro di cui sono stati privati migliaia di operai e impiegati, di evasioni fiscali da parte di nonno e nonna, del fatto che abbia avuto tonnellate di denaro in nero nascoste dall’Avvocato nei paradisi fiscali. Senza dimenticare che ormai parla con la madre solo tramite avvocati, del voluto e mancato rispetto da parte sua per 17 anni delle leggi sul Registro delle Imprese (allo scopo di non consegnare i documenti della segretissima holding Dicembre, che sono ancora da regolarizzare poiché privi dell’attestazione «copia conforme all’originale», vero notaio Morone?).
Tutti questi aspetti sono stati ignorati dal Quirinale e dal ministro leghista che hanno ricevuto giorni fa il «loro» Cavaliere, senza tener conto anche di altri comportamenti poco edificanti in direzione opposta soprattutto agli interessi del Paese i cui cittadini hanno gratificato la sua famiglia con vagonate di denaro. Ricevendo in cambio, anziché la creazione di posti di lavoro o una condotta imprenditoriale degna di tal nome, il trasferimento di quel denaro pubblico all’estero al fine di non pagare le tasse.
L’«antitaliano» John recentemente ha fatto sapere che per poco tempo ancora forse si degnerà di vivere in un Paese che non ha mai considerato suo (nonostante abbia fatto costruire un villone-cattedrale deturpando senza ritegno, nel silenzio dei sedicenti ecologisti e paesaggisti, la collina di Torino per poter contare anche su tre piani sotterranei) dato che la principessa Lavinia Borromeo, sua moglie, da tempo vuole trasferirsi a Parigi. A Torino lamenta di sentirsi circondata «da tanta ostilità», ha una sola amica (Alena Seredova Nasi ex-Buffon) e ciò ha creato sconcerto in tante madamine che aspiravano all’invito almeno per un tè (il vuoto lasciato da Marida Recchi è purtroppo incolmabile e la collezionista d’arte Patrizia Sandretto Re Rebaudengo proprio non ce la fa a meritare di occuparlo, per non parlare della dirigente sportiva e d’azienda Evelina Christillin). A frenare il trasloco di Lavinia sono soprattutto i due figli maschi, 18 e 17 anni, presi dalla passione per la Juventus (prima o poi Max Allegri li farà esordire in serie A?) di cui indossano con orgoglio la maglia delle squadre giovanili (compresa Vita Talita, 12 anni, che gioca nella Juventus Women).
Chissà come sono stati felici Mattarella e Giorgetti – che evidentemente non lo considerano «antitaliano» – dopo aver ricevuto il Cavalier Elkann ai primi di febbraio, facendogli da spalla per mettere in atto una grave scorrettezza istituzionale poiché hanno «scavalcato» la premier Giorgia Meloni impegnata in Giappone e hanno indirettamente messo in dubbio la contrarietà del premier ad aprire ancora il portafogli per finanziare chi, come Elkann, porta via il lavoro dall’Italia a favore di Polonia, Serbia, Marocco, Algeria, Spagna, Turchia. A parte un minimo di condivisione con la posizione legittima di Meloni, possibile che capo dello Stato e ministro non fossero stati informati dai loro staff (o lo sapevano bene?) che il «cavaliere del lavoro» era stato iscritto nel registro degli indagati della Procura di Torino per concorso in frode fiscale (con il suo commercialista Gianluca Ferrero e l’esecutore testamentario di sua nonna Marella, il notaio svizzero Urs von Grüningen di Gstaad)? E non hanno provato imbarazzo anche il comandante generale dei Carabinieri e il Governatore della Banca d’Italia i quali dovrebbero sapere, specie il primo, che non sta bene incontrare un indagato? Se il generale ancora non sapeva, John ha forse tratto tutti «in inganno» tenendoli all’oscuro della sua macchia allo scopo di mostrare pubblicamente su quali protezioni e coperture può contare (compreso l’ambasciatore Usa in Italia), oltre al silenzio dei suoi giornali? Comunque sia, John l’«antitaliano» finalmente per una volta è riuscito a raggiungere l’inarrivabile Nonno che aveva subito l’onta di essere indagato solo in tempi lontani: nel 1983 sulle importazioni di auto dal Brasile e nel 1989 sugli infortuni fantasma nelle sale mediche aziendali. In seguito, a salvare «Manitou» Agnelli, ai tempi di Tangentopoli, era stato l’avvocato Vittorio Chiusano.
Dopo tanti anni, ora sembra che, finalmente, ci sia «un giudice a Torino» oltreché a Berlino. Lo ha dimostrato anche l’inchiesta sulla Juventus e su Andrea Agnelli (e anche lì, John Elkann non poteva non sapere e dovrebbe essere oggetto di un’azione di responsabilità dato che la sua Exor, la controllante della Juve, ha ricapitalizzato il club per 700 milioni in quattro anni…). Tuttavia, c’è da temere che i «furbetti del Lingottino» (copyright Dagospia, dicembre 2010) la faranno franca poiché c’è ancora qualcuno convinto che l’impunità riservata a Gianni Agnelli esista ancora.
Non sembrano essere dello stesso parere i magistrati cui il fascicolo su John è affidato: il procuratore aggiunto Marco Gianoglio e i pm Mario Bendoni e Giulia Marchetti. Negli atti hanno trovato la singolare tesi offensivamente sarcastica degli avvocati di John, Luca Re ed Eugenio Barcellona: per sminuire le tesi di Margherita Agnelli sul fatto di essere stata «derubata» di una grossa fetta di eredità del padre, hanno scritto che l’esistenza del patrimonio estero di Gianni Agnelli sarebbe un segreto di Pulcinella e non una scoperta straordinaria. Un patrimonio, aggiungono senza vergogna, «che non era stato dichiarato al fisco italiano»: «Quali fossero le ragioni di questa mancata dichiarazione… non è affatto rilevante in questa sede». Il che fa capire quanto si sia – ahimé – lontani dalla finezza giuridica di Vittorio Chiusano ai tempi di Tangentopoli con il suo «Agnelli poteva non sapere» e con la sua tesi confermata dalla Cassazione: la competenza territoriale «non appartiene al luogo in cui le tangenti sono state pagate, ma al luogo dove la società ha la sede principale», cioè Torino e non il pool di Milano…
Che c’azzecca che tutti sapevano del tesoro all’estero di Agnelli? Ora interessa sapere perché non è stato fatto nulla e chi si è reso complice della spartizione di quel «bottino». Un altro segreto di Pulcinella è che la residenza di Marella in Svizzera fosse notoriamente fasulla. Il 16 maggio 2003 Gianluca Ferrero scrive il Memorandum con l’elenco dei beni in Italia del defunto Gianni Agnelli. Dopo aver elencato le 12 Panda (più due Fiorini, 7 ciclomotori Piaggio e tre trattori), le due barche (Stealth e F100), il costo del progetto Tulip (32,7 milioni di euro per un gigantesco yacht in costruzione a Brema), la polizza di assicurazione di 154 mila euro pagata dal Senato, Ferrero è angustiato da due problemi: a chi intestare i domestici e i cani. Esiste il rischio che se venissero presi in carico da Marella verrebbe a galla la sua fasulla residenza in Svizzera poiché è impensabile che la vedova possa rinunciare ai suoi amati husky per 181 giorni all’anno, e che faccia a meno dei suoi adorati giardinieri (e di una ventina di altri collaboratori) per altrettanto tempo. La soluzione, indicata da Ferrero, è questa: «Tutti i restanti domestici sono stati provvisoriamente intestati all’ing. Elkann. Essendo la sig.ra Caracciolo cittadina italiana residente all’estero (….) si è ritenuto, sentiti anche più pareri, di non sovraccaricare la sua posizione italiana con l’assunzione di circa 15 domestici rendendo così un domani, se richiesta, molto complessa la possibilità di provare la propria residenza estera». «Ugualmente» conclude Ferrero «è stato consigliato di intestare i vari cani di proprietà dell’Avvocato ad un residente italiano». Vuoi vedere che si trattava proprio del Cavalier John?
Ci sono due altri episodi che Elkann non ha mai spiegato. Il primo riguarda le famose società estere. L’ex avvocato di Margherita, il controverso Emanuele Gamna, venne interrogato il 27 marzo 2010 dai pm Eugenio Fusco e Gaetano Ruta di Milano sull’origine delle somme servite per liquidare la figlia di Agnelli a fronte del famoso accordo con la madre del 2004. Gamna disse che quel denaro derivava dalla liquidazione dei trust che nel tempo erano confluiti nella Fondazione Alkyone di Vaduz. «Ed è alla struttura e alla composizione di questi trust» scrivono i pm che John Elkann avrebbe fatto riferimento asserendo testualmente, così come riferito dall’avv. Gamna, «non vi daremo mai quelle società e i loro conti perché voi non dovete vedere le operazioni che vi sono passate».
Che cosa voleva mandare a dire a sua madre con queste parole il giovanotto (allora 27enne) che formalmente non era nemmeno parte in causa in quella vicenda? E perché i due magistrati non lo hanno convocato affinché dettagliasse meglio il concetto? Quali operazioni erano passate per quelle società off-shore e non si dovevano «vedere»? Sarebbe bene che i pm torinesi colmassero adesso le gravi lacune esistenti nei sei faldoni di quel procedimento penale 26961/09.
