Giuliano Macca crea figure che sembrano muoversi tra le nuvole, corpi innocenti dagli sguardi colpevoli, perché la vera bellezza è tremenda… E sono state dipinte nei mesi della nostra «reclusione».
C’è un limbo dove stanno esseri che ci assomigliano ma non hanno raggiunto la vita, non hanno conosciuto il bene e il male, non hanno peccato. Sono i concepiti e i non nati, gli innocenti per l’impossibilità della colpa, o forse sono i bambini, morti senza aver conosciuto il male, lasciandoci il loro sorriso.
Gli angeli, no; gli angeli sono imbronciati, solitari, e non condividono né il male, né il bene, né il tempo. Stanno in uno spazio che è solo loro, e si mostrano assai raramente. Hanno bisogno di intermediari, di interpreti, di testimoni. Per stabilire un rapporto con noi.
Sono soli gli angeli o siamo soli noi? L’angelo, nel suo destino, ci accompagna, l’angelo, senza mostrarsi, ci sta vicino, l’angelo è custode. Non può essere solo perché ci cerca. È lui a cercare noi. Non ci vuole lasciare soli. Non ci è dato vederlo, ma lo sentiamo. Gli angeli ci parlano.
Li ha avvistati più intensamente di tutti, nell’aria tagliente di Duino, sul golfo di Trieste, il poeta tedesco Rainer Maria Rilke, in una terrazza davanti al mare. Dovevano passare di lì, alla ricerca di anime incustodite. Scrive così nelle sue Elegie duinesi: «Ma chi, se gridassi, mi udrebbe, dalle schiere / degli Angeli? E se anche un Angelo a un tratto / mi stringesse al suo cuore, la sua essenza più forte /mi farebbe morire. Perché il bello non è /che il tremendo al suo inizio, noi lo possiamo reggere / ancora, / lo ammiriamo anche tanto, perch’esso, calmo, sdegna distruggerci. Degli Angeli ciascuno è tremendo».
Apprendiamo così che «il bello non è che il tremendo nel suo inizio». Una considerazione difficile per chi voglia considerare il bello consolatorio; ma, nella bellezza, c’è anche la paura, la sorpresa. La bellezza fa tremare, è un’emozione intensa e rara: tremendo vale come stupendo, e terrifico vale come fantastico.
Deve essere questo tremore di felicità che danno gli angeli al loro apparire. Il tremendo è ciò che ci fa «tremare» d’amore e d’angoscia. Lo troviamo anche nei versi di Sergio Corazzini, in Desolazione del povero poeta sentimentale, ai primi del Novecento: «Io voglio morire, solamente, perché sono stanco; / solamente perché i grandi angioli / su le vetrate delle cattedrali / mi fanno tremare d’amore e d’angoscia; /solamente perché, io sono, oramai, / rassegnato come uno specchio».
Anche qui gli angeli, e coetanei di quelli di Rilke, se mai gli angeli hanno un tempo. Non sappiamo come siano, che volto abbiano, ma li ritroviamo oggi nelle allucinazioni di Giuliano Macca. Corpi che sembrano muoversi fra le nuvole, plasmati come le statue severe del Tempio di Egina, nitide e semplici, corpi innocenti e sguardi colpevoli. Macca sembra inseguire in quei volti l’ombra del peccato. La consapevolezza dell’innocenza perduta. Gli angeli sono sempre sul punto di scomparire.
La nostalgia della forma chiede alibi, finzioni. Si tratta della conferma di una pittura sfigurativa, per una legge del contrappasso negli artisti migliori, più dotati. Lo vediamo in Lino Frongia, che rovescia in negativo la sua perfezione formale fino ad assorbirla nel nero, solarizzando l’immagine. Lo vediamo in Nicola Samorì, che riproduce la pittura degli antichi per poi devastarla.
Lo ritroviamo appunto in Macca, che annuvola i corpi in un liquido amniotico, restituendo le creature alla cavità uterina. Forse anche questi sono gli angeli: gli esseri non nati, i feti, o i corpi regrediti alla condizione fetale.
Dunque gli angeli sono nello spazio incerto tra l’essere e il non essere, tra l’esistere e lo svaporare. Dietro il velo le forme si confrontano, i corpi si combattono, gli amanti si abbracciano. Ricordate i volti di Francis Bacon? La pittura di Macca li evoca. I corpi di Macca aspirano, «Tendono alla chiarità le cose oscure, / si esauriscono i corpi in un fluire / di tinte: queste in musiche. Svanire / è dunque la ventura delle venture». Eugenio Montale scriveva questi versi negli Ossi di seppia. Per Macca, il suo angelo.
