La cronaca nera che coinvolge esponenti delle istituzioni. Le relazioni extraconiugali e le passioni «non conformi» alla morale… Alcuni episodi della nostra storia non remota in cui il privato è diventato, drammaticamente, pubblico. E ha anche orientato il potere.
Il 9 aprile 1953, le attenzioni della cronaca si concentravano sulla spiaggia di Torvaianica, litorale romano, dove venne trovato il cadavere di Wilma Montesi. Una ragazza che – pur non appariscente – mostrava la freschezza dei suoi 21 anni appena compiuti. L’autopsia dimostrò che non aveva «conosciuto» uomini ma le indagini del Ris (che, allora, erano quelle che erano) non furono in grado di aggiungere altre certezze. Delitto? Suicidio? Disgrazia?
Londra stava ancora festeggiando l’incoronazione della regina Elisabetta. Anche se i tabloid indugiavano nei racconti scabrosi che riguardavano John Christie che attirava le donne nella sua casa, a Notting Hill, per ammazzarle e seppellirle sotto il pavimento. La Russia aveva fatto conoscenza con Nikita Krusciov, un signore di 59 anni al quale, fino a quel momento, nessuno aveva badato tanto erano grigi i suoi contorni umani. Erano morti la pedagogista Maria Montessori, il filosofo Benedetto Croce ed Edwige Mussolini, sorella minore del Duce.
Per il «caso di Torvaianica» fu Annamaria Moneta Caglio a indirizzare gli inquirenti nell’abitazione del marchese Ugo Montagna. La supertestimone (che nei resoconti firmati da Camilla Cederna diventò «il cigno nero») giurò che Wilma Montesi era morta là, a causa di un cocktail di stupefacenti. Prove non ne esistevano e indizi nemmeno, tanto che al processo vennero tutti quanti assolti, ma le conseguenze politiche risultarono potenti.
Fra gli invitati a quel famoso festino sembra ci fosse anche Piero Piccioni, jazzista di discreto talento, figlio di Attilio, esponente democristiano e, allora, ministro degli Esteri che, per colpa dello scandalo che lambiva la sua famiglia, dovette rinunciare all’incarico di presidente del Consiglio e, di fatto, dire addio alla politica attiva.
Tempi «bacchettoni» – si direbbe – vissuti sotto la dittatura del pettegolezzo. Il gossip non era ancora un genere giornalistico e le riviste (anche quelle cosiddette scandalistiche) si muovevano con estrema cautela, limitandosi a inseguire le notti di cantanti e attricette. Eppure il detto-non-detto, in circolazione nei corridoi, aveva il valore di una sentenza della Cassazione cui vip e politici di prima fila dovevano tenere conto.
Nel 1953 gli italiani erano andati alle urne per il rinnovo del Parlamento con una nuova legge elettorale che prevedeva un premio di maggioranza per la coalizione che avesse raggiunto il 50 per cento dei suffragi. I partiti della sinistra – comunisti in prima fila – la ribattezzarono «legge truffa» che non ebbe modo di essere applicata perché la Democrazia cristiana con gli alleati arrivò a sfiorare l’obiettivo fermandosi al 49,8 per cento alla Camera e, al Senato, leggermente meno, con il 48,4. Alla vittoria venne attribuito il valore della sconfitta e le colpe finirono tutte in capo ad Alcide De Gasperi che riuscì a formare un governo destinato a durare 32 giorni. Con la definizione esplicita «di transizione», il biellese Giuseppe Pella formò un nuovo dicastero ma, alla fine di quell’anno, terminato il periodo dell’emergenza istituzionale, si trovò impallinato dal Parlamento.
Con un terzo tentativo venne mandato in campo Amintore Fanfani ma non superò lo scoglio della fiducia e fu costretto a lasciare il campo a Mario Scelba. Questa volta il governo ottenne la fiducia ma la sua vita non fu meno problematica. A strappi, si succedettero i governi di Antonio Segni, futuro presidente della Repubblica, di Adone Zoli e – ancora – Fanfani.
Alla fine, toccò a Fernando Tambroni che confidò in Scelba, affidandogli il ministero degli Interni che, in quei tempi, risultava di gran lunga il dicastero più importante. E qui s’inserisce un’altra storia di amori e di lenzuola che cambiarono – forse sensibilmente – la storia politica dell’Italia che si riprendeva dopo la guerra.
Tambroni tentò di interpretare l’anima più conservatrice del Paese. Il personaggio veniva da un passato abbastanza ambiguo: in gioventù era stato iscritto al Partito Popolare (antesignano della Dc) ma, con l’avvento del fascismo, non fu alieno dal mostrarsi in camicia nera e si riconvertì alla democrazia solo quando finì il Ventennio. Con l’atteggiamento del saltimbanco accettò i voti dei missini (partito di destra accusato di essere erede morale del fascismo) e tentò di resistere a dispetto di una frotta di franchi tiratori del suo stesso schieramento.
Pensò di spaccare in due la Dc andandosene con i deputati più conservatori e i voti di coloro che li avevano portati in Parlamento. Se il progetto abortì lo si deve appunto alle chiacchiere per una relazione extraconiugale. Le foto di Tambroni con Sylva Koscina, attrice d’origine croata che, allora, incarnava l’immagine del sex symbol, gli fecero accantonare la voglia di scissione. Allo stesso modo la pensò anche Scelba che era parte attiva del progetto, ma anche lui ricevette immagini che lo ritraevano con una ragazza. Niente di compromettente e, quasi di sicuro, frutto di un fotomontaggio. Ma l’eventualità di doversi giustificare per questioni sentimental-sessuali lo convinsero a rinunciare alle iniziative politiche.
L’indagine sul rapporto fra politica e lenzuola porta su terreni scivolosi che corrono il rischio di sfociare nel moralismo o di risolversi nel morboso. Adesso, le storie piccanti o le relazioni più consistenti appaiono in tempo reale sul web. Per un verso ogni tentativo di assicurarsi un briciolo di privacy risulta inefficace e, per l’altro, il richiamo a simbologie sessuali diventa un marchio da esibire: così Umberto Bossi è stato orgoglioso di vantare un partito che «ce l’aveva duro».
Al tempo della prima Repubblica tutto era più morbido. Nel senso che il privato non diventava automaticamente pubblico, tuttavia non restava nemmeno nell’ambito delle singole persone. Al presidente dell’Assemblea Costituente, Umberto Terracini, comunista, i comunisti non perdonarono la relazione con Laura, donna già sposata e perciò «irregolare». Teresa Noce, compagna di Luigi Longo, altro Pci a 18 carati, seppe dai giornali di aver chiesto e ottenuto l’annullamento del matrimonio. E deve essere stato umiliante per Nilde Iotti e Palmiro Togliatti, «il Migliore» del Partito comunista, nascondersi in una mansarda di via Botteghe Oscure.
Negli anni Cinquanta, fece scalpore anche la vicenda di un altro esponente della sinistra dura e pura: Giuseppe Sotgiu, avvocato, presidente della Provincia di Roma e fama di «moralizzatore dei costumi». Scoprirono che accompagnava la moglie nei bordelli per farla incontrare (a pagamento) con un gigolò in modo da assistere alle loro esibizioni erotiche. I giornali li battezzarono «proletari dell’amore». Sotgiu venne trascinato in tribunale con l’accusa di favoreggiamento della prostituzione ma venne assolto. Più inflessibili dei magistrati, i compagni di partito che lo costrinsero a dimettersi dal Pci e ad abbandonare la politica.
Questa politica un po’ Beautiful e un po’ Sex and the City non sempre è apparsa convincente. Valentino Parlato consigliò di «tornare alla lotta di classe e ai rapporti di produzione» lasciando perdere i pruriti erotico-amorosi. Più di recente, il presidente della Regione Toscana Claudio Martini, uomo di sinistra quando il Pci era già diventato Ds, ha potuto lamentarsi – dignitosamente – dell’ingombrante amore decennale con un’affascinante signora che, con il poco tempo che avevano per amarsi, lo costringeva alla meditazione yoga. Mentre il «verde» Pecoraro Scanio, ha ammiccato alla sua bisessualità sostenendo che chi si contenta di lui o di lei si autolimita.
Certo, il sesso è stato utilizzato spesso come arma di pressione e, qualche volta, di ricatto. Nel corso di un’audizione alla Commissione stragi, l’allora capo dell’Ufficio «D» Gianadelio Maletti dichiarò che il suo servizio aveva fotografato «un giovane in tenuta adamitica» sulla terrazza dell’attico di un presidente del Consiglio «notoriamente omosessuale».
Immaginarono che si trattasse di Emilio Colombo che, infatti, venne escluso dai papabili per la presidenza della Repubblica. Una conferma indiretta verrebbe dal profilo Facebook del politico e giornalista Mario Adinolfi che scrisse di aver evitato «un approccio molto pesante» proprio da Emilio Colombo e di esserne sfuggito «non senza fatica». Ecco che il privato è diventato definitivamente politico. Oggi pure con decise oscillazioni di stile.
Si pensi alla disavventura di «trading on line» che ha coinvolto José Carlos Alvarez Aguila, già fidanzato di Rocco Casalino, il portavoce dell’attuale premier. Quest’ultimo sostiene che il 30enne ex compagno abbia perduto 18 mila euro su siti di compravendita di titoli azionari. Invece, secondo il quotidiano La Verità che ha scoperto la vicenda, sul conto corrente sarebbero stati movimentati 150 mila euro. I conti in politica, che si tratti di sesso o di soldi, non tornano mai.
