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I rifiuti in maschera uccidono la natura

I rifiuti in maschera 
uccidono la natura

Stiamo disperdendo nell’ambiente milioni di tonnellate di protezioni anti-Covid. Molti animali vi restano intrappolati o le ingeriscono. Con conseguenze letali.


Mentre si discute di ingenti investimenti sull’ambiente, ecco un autentico disastro ecologico che si potrebbe evitare con piccoli gesti quotidiani. I numeri e gli aneddoti che seguono diranno se l’affermazione precedente è esagerata. La questione riguarda i vari dispositivi di protezione contro il Covid-19 che per negligenza, distrazione o sfrontata noncuranza vengono abbandonati nell’ambiente.

Secondo l’Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale), nel 2020 in Italia i rifiuti costituiti da mascherine ammontano a una cifra tra 160 mila e 440 mila tonnellate. La stima per difetto, considerato che una mascherina pesa 3-5 grammi, e ipotizzando che solo l’1 per cento del totale sia disperso nell’ambiente, dice che ogni mese sono circa tre milioni quelle che finiscono nelle strade, nei prati, nei fiumi e, prima o poi, in mare, come probabilmente avremo modo di notare l’estate prossima. E questa senza considerare altri dispositivi di protezione come guanti e occhiali.

Veniamo invece ai dati certi che provengono da una letteratura scientifica sul problema che ormai è matura. Dice il Peterson Institute for International Economics che la Cina, il più grande esportatore di dispositivi di protezione, ha aumentato in un solo mese la produzione di mascherine del 450 per cento. Il quantitativo usato in un mese su scala mondiale è, secondo calcoli della rivista Environmental Science & Technology, 129 miliardi, quello dei guanti 65 miliardi.

Altri dispositivi in plastica hanno numeri simili. Anche in questo caso, con l’ipotesi ottimistica, e irrealistica, che appena l’1 per cento non venga regolarmente smaltito, otteniamo un numero spaventoso: un miliardo e 290 milioni di mascherine che finiscono nell’ambiente ogni mese, a livello mondiale. Ai quali aggiungere gli altri dispositivi in plastica.

La Conservation marine society ha organizzato una raccolta di rifiuti nei litorali inglesi in 459 siti, con 2.124 volontari. Ogni 100 metri di spiaggia sono stati trovati in media 425 rifiuti singoli, di cui il 69 per cento guanti o mascherine. Tutto alla fine finisce nelle spiagge e in mare. Uno studio appena uscito su Animal Biology basa le sue conclusioni sull’analisi di fotografie da tutto il mondo presenti su internet. Solo in Olanda, nei mesi di maggio e giugno 2020, sono state scattate e messe in rete 6.347 foto di guanti e mascherine buttate nei mezzi di trasporto, nei canali di Amsterdam, vicino ai supermercati e in luoghi frequentati dagli animali, come i parchi.

Uno dei ricercatori olandesi di quest’indagine, Auke-Florian Hiemstra dice: «Ciò che ci ha spinto ad approfondire il problema sono stati i resoconti dei volontari che raccoglievano rifiuti di dispositivi di protezione. Nei canali di Leida, in Olanda, hanno trovato piccoli pesci intrappolati in guanti in lattice, sugli alberi mascherine e guanti dentro i nidi degli uccelli. Così abbiamo studiato queste storie arricchendole con altre da tutto il mondo, attraverso un’indagine delle fotografie che comparivano da ricerche su Google Image o con “hashtag” su Twitter, Facebook e Instagram. Noi stessi abbiamo contato 100 rifiuti Covid settimanali per tratto di canale».

Dallo studio emerge che il pesce persico tende a restare imprigionato nei guanti; che folaghe e gallinelle d’acqua (diffuse in Lombardia) utilizzano mascherine per i loro nidi; che in un’area residenziale di Varsavia diversi passeri si sono costruiti il nido con quelle chirurgiche; che nella cittadina di Chilliwack, in Canada, un pettirosso è rimasto strozzato da una mascherina.

E poi ci sono le testimonianze di un gabbiano con le zampe immobilizzate da una mascherina a Chelmsford, nella contea di Essex, in Inghilterra; e di un falco con un guanto attorcigliato negli artigli. L’Italia compare con la storia di un cigno nel lago di Bracciano che aveva diverse mascherine chirurgiche impigliate attorno al becco e quella di un’anatra selvatica che ne aveva una per collana.

Dai pipistrelli, ai porcospini dai polipi ai granchi, nello studio di Animal Biology sono finite innumerevoli specie, con tanti esemplari che hanno ingerito pezzi di guanti o lacci. «Episodi simili portano a soffocamento, annegamento, infezioni» dice Hiemstra. «Le conseguenze sugli animali sono tutte da studiare».

Una mascherina di una persona anche se non infetta ha un’alta probabilità di contenere virus di Covid-19 nella parte esterna. Proprio per questo non può essere trattata come un rifiuto qualunque, soprattutto a scopo precauzionale: se alcuni animali non contribuiscono alla diffusione dell’epidemia, per esempio quelli domestici, altri – come tassi, donnole, faine, puzzole – contraggono la malattia, e di altri ancora si sa poco.

Alcuni comuni italiani hanno equiparato l’abbandono dei dispositivi Covid a quello di «rifiuti pericolosi», con multe da 600 a 6 mila euro. Ma, a differenza di altri Paesi, in Italia buttare un rifiuto per strada viene troppo spesso tollerato.

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