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L’arma vincente non esiste, ma di cancro non moriremo più

L’arma vincente non esiste, ma di cancro non moriremo più

È un nemico formidabile. Ma possiamo vincerlo, o tenerlo sotto controllo, senza soccombere. Lo assicura un oncologo d’eccellenza, Pier Paolo Di Fiore, nel suo saggio Il prezzo dell’immortalità, sulle cure, i progressi, le speranze. E dove il tumore «parla» in prima persona. Svelandoci i punti deboli di sé, e la paura di essere sconfitto.


E’ arrogante, strafottente, capace di un’inaudita e crudele noncuranza. Mette in atto, e lo fa di continuo, strategie camaleontiche con le quali è sicuro di vincere. A dare voce e personalità al cancro, quasi fosse il «cattivo» di un romanzo, è il bellissimo saggio Il prezzo dell’immortalità (Il Saggiatore, dal 17 settembre), che l’oncologo molecolare Pier Paolo Di Fiore dello Ieo, Istituto europeo di oncologia di Milano, ha dedicato al tumore. In 36 capitoli leggiamo sulle origini del male, le speranze, i successi e i flop, i nuovi farmaci, la prevenzione, il futuro; il tutto intervallato dal cancro che si «racconta» in prima persona, ironizzando sugli sforzi degli scienziati, spiegando le sue ragioni e il suo obiettivo: continuare a riprodursi, senza smettere mai.

Il prezzo di questa immortalità cellulare, di questa spinta evolutiva a moltiplicarsi, lo paghiamo noi, fragili ospiti di un «organoide» quasi alieno che prende possesso del nostro corpo. Ma che davvero sia il tumore a vincere, nonostante la sua caparbietà, ecco, non è così. Non più. Non sempre. Anzi, assicura Di Fiore, di cancro moriremo sempre meno. E per tante, buone ragioni.

Nel suo saggio il tumore, quando parla di sé, è assai convincente, anche troppo… Da dove nasce l’idea di descriverlo come un diabolico farabutto?

Dargli voce mi serviva per far capire che il cancro possiede una sua logica molecolare, per quanto aberrante. E va trattato con rispetto proprio per questa sua logica stringente e ferrea. È un nemico formidabile, ma per poterlo combattere dobbiamo comprenderlo a fondo.

Il cancro punta all’immortalità delle sue cellule ma alla fine tende a uccidere il suo ospite, non è questo un paradosso?

Lo è, ma il cancro è alimentato dallo stesso motore che è al cuore della vita, e che lo spinge in avanti con le stesse regole: riprodursi e moltiplicarsi. Una cellula cancerosa è una cellula che corona il sogno probito di non morire mai. Certo, è un’immortalità non individuale bensì generazionale: dare origine a infinite repliche di se stessa. E quando diventa immortale, prende il sopravvento sul suo ospite.

In ogni caso noi non vogliamo diventare immortali come le cellule, vorremmo vivere a lungo senza cancro. L’arma «vincente» è un desiderio naïf?

Vede, quello che noi chiamiamo cancro è una congerie di centinaia di malattie, ne scopriamo sempre più sottotipi, quindi l’idea di avere un farmaco che le colpisca tutte contemporaneamente è irrealizzabile. E poi il tumore ha questa capacità straordinaria di sviluppare resistenza. È una guerra di trincea, dove si vincono, o si perdono, singole battaglie. Ma si conquista di continuo terreno.

Oggi si parla molto di «farmaci di precisione», di medicina personalizzata: battaglie vinte?

Non del tutto. Sui farmaci molecolari, diretti contro bersagli specifici, avevamo aspettative forse troppo elevate: ossia una bassa tossicità unita a un’alta efficacia. In alcuni casi questo si è verificato, in altri meno di quanto si sperasse, in altri ancora hanno fallito. Nei «trial» clinici, di farmaci molecolari ne muoiono a dozzine. Significa che il filone resta molto promettente, ma anche che la medicina personalizzata è parte di un lento progresso. Che ha portato vantaggi e continuerà a farlo.

In quali casi la medicina di precisione ha fatto la differenza tra il vivere e il morire?

Il Gleevec, per esempio, per un tipo di leucemia è stato, ed è tuttora, un farmaco miracoloso. Un’altra molecola con un alto livello di efficacia è l’Herceptin nei tumori alla mammella. E altri farmaci simili stanno entrando nella pratica clinica. Non sono vittorie definitive, ma erodono, in modo continuo, la mortalità del cancro.

Un’altra grande promessa è l’immunoterapia, funziona?

È un filone esploso da poco. In linea di principio è la cosa più vicina che possiamo immaginare a un «proiettile magico», perché va a colpire quelle alterazioni che il cancro induce nel sistema immunitario per eluderne il controllo. In questo momento esistono farmaci immunoterapici approvati per varie tipologie di tumore. Danno risultati a volte spettacolari, altre volte i pazienti non rispondono alle cure. Uno dei problemi sarà capire il motivo, e intervenire con strategie differenti.

Per quanto tempo sarà ancora necessaria la chemioterapia, così aggressiva e tossica?

Per ora in molti tumori non possiamo farne a meno perché, sia pure a caro prezzo, aumenta la sopravvivenza e in alcuni casi guarisce. Ma è effettivamente un approccio che potremmo considerare rudimentale, anche perché deriva da scoperte fatte molto tempo fa. La medicina di precisione e molecolare vogliono essere un’alternativa.

Spesso il tumore sembra sparire, per poi tornare in altri organi. E più «cattivo» di prima. Perché?

Le metastasi sono «il problema» in oncologia: solo il 10 per cento dei pazienti muore a causa per il tumore primario, gli altri 90 a causa delle mestastasi. Di cui sappiamo ancora molto poco. Per esempio, perché le micrometastasi dormienti si riattivano? La comprensione di questo processo e l’eventuale sviluppo di farmaci per farle «dormire» per sempre sarebbe una svolta epocale.

Nel suo saggio, al di là dei progressi della scienza, ci sono anche messaggi molto confortanti, come quello per cui potremmo evitare noi stessi la maggior parte dei tumori. In che modo?

È così. Almeno la metà dei tumori e forse fino all’80 per cento è nelle nostre mani, dipende dalla decisione di fumare oppure no, dalle scelte alimentari, dal consumo di alcol, una causa di mortalità per cancro molto sottostimata, dall’obesità, che ha un ruolo sempre più definito nella genesi di tumore: il rischio aumenta, in modo lineare per ogni chilo in più.

L’esercizio fisico previene o è un falso mito?

Anzi, è fondamentale: è dimostrato che una certa percentuale di rischio di tumore può essere abbattuta proprio con l’attività fisica.

Oggi quante persone muoiono, o guariscono, dal tumore?

Riusciamo a guarire un paziente su due, e il calo di mortalità è dell’1,5 per cento ogni anno, da circa vent’anni. Può sembrare poco ma non lo è: l’anno prossimo si aggiungerà un altro 1,5 per cento, e diventerà il 3 per cento perché si sommano, e così via. Questo ci fa essere fiduciosi. A patto di non rinunciare alla ricerca di base, invece ultimamente si è diffusa la tendenza a investire soprattutto nella ricerca applicata, perché sembra più utile e immediata.

Non è così?

Non si arriva ad applicazioni concrete senza comprendere i meccanismi molecolari del tumore. Quell’1,5 per cento di diminuzione annua nella mortalità dipende dagli investimenti fatti nella ricerca di base vent’anni prima.

L’Italia investe abbastanza nella ricerca contro il cancro?

No, sono fondi del tutto inadeguati. Anche per questo i diritti d’autore del libro andranno all’Airc, la Fondazione che da anni lavora con i ricercatori.

Lei del tumore sa tutto ciò che è possibile sapere. Conoscere così tanto aiuta? Lei quanta paura ha del cancro? Come si può non averne paura?

Del resto ho scritto questo libro anche come antidoto, l’ignoto è sempre più spaventoso del noto. Ho paura del cancro anch’io. Come tutti. Ma sono fiducioso che in futuro di tumore si morirà sempre meno.

Il cancro sparirà?

In parte sì, diventerà una malattia cronica, che potremo tenere sotto controllo con centinaia di farmaci diversi per centinaia di tumori diversi, con una buona durata e qualità della vita. Un po’ come oggi avviene per le malattie cardiovascolari.

Lei è ottimista.

Lo sono. Chi fa ricerca investe sul futuro: e lo si può fare solo se si è ottimisti!

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