Egli l’aveva vangata e sgombrata dai sassi e vi aveva piantato scelte viti». Così il Cantico dei cantici; tutta la Bibbia è colma di vigne che sono il popolo di Dio e di Dio medesimo che come il vignaiolo lo accudisce. Il Cristo nel Vangelo assegna al vino, che è frutto della vite e del lavoro dell’uomo, la sanzione della nuova ed eterna alleanza «versato per voi e per tutti in remissione dei peccati». Solo che dove è passato papa Bergoglio non cresce più neppure un acino. Quella della vigna del pontefice argentino è una storia di ripicche, ripensamenti, indecisioni che illustra come Francesco nei suoi 12 anni di regno, spesso nell’amministrazione delle cose e delle persone in Vaticano sia stato soggetto a sbalzi di umore.
Non si contano i licenziamenti in tronco, così come non si contano i «motu proprio» per cambiare assetti degli uffici e gli ordini contraddittori nella gestione anche di piccole cose, però di altissimo valore simbolico, come le vigne. Il risultato sono i due miliardi e passa di euro di debiti che il successore di Pietro ha lasciato in eredità a Leone XIV.
Non c’è un prodotto della terra che sia simbolo del sacro come il vino. Dunque dove dovrebbe stare una vigna se non nella fattoria del Papa? Solo che Jorge Mario Bergoglio, che pure a tavola aveva una qualche confidenza con il vino, non ha avuto pazienza – come raccomandato dalla Bibbia – e ha inverato il versetto che dice: «Egli aspettò che producesse uva, ma essa produsse uva selvatica». Solo che Francesco non è arrivato neppure a vedere l’uva selvatica: si è stancato prima. Questa storia viene raccontata a mezza bocca nella splendida fattoria papale di Castel Gandolfo a una cinquantina di chilometri dalla Capitale; sono 50 ettari di orti, di pascoli, di uliveti occupati anche dal Palazzo pontificio, da altre due ville e dai magnificenti giardini.
Bergoglio non ci ha mai voluto mettere piede – primo Papa in sei secoli – e ha fatto in modo che diventassero musei, che i parchi venissero aperti al pubblico – le visite sono prenotabili – e la fattoria producesse per l’annona vaticana con la possibilità dei dipendenti della Santa sede di fare spesa online di verdura, frutta, formaggi e carne del pontefice. E la vigna? Vi era un mezzo ettaro piantato a Cesanese d’Affile, bacca rossa, e Vermentino, bacca bianca, che dava poche bottiglie, ma bastevoli per la mensa estiva di Joseph Ratzinger. Benedetto XVI amava molto quella vigna e durante i suoi soggiorni a Castel Gandolfo passeggiava tra i filari recitando il breviario, leggendo e curando la sua «vigna del Signore».
Ma dal 2016 quella coltivazione venne abbandonata. Nel 2020 Francesco dette ordine di sradicarla e, morto Ratzinger, si pensò di asfaltare quel campo ormai privo di vita e, in un primo momento, di trasformarlo in un parcheggio. Alla fine prevalsero delle magnifiche aiuole di rose. Sennonché Francesco ci ripensò ancora. Forse aveva avvertito la necessità di «piantare scelte viti» per andare incontro alla sacra scrittura? Ah saperlo.
Nel frattempo aveva fatto la rivoluzione ai vertici di chi comanda le ville pontificie – oltre al palazzo Apostolico, villa Barberini, le sorgenti di Palazzolo e la centrale del lago di Castel Gandolfo – che sono sotto il Governatorato, ora nelle mani di suor Raffaella Petrini, e la direzione dei Musei vaticani. Proprio l’arrivo di un manager Andrea Tamburelli, ex dirigente nell’azienda della Birra Peroni, come direttore delle ville era coinciso con l’espianto della vigna di Ratzinger. Ma alla fine del 2023 Bergoglio convocò sia Tamburelli sia Luciano Cecchetti. il capo agronomo della fattoria di Castel Gandolfo, per lanciare il progetto del vino del Papa. Venne consultato uno degli enologi più famosi del mondo con il compito di progettare un vino rosso che potesse andare incontro ai gusti del pontefice e altri due vini un bianco e un blend rosso che potessero diventare un emblema della fattoria papale e, perché no?, anche un minimo business.
L’enologo – è uno di quelli che staccano consulenze milionarie e che invece per Bergoglio aveva deciso di prestare la sua opera gratis – sapendo che il papa argentino amava molto il Malbec, ha pensato dapprima a quel vitigno che a Mendoza, nel centro del Paese sudamericano, dà esiti straordinari. Poi gli hanno suggerito che Bergoglio degustava il Cabernet Franc di una cantina laziale: Colle Picchioni, che lo usa per un suo rosato e poi in un classico uvaggio bordolese con Merlot e Cabernet Sauvignon. Dunque la scelta dell’enologo del Papa si è indirizzata verso quelle vigne, epperò il pontefice ha voluto che vi fossero altre uve per dare anche nel campo il «senso di comunità».
Sono stati ripiantati filari di Cabernet Franc che proprio nella prossima vendemmia avrebbero dato il vino del Papa, facendo forse concorrenza a una denominazione francese in Vaucluse, lo Chateneuf du Pape. Sono state messe a dimora anche uve bianche diverse per un «vino pallido» e altre specie a bacca rossa per produrre anche una bottiglia da uvaggio: una sorta di «Supervatican» come si fa in Toscana mettendo insieme varie uve con i Supertuscan! Queste vigne sarebbero andate in produzione tra un paio d’anni. Invece… Poche settimane prima del ricovero al Gemelli, il Papa ha convocato l’enologo e gli ha comunicato: ho deciso di espiantare tutte le viti, quel campo serve a coltivare l’accoglienza. Là dove si muovevano con attenzione i trattori, oggi sono in azione bulldozer e betoniere. Il fatto è che quando Francesco aveva deciso di ripiantare la vigna aveva nel frattempo silurato don Paolo Niccolini, detto Mangiafuoco, il potentissimo tenutario dei Musei vaticani licenziato a inizio 2024 e sostituito con don Fabio Baggio, esperto di migrazioni e migranti, proveniente dal dicastero sullo Sviluppo umano integrale. Don Baggio aveva presentato in pompa magna il progetto Borgo Laudato si’. «La vigna» parole del neodirettore «rappresenta un nuovo modello di sostenibilità».
Hanno dunque messo a dimora il vigneto Laudato si’ con barbatelle dei vivai cooperativi di Rauscedo, provincia di Pordenone, per ottenere un blend che simboleggia «la comunione nella diversità». Di tutto questo non c’è più traccia. Al posto delle viti sta sorgendo un albergo per i migranti. È una struttura di un migliaio di metri quadrati che viene costruita accanto alle stalle della fattoria papale con tetto dotato di pannelli solari, un grande piazzale in cemento e tutti gli annessi e connessi, dalla palestra alle sale riunioni. La vigna di Papa Francesco non poteva essere verde e neppure Ogm, ma doveva essere una Ong!