Julia Child fu la cuoca che negli Stati Uniti degli anni Sessanta fece conoscere i sofisticati piatti d’Oltralpe alle sue connazionali, ancora «basiche» ai fornelli. Tutto grazie alla tivù e ad un libro uscito nel 1961. Finalmente edito anche in Italia.
Una spilungona alta un metro e 88 centimetri: Meryl Streep, due spanne meno, non tentò miracoli per allungarsi, ma la sua interpretazione nel film del 2009 Julie & Julia, regia di Nora Ephron, restituì perfettamente la figura e la storia di Julia Child, cuoca, scrittrice e star della tv, molto conosciuta negli Stati Uniti (e nell’anglosfera). Californiana, morta ultranovantenne nel 2004, Julia Child ha lasciato un libro importante, scritto nel 1961: Mastering the Art of French Cooking. Dopo un successo mondiale, sempre rinnovato, ora è finalmente edito in Italia da Giunti: L’arte della cucina francese (676 pagine, 35 euro), che riproduce fedelmente la forma grafica e le illustrazioni dell’edizione americana del quarantennale, uscita nel 2001. Un volume da non confondere con i tanti ricettari per apprendisti spadellatori, spesso raffazzonati. A dire il vero, di ricettario si tratta, ma del tutto speciale: ha infatti costituito una rivoluzione copernicana per un mondo come quello americano, non proprio noto per le prelibatezze e gli svolazzi culinari.
Fu la cuoca di Pasadena, ottimi studi, carriera da atleta abbandonata in gioventù, lunghe permanenze all’estero – soprattutto a Parigi con il marito Paul, funzionario culturale dell’intelligence Usa e palato raffinatissimo -, a portare nelle case delle massaie statunitensi l’idea che cucinare non fosse soltanto friggere due uova e adagiarvi sopra del bacon, aprire una zuppa Campbell’s (senza riferimenti a Andy Warhol), ingrassare marito e figli con torte straboccanti di creme industriali spruzzate dai tubetti. Intenzione lodevole, quella di Julia Child, da missionaria del gusto, da «pioniera del piacere in un Paese puritano», scrisse il suo biografo Noël Riley Fitch. La cucina francese, allora come oggi faro mondiale dei buongustai (non a caso la guida gastronomica più potente e temuta, la Michelin, è nata in Francia), venne utilizzata dalla Child per educare milioni di possibili principianti: gli americani. Lo fece con scuole di cucina itineranti – lei si era fatta le ossa a Parigi e Marsiglia con i corsi del Cordon Bleu – e un ricettario completo, chiaro e impeccabile. Ma la sua arma d’istruzione di massa fu la televisione: The French Chef, programma che andò in onda dal 1963, fu un successo clamoroso. Julia Child ci sapeva fare. Le sue preparazioni culinarie, adattate alle esigenze di scena, non tenendo in particolare conto l’accademia, erano seguitissime perché ironiche, divertenti: un occhio alla padella, l’altro all’audience, come si conviene al gran circo dello spettacolo.
Non sappiamo se Benedetta Parodi o Antonella Clerici, e ancor prima Ave Ninchi, abbiano sentito parlare di Julia Child, o addirittura visto da qualche archivio le trasmissioni dell’illustre collega. Di certo l’americana ha aperto le danze della tv sposata alla cucina. Anche gli attuali talent – MasterChef un nome per tutti -, e i mille blog dedicati alla tavola, sono debitori di quella prima cuoca, di buone maniere e perfette competenze, che portò da antesignana intingoli e mestoli sotto le telecamere. Tuttavia a Julia Child, e alle sue collaboratrici (il libro è firmato anche da Louisette Bertholle e Simone Beck), sarebbe bastato il ricettario per passare alla storia. Nato come appunti presi per le lezioni di cucina francese tenute negli Stati Uniti, lezioni che ebbero accoglienza molto positiva tra le signore della buona società desiderose di darsi un tocco chic anche ai fornelli, il corposo volume è di semplicità disarmante, secondo le regole della pubblicistica for dummies (per inesperti), di grande fortuna nei Paesi anglosassoni.
Non viene dato nulla per scontato, dallo sbucciare una patata a rompere un guscio d’uovo. «Poiché lo scopo di questo libro è insegnare, le ricette sono ricche di dettagli. Che ne dite di otto pagine per la preparazione di una omelette? Avete tutte le indicazioni e se sapete leggere, allora sapete cucinare», scrive Child. E continua, con la precisione bonaria della cuoca di famiglia: «A che distanza un pollo dovrebbe stare dalla fonte di calore mentre lo grigliate? Dai 13 ai 15 centimetri. E quanto velocemente si dovrebbe incorporare l’olio per una salsa all’aglio e senape con la quale napperete una coscia d’agnello arrosto? Goccia a goccia». Le illustrazioni in bianco e nero, dal sapore ottocentesco e dalla valenza didattica (nessuna concessione all’aspetto artistico), aiutano la massaia, il ghiottone, lo studioso di culture gastronomiche, il semplice curioso, a introdursi nell’universo attraente di una grande cucina, diffusa non soltanto nei ristoranti blasonati di tutto il pianeta, ma nelle case francesi, pur non ignorando che la stessa Francia ha subito molti scossoni dalla globalizzazione e il rispetto della tradizione culinaria non è forse più quello di un tempo.
Al pari di ogni vero ricettario, il libro spiega in un glossario i termini del mestiere: deglassare, gratinare, irrorare, sgrassare non saranno più verbi vaghi. Così come ingredienti, pesi e misure, conversioni di temperature, attrezzi e tecniche diventeranno familiari, addentrandosi nelle pagine, tra navets à la Champenoise, veau Prince Orloff, caneton aux pêches, crème plombières pralinée e altri piatti la cui sola denominazione, avrebbe detto Roland Barthes, suscita l’abbandono all’estasi dei sensi. Julia Child, da vera americana divulgatrice, non perde mai di vista il target: la donna di casa senza personale di servizio che ogni tanto vuole togliersi lo sfizio di apparecchiare un pranzo di classe, senza eccessivi timori nei confronti di una tradizione culinaria così vasta e sfarzosa che paralizza. Qualcuno, che ha avuto la pazienza di leggere fin qui, dirà: «Sì, ma la massaia americana, semmai è esistita ed esiste, cosa c’entra con mamme e nonne delle famiglie italiane, ancora fulcro, pur se sempre meno, della nostra cucina, che non è seconda a quella francese?». La risposta è nel libro, quando Julia Child scrive: «Conoscendo i fondamentali della cucina francese, cucinerete meglio italiano, messicano e persino cinese». Basterebbe guardarsi in giro: non esiste chef di alto lignaggio che non abbia fatto pratica in Francia, che non veneri quella cucina, pur prendendone le distanze. La cucina francese è un po’ come il padre per la psicoanalisi: va uccisa, nel senso che bisogna superarne l’insegnamento per crescere, ma guai a ignorarla. Letto il volume, non guarderemo mai più una semplice omelette con l‘indifferenza che di solito le riserviamo.