- Dal Nord Africa all’Asia si teme una ripresa di attentati nelle mete preferite dal turismo globale. E anche alle Maldive aumenta il rischio di radicalizzazione.
- La strategia dello stato Islamico: colpire durante il Ramadan.
Tunisi, 6 marzo 2020. Davanti all’ambasciata americana un attentatore suicida si fa saltare in aria, uccidendo un poliziotto e ferendo quattro persone. Lo Stato islamico rivendica con un audio: «L’attentato è opera nostra». Il primo aprile segue l’arresto di un estremista legato all’Isis. Stava progettando un grande attentato da mettere in atto durante l’imminente periodo di Ramadan (23 aprile-23 maggio). La notizia si diffonde. Le disdette del turismo – che già risente dell’epidemia globale – fioccano.
Sono passati cinque anni dall’attentato al Museo del Bardo di Tunisi (18 marzo 2015, bilancio 24 morti), che aveva svuotato le spiagge e gli hotel del litorale nordafricano, ed ecco che l’incubo terrorismo torna a farsi sentire. L’attentato del 6 marzo è un duro colpo per l’immagine nazionale, e forse non sarà l’ultimo. La fragile economia di Tunisi risente di problemi strutturali che neanche la giovane democrazia seguita alle Primavere arabe sta riuscendo a risanare. Fortemente dipendente dal turismo, Tunisi non riuscirebbe a sopportare ulteriori danni d’immagine. Specie dopo che il coronavirus ha contribuito a un crollo verticale degli arrivi, insieme a quello del prezzo del petrolio.
La curva, infatti, ha iniziato a ridiscendere, con il Pil 2020 che preoccupa e la stagnazione che galoppa insieme all’inflazione. Pensare che la Tunisia aspettava la sua crescita migliore dal 2011 (2,5 per cento), dopo che nel 2019 aveva raggiunto il record di arrivi turistici. Tuttavia, il prodotto interno di quest’anno crescerà dello 0,5 per cento, secondo le stime più ottimistiche. Complice la fase di austerità inaugurata dal governo per tentare la risalita, il malcontento e la sfiducia tra la popolazione crescono a livelli di guardia, insieme alla disoccupazione e a un clima sociale sempre più negativo. Tutti elementi che sembrano preludere a una potenziale nuova stagione di terrorismo. La Tunisia, del resto, è patria di Ansar Al Sharia e di altre formazioni jihadiste, dove la Fratellanza musulmana da sempre sfrutta la rabbia delle fasce più fragili come detonatore per realizzare un Califfato che si affermi nell’intero Nord Africa.
Lo stesso Marocco, altra meta prediletta del turismo italiano, teme oggi una recrudescenza del terrorismo autoctono: Rabat condivide con Tunisi sigle e reti di affiliati, oltre alle rotte del narcotraffico e a numerosi altri commerci illegali, quali la tratta di esseri umani. Il turismo qui vale circa l’8 per cento dell’economia e un calo colpirebbe numerosi servizi: dai trasporti aerei agli hotel, dall’artigianato alla gastronomia. Il Pil era atteso al 3 per cento, ma verosimilmente non supererà la soglia dell’1 nel 2020. Non giova alla salute dell’economia nazionale la decisione del re Mohammed VI di concedere l’amnistia a oltre 5.600 prigionieri, che in queste settimane stanno venendo gradualmente rilasciati – chi per buona condotta, chi perché anziano o dalla salute precaria – in base alle «circostanze eccezionali legate all’emergenza sanitaria del Covid-19».
Sarebbe una mossa logica e corretta, se non fosse che il Marocco vanta tra i più alti numeri di arresti per terrorismo e radicalizzazione dell’intero Nord Africa, insieme a Tunisia ed Egitto. Le carceri marocchine sono piene di irriducibili e, se anche l’amnistia non è stata estesa ai reati di terrorismo, resta il fatto che molte rivolte e attentati vengono pianificati proprio da dietro le sbarre. Da questa considerazione discende probabilmente la decisione del re, consapevole del fatto che per disinnescare il contagio di certe idee, è meglio alleggerire la pressione nei gangli dove la criminalità impera e si alimenta.
Anche in Egitto, l’economia più dinamica del dell’area insieme al Marocco, il business del turismo resta minacciato dallo spettro del terrorismo: tanto Al Qaeda e il suo leader, il medico egiziano Ayman Al Zawahiri apparso ultimamente stanco e malato, quanto l’Isis ne sognano la conquista da sempre e perciò agiscono per minarne la stabilità. Dopo anni di crisi, nel 2019 il Cairo aveva visto una forte ripresa nel settore turistico, diventando esempio della crescita più rapida in Africa settentrionale, con un +16,5 per cento e un Pil atteso al 5,4 per cento (che, invece, attualmente è stato rivisto al 2,7). Si trattava di un dato rilevante, specie se confrontato col recente passato: secondo fonti del Centro studi internazionali, «dal 2011, anno delle Primavere arabe, della guerra civile libica e dell’intensificazione delle campagne terroristiche in Nord Africa, si è assistito alla riduzione del 60 per cento del flusso turistico regionale fino a tutto il 2017, con impatti sul Pil stimabili in una forbice tra il 2 e il 5 per cento, e un aumento della disoccupazione media intorno al 5 per cento, con picchi del 20 per cento proprio nel settore turistico».
Per comprendere l’impatto del terrorismo sull’indotto di questo Paese basti dire che, all’indomani dell’attentato al volo Metrojet del 2015 sopra la Penisola del Sinai (224 morti a opera di affiliati all’Isis), l’industria egiziana dei viaggi e del tempo libero nei mesi seguenti ha iniziato a perdere oltre 40 milioni di dollari alla settimana. A partire da quella data anche in Kenya i visitatori e i guadagni del turismo sono drasticamente diminuiti, a causa dei ripetuti attacchi dei qaedisti di Al Shabaab. Il settore si è ripreso solo nel 2019, quando ha segnato un +3,9 per cento (pari a 1,61 miliardi di dollari). Tuttavia, l’8 gennaio 2020 Al Shabaab ha minacciato di voler attaccare i turisti, specialmente quelli che giungono per i safari, e rapire gli straniero che collaborano col governo. Come accaduto a Silvia Romano, la cooperante italiana scomparsa nel nulla il 20 novembre 2018.
L’allarme terrorismo non riguarda solo Africa e Mediterraneo: tesa è anche la situazione nel Sud- est asiatico, dove la propaganda pro Isis è tornata a farsi sentire. Nelle ultime settimane, infatti, sui canali Telegram del «cyber Califfato» è apparso un vecchio video di Abu Bakr al-Baghdadi del giugno 2014, nel quale il defunto leader Isis proclamava la nascita dello Stato islamico. Il testo era in lingua malese e annunciava la nascita della «Wilayat East Asia» (Provincia dell’Est Asia). A preoccupare è il fatto che il messaggio fosse destinato anche all’Indonesia, grande meta turistica degli occidentali ma potenzialmente a rischio: con i suoi 240 milioni di abitanti, dei quali l’85 per cento di religione musulmana, è il più grande Paese islamico del mondo. Il rischio contagio non risparmia la Thailandia, dove solo poche settimane fa un sergente dell’esercito, Jakrapanth Thomma, si è recato all’esterno di uno shopping center di Korat, a nord-est di Bangkok, e ha iniziato a sparare all’impazzata, uccidendo 20 persone, per poi asserragliarsi in un locale (prima di essere ucciso dalle forze speciali).
Non va meglio nello Sri Lanka, dove si è appena festeggiato il primo anniversario delle stragi della Pasqua 2019, quando morirono 257 persone durante più attacchi simultanei a chiese e hotel in varie località del Paese. Anche in questo caso, gli attentati furono condotti da una cellula terroristica islamista, la National Thowheeth Jama’ath. La contrazione del settore del turismo che ne è seguita ha portato i 2,5 milioni di arrivi annuali previsti, a scendere sotto quota 1,9 milioni. In tutto il Sud- est asiatico ad avvelenare i pozzi ci hanno pensato i petrodollari arrivati dal Golfo Persico, e predicatori come l’indiano Zakir Naik che conta su milioni di sostenitori.
L’allarme riguarda anche le Maldive, ambitissimo paradiso per immersioni e lune di miele nel cuore dell’Oceano indiano. Qui, come nel resto del subcontinente indiano, l’Islam politico è diventato sempre più estremo. E i terroristi locali hanno imparato a ragionare secondo la stessa logica dei «colleghi» nel Mediterraneo: colpire il settore economico più florido del Paese – il turismo, appunto – per disintegrare le istituzioni attuali e sostituirvisi. Secondo il ricercatore indiano del Centre for air power studies di New Delhi, Saurav Sarkar, «almeno 300 persone su una popolazione di quasi 400 mila abitanti sono arrivate in Siria dalle Maldive per confluire nell’Isis, il che ne fa percentualmente il più grande fornitore di combattenti stranieri». Specie perché, ancora nel dicembre 2019, nel Paese erano presenti 1.400 estremisti violenti, specializzati in aggressioni a colpi di coltello contro i turisti: «Sono azioni spaventose in prospettiva, perché mirano a un bersaglio fin troppo facile».
La strategie dello stato Islamico: colpire durante il Ramadan

La strategia dello Stato Islamico, con la perdita dei territori in Medio Oriente, è necessariamente cambiata, spostando la propria operatività in altre aree. Nel continente asiatico l’ISIS ha trovato terreno fertile, in primis grazie alla presenza di una grande quantità di popolazione di fede musulmana e di conflitti locali mai del tutto conclusi. La propaganda del califfato sta penetrando con successo tra piccoli gruppi musulmani che finora lottavano su base locale, in cerca di autonomia, o per motivi etnico-religiosi. Questi gruppi unendosi allo Stato Islamico ricevono sostegno e competenze tecniche, ampliano le loro azioni e i loro obiettivi. Le organizzazioni terroristiche che operano in Asia, quindi, si confondono tra gruppi jihadisti e movimenti separatisti musulmani. Lo Stato Islamico è divenuto, quindi, meno territoriale ma più decentralizzato, tentacolare e globale. Questa mattina la rivista onilne dello Stato islamico “The Voice of Hind” ha invitato i propri combattenti a colpire nel sud est asiatico durante il Ramadan ( 23.04-23.05.2020). Della situazione nel sud est asiatico un area amatissima dai turisti italiani Panorama ne ha parlato con il ricercatore indiano Saurav Sarkar “Research Associate at Centre for Air Power Studies” di New Delhi (India).
Quanto è forte l’influenza del Pakistan nella crescita del terrorismo islamico nel vostro continente e attraverso quali canali opera?
Il Pakistan ha sostenuto diversi gruppi terroristici per svolgere attività anti-India in Kashmir e anche attacchi terroristici su larga scala in centri metropolitani come Delhi e Mumbai sostenendo anche i Mujahideen indiani. Il Pakistan ha anche sostenuto i talebani in Afghanistan mentre in Bangladesh, il Pakistan ha legami con alcuni gruppi islamisti ed estremisti che sfidano la natura laica e democratica del Bangladesh. Il Pakistan ha anche usato il Nepal come canale per infiltrarsi nei terroristi, falsificare valuta e traffico di armi Per decenni il Pakistan ha fatto da “guardiano della jihad nell’Asia meridionale, da quando ha avuto voce in capitolo sui gruppi che hanno ottenuto il maggior numero di risorse per la jihad contro i sovietici e la guerra civile afghana negli anni ’80-’90, fino ai gruppi d’armamento in Kashmir e fino ai giorni nostri. Il Pakistan ha utilizzato le sue reti “hawala” per riciclare denaro destinato alle organizzazioni terroristiche. Tutto questo utilizzando anche le sue agenzie di intelligence, il crimine organizzato e i trafficanti di droga nell’Asia meridionale.
I recenti attacchi alle Maldive mostrano una situazione che rischia di spaventare le migliaia di turisti che arrivano ogni anno nel Paese. Cosa è successo alle Maldive, perché i predicatori salafiti hanno avuto tanto cosi’ successo in un Paese che senza il turismo sarebbe in enorme difficoltà?
Circa 200-300 persone su una popolazione di 400.000 si sono recate in Siria dalle Maldive per entrare a far parte dell’ISIS, il che ne fa il più grande fornitore di combattenti stranieri pro capite. I problemi sociali, come la disoccupazione, insieme alla criminalità organizzata, la violenza delle gang’s alle Maldive hanno portato ad alti livelli di radicalizzazione. La polizia delle Maldive ha dichiarato nel dicembre 2019 che nel paese erano presenti 1.400 estremisti violenti. Le recenti aggressioni a colpi di coltello contro i turisti sono state spaventose perché si trattava di un bersaglio facile ma allo stesso tempo strategico che non aveva bisogno di una pianificazione sofisticata o di armi.
Stesse preoccupazioni valgono per l’India dove l’islam diventa sempre piu’ aggressivo e violento. Cos’è accaduto nel suo Paese?
L’India ha la terza più grande popolazione musulmana del mondo e si è tenuta lontana dall’estremismo per la maggior parte del tempo e ha assimilato e adottato la natura laica e democratica dell’India. L’Islam indiano non è stato “deragliato” di per sé, ma è stato influenzato con idee radicali in alcuni settori con l’afflusso dell’ideologia wahhabita e l’istituzione di madrasse ( le scuole coraniche) e istituzioni wahhabite e salafite finanziate con il denaro delle nazioni del Golfo Persico. Un certo grado di polarizzazione religiosa ha avuto luogo anche all’interno dell’India a causa di alcuni rari casi di violenza comune, poiché i gruppi estremisti islamici hanno creato questi incidenti per alimentare la loro macchina propagandistica. Solo circa 150 indiani hanno viaggiato all’estero per entrare a far parte dell’ISIS, una percentuale molto piccola per un Paese con la seconda popolazione più numerosa, e francamente questo è un buon segno. Il cyberspazio e la facilità di accesso alla propaganda terroristica rimangono la più grande minaccia a lungo termine in termini di radicalizzazione e reclutamento di persone per entrare a far parte di gruppi come l’ISIS. Non c’è un rischio sostanziale che i turisti vengano attaccati, ma è possibile che durante un altro attacco terroristico su larga scala i turisti vengano presi di mira proprio come tutti gli altri, come si è visto durante gli attentati di Mumbai del 26/11.
Quanto è forte la competizione tra Iside e Al Qaeda e chi vincerà? E tra Malesia, Idonesia, Maldive, India, Filippine, Bangladesh e Sri Lanka, qual è il paese che rischia di più e perché?
La competizione tra ISIS e Al-Qaeda è stata abbastanza forte fino alla morte di Abu Bakr al-Baghdadi e molti esperti ritengono che la scissione tra ISIS e Al-Qaeda sia stata uno scontro di personalità tra al-Baghdadi e il leader di Al-Qaeda Ayman al-Zawahiri. Un califfo con un volto e uno Stato islamico con un califfato (territorio) avevano più potenza di un califfo senza volto (Abu Ibrahim al-Qurayshi) e di uno Stato islamico senza territorio. Recentemente Al-Qaeda e l’ISIS hanno collaborato in misura limitata in Africa e lo stesso ha il potenziale per essere replicato in Asia meridionale a causa della sovrapposizione tra i due gruppi in termini di reclutamento e zone operative. Al-Qaeda rimane la minaccia a più lungo termine in quanto esiste da più tempo e ha una presenza maggiore, mentre l’ISIS è stata spinta verso la periferia e si è trasformata in un gruppo di insorti in Medio Oriente, pur mantenendo una rete di terrore clandestino a livello globale. Tuttavia, l’ISIS ha un “valore di marca” più grande di Al-Qaeda in quanto è penetrata e si è diffusa in tutto il mondo, anche in Occidente dove ha effettuato molteplici attacchi, per cui in termini di messaggistica rimane una grande minaccia.In termini di rischio, tutti questi paesi hanno lo stesso rischio e hanno drasticamente intensificato i protocolli di sicurezza all’interno dei loro confini. L’India rimane ad un rischio leggermente più elevato a causa della realtà del terrorismo transfrontaliero. Gruppi come l’ISIS possono, tuttavia, rivendicare la responsabilità di qualsiasi atto di violenza ovunque.
C’è un paese che ha una strategia in grado di contrastare chi diffonde l’odio religioso?
Non c’è un solo Paese che possa contrastare unilateralmente l’estremismo religioso e deve essere uno sforzo multilaterale e transfrontaliero. È positivo che Paesi dell’Asia meridionale come l’India, lo Sri Lanka, il Bangladesh, l’Afghanistan, le Maldive, l’Indonesia, la Malesia abbiano intensificato la cooperazione antiterrorismo e abbiano condiviso le informazioni.