I sottomarini «Foca» e «Argonauta» si inabissarono al largo delle coste libiche nel 1940. Jean-Pierre Misson, il cercatore di relitti bellici che li ha individuati, racconta la vicenda a Panorama, con un obiettivo: un documentario per finanziarne il recupero. E, finalmente, rendere onore a quei marinai dispersi.
«I due sommergibili italiani sono tombe di guerra sul fondo del mare. Non abbiamo solo le immagini sonar, ma l’esatta posizione, circa un miglio dalla costa libica a 55 metri di profondità. Adesso bisogna immergersi e individuare gli scafi inabissati con tutto l’equipaggio documentandolo con foto e video». Dal Belgio, Jean-Pierre Misson, appassionato di relitti della Seconda guerra mondiale, annuncia così, a Panorama, il nuovo progetto. I sottomarini perduti «Foca» e «Argonauta» sono stati individuati dall’ingegnere esperto di telecomunicazioni e sonar, oltre 80 anni dopo essere spariti nel nulla all’inizio del conflitto.
Misson ha chiesto aiuto a Panorama per far tornare alla luce questa storia, con l’obiettivo di realizzare un documentario che finanzi le operazioni subacquee e consenta ai familiari dei marinai dispersi di conoscere finalmente il destino dei loro cari. «Fra il 2015 e il 2016 avevo identificato i due sommergibili italiani studiando il tracciato sonar realizzato anni prima al largo di Marsa el Hilal, nell’est della Libia» spiega l’ingegnere belga. «Però mancavano i dati Gps per determinarne l’esatta posizione».
Lo specchio di mare della Cirenaica, sotto controllo della marina libica del generale Khalifa Haftar, si trova fra Bengasi e Tobruk. Un tempo qui c’era la colonia greca di Apollonia e tutto è iniziato con una missione archeologica francese, un anno prima della rivolta libica che ha fatto cadere il regime di Mu’ammar Gheddafi. «Studio da un decennio le immagini sonar di questi relitti e li ho identificati analizzando i disegni costruttivi dei sommergibili, le foto d’epoca e le notizie sugli ultimi spostamenti prima che sparissero in fondo al mare» racconta Misson. La posizione precisa dei due scafi non era mai stata individuata e non si sapeva quindi dove si fossero inabissati gli equipaggi.
Il 7 agosto scorso il cercatore di relitti belga è arrivato a Marsa el Hilal grazie ai buoni uffici di Saleh el Agab el Hassi, rappresentante permanente della Libia presso l’Unesco. Là, c’è una base della Marina di Haftar e il comandante Ameed Mohamed Al Majdoub ha messo a disposizione le sue unità navali. «Un gruppo di sommozzatori civili e militari libici ha partecipato alle ricerche, che sono servite a individuare la posizione Gps di quattro relitti» prosegue Misson. «Il “Foca”, più vicino alla costa, appena a 1.320 metri di distanza assieme alla nave cisterna italiana “Picci Fassio” e a un altro sommergibile, l’inglese “Urge”, che era stato individuato erroneamente al largo di Malta». L’«Argonauta» si trova in un’altra direzione a 1.820 metri dalla linea costiera. I subacquei si sono immersi per raggiungere gli scafi, ma a causa di un incidente a uno di loro le ricerche sono state sospese il 13 ottobre. Il comandante Al Majdoub, però, ha promesso che «la Marina libica farà del suo meglio per trovare e fotografare i sommergibili».
Il destino del «Foca» è segnato dalla sua partenza da Taranto, al tramonto del primo ottobre 1940, con l’ordine di posare delle mine davanti alla base navale inglese di Haifa. È la sua terza missione, guidata dal capitano di corvetta Mario Ciliberto. Nel libro La Guerra negli abissi, si evidenzia che «gli inglesi non annunciarono mai l’affondamento o anche solo l’attacco da parte dei loro mezzi navali o aerei al “Foca”». Il sommergibile sparì quindi nel nulla.
L’«Argonauta», invece, era partito da Tobruk il 27 giugno 1940, ma non arrivò mai a Taranto. L’equipaggio era formato da 4 ufficiali e 32 marinai e il varo avvenne nel 1931 ai cantieri di Monfalcone. Una settimana prima della scomparsa il sommergibile, comandato dal tenente di vascello Vittorio Cavicchia, era stato attaccato da cacciatorpedinieri inglesi con bombe di profondità, che avevano messo fuori uso il periscopio.
«Questi relitti rappresentano pagine drammatiche della nostra storia, reliquie del nostro passato militare: ancora oggi conservano al loro interno le spoglie dei marinai, che devono essere onorati, commemorati e rispettati. Per questo dovrebbe intervenire lo Stato italiano» dichiara l’ex ammiraglio Nicola De Felice. Nel 2018 firmò una relazione come comandante marittimo per la Sicilia, proprio sui «tracciati sonar» dei sommergibili perduti del ricercatore subacqueo Misson.
De Felice auspicava «una dedicata campagna di verifica da concordare con le autorità libiche». Fra gli obiettivi principali «definire la relativa lista degli equipaggi durante l’ultima missione e comunicare alle famiglie dei dispersi l’esatto luogo dove giacciono i corpi» oltre a «rendere gli onori ai relitti quali sacrari militari italiani, a similitudine di quanto effettuato per il Regio Smg Scirè nelle acque antistanti Haifa».
De Felice nella relazione al comando della Marina confermava per l’«Argonauta» il riconoscimento del «timone, boa telefonica, stivette munizioni sul ponte di coperta». Per il «Foca» uno dei dettagli «in ordine all’identificazione del relitto è la ritenuta corrispondenza di alcuni punti dell’immagine sonar con quelle del fascio littorio sul fianco sinistro della falsatorre».
Sul relitto della nave «Picci Fassio» è stata evidenziata una «grande apertura centrale nella massa individuata dal sonar derivata dall’esplosione nella cisterna a seguito dell’ordigno d’aereo che probabilmente l’aveva colpita».
In conclusione «non si esclude che potrebbe realmente trattarsi di relitti affondati in periodo bellico».
La Marina militare, che ha la capacità di intervenire, otterrebbe, si legge nella relazione, un «ritorno d’immagine sia a livello nazionale che internazionale» oltre a «beneficio addestrativo per i reparti destinati al riconoscimento dei battelli». De Felice aveva chiesto, quattro anni fa, «di pianificare una campagna di ricerca e verifica delle unità segnalate dal ricercatore (…) mediante eventuale impiego di cacciamine o di nave Anteo e/o di Comsubin» i subacquei dei corpi speciali. L’instabilità libica non rende tuttavia semplice l’operazione.
Per Jean-Pierre Misson «è un obiettivo della mia vita a cui arriverò. Sto infatti pianificando di tornare a Marsa el Hilal la prossima estate, con lo scopo di individuare e fotografare tutti i relitti grazie ai sommozzatori. Perché devo dare la definitiva conferma a molte famiglie che i loro parenti dispersi giacciono in questo specchio di mare». n
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