È la settimana in cui la diplomazia occidentale prova a trasformare un cessate il fuoco in qualcosa di più concreto e permanente: garanzie di sicurezza stringenti per Kiev, un meccanismo internazionale per i risarcimenti e il riavvio, almeno sulla carta, di canali di dialogo con Mosca. Tuttavia, mentre i leader europei tentano di creare una fragile rete di tutela per l’Ucraina, restano i nodi irrisolti: territori occupati, responsabilità legali e la domanda più spinosa di tutte, quali concessioni, concrete o simboliche, dovrà compiere Kiev per arrivare alla fine di una guerra ormai persa?
Berlino: garanzie in stile atlantico, ma senza NATO
Nel fine settimana a Berlino si è aperto un tavolo che ha visto protagonisti il presidente ucraino Volodymyr Zelenskyj, inviati statunitensi e capi di governo europei. Il punto fondamentale emerso, e ufficialmente sostenuto da un gruppo di leader continentali, è l’idea di offrire a Kiev garanzie di sicurezza «simili all’articolo 5», con il possibile dispiegamento di una forza multinazionale europea per sorvegliare il territorio e proteggere infrastrutture critiche. Si tratta di un tentativo di creare un «paracadute» collettivo che permetta all’Ucraina di rinunciare ad alcune ambizioni strategiche (prima fra tutte l’ingresso nella NATO) pur restando difendibili.
Il diavolo, tuttavia, risiede nei dettagli: mentre i garanti occidentali parlano di impegni vincolanti, fonti vicine ai negoziati avvertono che alcuni elementi chiave, specie lo status delle regioni occupate come Donetsk e Zaporižžja, restano materia di contesa. Secondo Reuters, gli Stati Uniti avrebbero informato Kiev che il piano contempla la possibilità di ritiri o cambi di controllo territoriale come parte di un accordo complessivo, uno scenario che Zelenskyj continua a definire «inaccettabile» se imposto senza chiare tutele politiche e ricompense per l’integrità ucraina.
La proposta americana e le concessioni necessarie
Dietro le quinte circolano bozze e proposte: l’architettura negoziale proposta dagli Stati Uniti punta a combinare una rinuncia ucraina all’ingresso nella NATO con un pacchetto di garanzie multilaterali, monitoraggio del cessate il fuoco e un robusto meccanismo di riparazione dei danni. L’obiettivo dichiarato è duplice: impedire una nuova aggressione e dare a Kiev lo spazio politico per ricostruire. Tuttavia, osservatori indipendenti sottolineano che molte concessioni chieste a Kiev, anche se descritte come «temporanee», potrebbero avere effetti duraturi sulla sovranità e sulla percezione interna di legittimità del governo.
Il fronte europeo non è unanime
I leader europei riuniti a Berlino hanno pubblicamente sostenuto l’idea di un ruolo guida europeo nella costituenda forza multinazionale, la quale dovrebbe contribuire anche al controllo dello spazio aereo e alla sicurezza marittima. L’Unione e alcuni stati chiave cercano di evitare che la gestione della pace resti esclusivamente nelle mani di Washington o di Mosca, ma diversità strategiche e reticenze politiche interne (mobilitazione di truppe, impegno finanziario, invio di altri pacchetti di armi) rendono il percorso tortuoso.
Ankara prova a tornare nel gioco della mediazione
Nel frattempo, la Turchia, che già in passato ha fatto da ponte diplomatico fra Mosca e Kiev, ha offerto nuovamente Istanbul come sede di un possibile round negoziale. Il presidente Recep Tayyip Erdoğan ha dialogato con entrambi gli attori e l’apparato diplomatico turco parla di «spazio neutro» e di misure tecniche (come un cessate il fuoco limitato per proteggere infrastrutture energetiche e portuali) che potrebbero favorire un avvicinamento. Mosca per ora valuta con favore questa disponibilità, ma resta cauta sui termini concreti degli incontri.
Giustizia e risarcimenti: la partita dietro le quinte
Un altro tassello che avanza è quello della riparazione del danno: Zelenskyj e oltre 30 paesi stanno per approvare a L’Aia la costituzione di un organismo internazionale per far affluire richieste di risarcimento e tracciare l’uso dei fondi, con l’ipotesi, molto dibattuta e al momento illegale, di impiegare beni e asset russi congelati come fonte principale. Questo capitolo, nella chiave dell’ottica europea, è cruciale non solo per l’economia ucraina post conflitto, ma anche per la legittimità di un accordo che dovesse includere compromessi territoriali.
Ostacoli e scenari: da una tregua fragile a una pace durevole
Gli scenari possibili sono vari: un accordo pragmatico che offra garanzie di sicurezza e un cronoprogramma per il ritorno progressivo del controllo ucraino su alcuni territori; Una eventuale tregua a lungo termine cementata da forze internazionali, ma senza soluzione definitiva sullo status dei territori, con il rischio del congelamento del conflitto fino a chissà quando; Un fallimento dei negoziati che porterebbe a una nuova escalation sul campo, con conseguenze impossibili da prevedere.
Gli analisti militari e diplomatici avvertono che la «soluzione tecnica» (monitoraggio, forze internazionali, meccanismi finanziari) potrebbe funzionare solo se accompagnata da credibili deterrenti politici e da un consenso sufficientemente ampio tra gli alleati. Senza questo, anche un accordo firmato rischia di trasformarsi in un’inutile e temporanea sospensione di ostilità.
La pace è vicina, ma ne siamo sicuri?
Le ultime settimane mostrano progressi diplomatici inusitati rispetto al passato: molte capitali sembrano pronte a mettere sul tavolo garanzie concrete e strumenti finanziari per la ricostruzione. Tuttavia, la vera domanda resta politica: quale prezzo sarà chiesto a Kiev, e fino a che punto gli ucraini saranno disposti a scambiarlo con la fine della guerra? In un contesto di pressioni interne, corruzione e promesse internazionali, la strada verso una pace duratura passa dal riconoscimento che la sicurezza di Kiev non possa essere un prestito temporaneo pagato dai cittadini comuni, ma debba essere costruita, un tassello alla volta, con solide garanzie internazionali e attenzione alle istanze di giustizia che vengono dal dolore dei civili e delle popolazioni coinvolte.
