Home » Attualità » Esteri » Nell’agitato condominio del Golfo

Nell’agitato condominio del Golfo

Nell’agitato condominio del Golfo

Sauditi ed emiratini, un tempo alleati inseparabili, sono ai ferri corti. E in molti provano a insinuarsi nelle crepe di questo conflitto. L’Italia resta in attesa, ma ci sono rischi per la sponda sud del Mediterraneo.


Il nucleo centrale del «Piano Mattei» di Giorgia Meloni è una ambiziosa agenda afro-mediterranea, che punta tra l’altro a stabilire una relazione forte con il Golfo e acquisire così maggiore profondità strategica verso l’Oceano Indiano. Eppure, forse perché a lungo occupati a contendere ai sauditi l’Expo 2030, gli strateghi diplomatici italiani non stanno svolgendo riflessioni ad alta voce sulla crescente conflittualità tra gli emiratini e i sauditi.

A giugno di quest’anno è stato un lungo articolo del Wall Street Journal a rivelare ciò che in realtà è sotto gli occhi di tutti da tempo: tra il presidente emiratino, Sheikh Mohammed bin Zayed, e il «Crown Prince» saudita, Mohammed bin Salman, l’idillio si è spezzato. Bin Salman non è più un pària sulla scena internazionale, e gli emiratini vivono con fastidio la sua leadership che non valorizza più il ruolo riferimento delle élite del Golfo. Tale delusione non viene espresso solo a porte chiuse, ma sempre più esternato con gesti plateali. Bin Zayed, per esempio, non ha preso parte al summit dei leader arabi né alla conferenza della Lega araba in occasione della recente visita del presidente cinese Xi Jingping nella capitale saudita.

Ancora più fragorosi sono i dissidi in seno all’Opec, il cartello petrolifero internazionale. I sauditi, esattamente come la Russia di Vladimir Putin, puntano a contenere la produzione e controllare i prezzi tramite la leva dell’offerta. Gli emiratini, invece, hanno aumentato la propria produzione a cinque milioni di barili al giorno, e vogliono espandere le esportazioni per massimizzare i profitti e accrescere le proprie quote mercato, anche tramite un ribasso dei prezzi. Gli stracci volano anche al di là del petrolio e del gas.

I sauditi pretendono che tutte le società intenzionate a fare affari con il proprio regno, che è la maggior piazza economica del Medio Oriente, stabiliscano un quartier generale in Arabia Saudita. Si tratta di un autentico ultimatum, che scade alla fine di quest’anno. Questa mossa è stata letta come un duro colpo a Dubai, che a oggi è il centro di interessi finanziario più affollato dell’area, a cui si sommano altri elementi come il lancio di una nuova compagnia aerea di bandiera saudita, e l’inaugurazione di sfarzose destinazioni turistiche in nella penisola araba. In sintesi: è scontro aperto tra i sauditi e i loro vicini.

A osservare con grande attenzione quanto accade nel Golfo sono ovviamente gli israeliani. Gerusalemme sa infatti che gli accordi di Abramo sono stati resi possibili anche dal grande affiatamento che, appena pochi anni fa, c’era tra l’emiratino Bin Zayed e il saudita Bin Salman. All’epoca il primo era a tutti gli effetti il mentore del secondo, che ne ascoltava con interesse i consigli. Cosa resta oggi di tutto ciò? Le cronache dei primi giorni di agosto riferiscono di un invito ufficiale da parte dei vertici iraniani a quelli emiratini. Gli israeliani temono che le frizioni tra sauditi e altre monarchie del Golfo finiscano per sgretolare il fronte di contenimento di Teheran, che rimane un imperativo strategico per Israele.

Non sfugge poi che i cinesi, da mesi impegnati in un serrato corteggiamento nei confronti delle principali potenze del Golfo, siano tra i principali promotori di un disegno di rapprochement tra il Golfo e l’Iran, vassallo del Dragone. Pechino, e con essa Teheran, punta a incunearsi nelle linee di faglia tra sauditi ed emiratini? Di certo, a puntare parecchio sui primi sembrano essere i francesi, che hanno accolto trionfalmente Bin Salman a Parigi e stanno intensificando il rapporto bilaterale con Riyadh. Non è escluso che la Francia scommetta sulla volontà del principe Bin Salman di «emanciparsi» dallo storico rapporto che lega la casa regnante saudita al suo Deep State. Scommessa a dir poco pericolosa. Tanto più che nel Golfo i rapporti sono piuttosto cangianti, e si riplasmano con la stessa facilità con cui il vento fa e disfa le dune nel deserto. A ogni buon conto, sarà il caso che anche a Roma osservino con attenzione cosa accade da quelle parti. La ragione principale è presto detta: a fare le spese delle «liti condominiali» tra sauditi e emirati rischiano di essere i Paesi nel vicinato prossimo dell’Italia, cioè quella sponda sud del Mediterraneo dove le potenze del Golfo agiscono per delega.

L’autore, Francesco Galietti, è esperto di scenari strategici, fondatore di Policy Sonar

© Riproduzione Riservata