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Per uscire finalmente dalle fauci del Dragone

Per uscire finalmente dalle fauci del Dragone

Le tensioni Cina-Taiwan hanno convinto gli strateghi tedeschi a mettere mano a scenari e piani di emergenza.


Nel dibattito pubblico italiano le tensioni tra Pechino e Taiwan e tra Cina, Stati Uniti e Giappone formano oggetto di un dibattito ferragostano, tanto vivace quanto superficiale. Ha fatto bene Nancy Pelosi, la leader democratica, a visitare l’isola proprio ora, o se l’è andata a cercare? Chi ha la marina militare più grande e moderna? Quanti giorni impiegherebbero gli Usa a correre in soccorso di Taiwan? Gossip, chiacchiere da ombrellone o poco più. Altrove, l’attenzione si è ormai spostata sulle conseguenze che un inasprimento dei rapporti tra Pechino e Taipei avrebbe per le economie occidentali. I tedeschi, in particolare, sembrano non darsi pace.

Non passa un solo giorno senza che i principali quotidiani della Germania rilancino studi, simulazioni, scenari di ogni tipo. Sono coinvolti illustri think tank di politica estera come la Swp, così come centri economici come lo Zew e lo Ifo. Anche i politici, specie i liberali della Fdp, hanno preso a parlare piuttosto apertamente di sanzioni e contro-sanzioni, embarghi e ritorsioni. Insomma: si è fatta largo la consapevolezza che le cose potrebbero mettersi male pure se non si arrivasse a un vero attacco anfibio cinese. Tra le prime a essere colpite ci sono le rotte commerciali marine che mettono in collegamento Oriente e Occidente. Non solo, ovviamente, quelle che passano dallo Stretto di Taiwan, ma anche tante altre direttrici che si ritroverebbero in acque divenute troppo calde. Di colpo, tornerebbero a farsi sentire le strozzature e i rallentamenti nei rifornimenti. In Asia, ne sarebbero interessati in tanti oltre alla stessa Taiwan e alla Cina: Giappone e Corea del Sud, ma non solo. In Occidente, non c’è davvero che l’imbarazzo della scelta. Di questi inceppamenti nella grande macchina del commercio globale abbiamo già avuto alcune anteprime durante la panedemia. Con uno scenario pre-bellico, tuttavia, sarebbero all’ordine del giorno.

Molti armatori e petrolieri sono quindi chini sulle mappe e hanno iniziato a ridisegnare le rotte delle loro navi. Per ora si tratta soprattutto di «fare un giro più largo», più lungo e dispendioso ma più sicuro. Ma domani? Alcuni Paesi dipendono totalmente dal commercio via mare, che non riuscirebbero a surrogare in altro modo. La storia insegna che, se sentissero «mancare l’ossigeno», potrebbero precipitare in scelte drastiche. Il tragico raid giapponese contro Pearl Harbor di oltre ottant’anni fa, per esempio, fu deciso da un Giappone asfissiato dall’embargo petrolifero imposto dagli Stati Uniti come risposta all’invasione nipponica dell’Indocina francese del 1940.

I tedeschi, dicevamo, sono in fibrillazione. La circostanza non può stupire più di tanto. La Germania è a dir poco esposta verso l’Asia, che è sia una fabbrica offshore sia un enorme mercato per il suo export – a oggi, più del 40 per cento del fatturato dell’automotive tedesco è realizzato in Cina. E questa dipendenza di interessi dovrebbe interessare un po’ anche a noi italiani, visto quante imprese tricolore medie e piccole sono integrate nelle catene del valore tedesche in tutto il mondo. La presenza industriale tedesca in Asia, certo, riflette la scelta fatta anni fa di produrre a ridosso dei propri clienti e mercati. È anche il frutto, però, di due interi decenni cui la classe politica tedesca – socialdemocratici a guida Gerhard Schroeder prima, cristiano democratici merkeliani poi – ha ripetuto disinvoltamente la formula del Wandel durch Handel. Si tratta dell’idea che commerciando con un regime despotico lo si possa in qualche maniera addolcire, senza complesse (e dolorose) valutazioni di opportunità sulla natura del Paese ospite. Illusioni.

Con questa scusa, la Germania si è vieppiù spinta tra le fauci dell’Eurasia, legandosi a Russia e Cina e venendone condizionata. C’è da dire che, da qualche tempo a questa parte, la politica tedesca ha cambiato spartito. A Berlino i cristiano democratici non sono più al potere. Merkel è uscita di scena. Le luci della ribalta sono ora tutte per i Verdi e per Annalena Baerbock, la dinamica ministra degli esteri che fa piazza pulita dei compromessi in politica estera del merkelismo. Al posto di «Mutter Angela» è arrivato Olaf Scholz, un cancelliere socialdemocratico e atlantista. Lars Klingbeil, che dei socialdemocratici è il capopartito, in uno storico discorso alla fondazione Friedrich Ebert, ha anche dichiarato che la Germania deve essere una potenza-guida, una Führungsmacht, a pieno titolo. Ebbene: sciogliere l’abbraccio con le potenze autocratiche dell’Eurasia – Pechino e Mosca in testa – sarà un passaggio doloroso, ma obbligato, di questo processo.

L’autore, Francesco Galietti, è esperto di scenari strategici, fondatore di Policy Sonar

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