I leader Ue volano di nuovo a Pechino, ma i toni sono cambiati e Bruxelles si è dotata di armi affilate. Nel segno della «sicurezza economica».
Tra le capitali europee e Pechino, traffico aereo e «shuttling diplomatico» sembrano procedere a braccetto. Il 30 marzo è stato il turno del premier spagnolo, Pedro Sánchez, volato a Pechino per partecipare al Boao Forum e per discutere del piano cinese per l’Ucraina. Ciò benché gli stessi vertici della Ue abbiano già chiarito che non si possa considerare un piano di pace, bensì un modo per «congelare» il conflitto prima della controffensiva ucraina, ormai imminente. Non a caso l’industria della difesa tedesca Rheinmetall sta allestendo in tutta fretta un centro lungo il confine tra Romania e Ucraina per la manutenzione e la logistica dei mezzi corazzati occidentali forniti a Kiev. Dopo Sánchez, è stato il presidente francese Emmanuel Macron a volare in Cina assieme alla presidente della Commissione, Ursula von der Leyen. Meglio non farsi trarre in inganno dalle apparenze.
Per un verso, questi frequenti andirivieni sono la conseguenza della recente riapertura cinese dopo un lungo isolamento dovuto alla strategia «zero Covid» cinese. Consapevoli delle crescenti tensioni tra Cina e Usa, le cancellerie europee sanno fin troppo bene che non sarà possibile riportare indietro le lancette dell’orologio della Storia. Per questa ragione, stanno ora ricalibrando le proprie relazioni commerciali e industriali con la Cina, conciliandole con le nuove agende di sicurezza nazionale.
Per altro verso, i tempi sono cambiati e, con loro, i toni. Gli incontri degli ultimi tempi hanno poco a che fare con i salamelecchi di qualche anno fa. Il calendario di vertici internazionali è molto fitto, e la Cina ne è il proverbiale convitato di pietra. Dal 16 al 18 aprile avrà luogo il vertice dei ministri degli Esteri G7, che segue di poco l’analoga riunione dei ministri della Difesa. A giugno si riunirà l’importantissimo Eu-Us Trade and Technology Council, «camera di compensazione» atlantica per le più delicate questioni di tecnologia e politica commerciale. A ottobre, invece, al vertice dei ministri G7 per il Commercio estero la pietanza principale sarà, manco a dirlo, la sicurezza economica. Vale a dire: come tutelarsi rispetto a Pechino.
Nelle stesse ore in cui Pedro Sánchez era al Boao Forum, a Bruxelles Ursula von der Leyen svolgeva un ragionamento di tutt’altro tenore sui rapporti sino-europei. La presidente della Commissione era ospite dello European policy centre e di Merics, un think tank berlinese specializzato in investimenti cinesi. Pur non chiudendo i boccaporti diplomatici con Pechino, Von der Leyen è stata dura. Pechino, ha notato, ha voltato pagina su riforme e apertura internazionale e ha puntato tutto su sicurezza e controllo interno. Ha poi aggiunto che il completo disimpegno economico («de-coupling») dalla Cina allo stato attuale non è un’opzione, mentre ha posto l’accento sul «de-risking», cioè su relazioni caratterizzate dalla rinuncia all’ingenuità. Bruxelles si prepara a un giro di vite sui trasferimenti di tecnologia e di beni «dual use» verso la Cina, e la presidente della Commissione ha accennato all’imminente introduzione di meccanismi istituzionali per restringere gli investimenti europei nel gigante asiatico. Si tratterebbe di un sistema come l’ormai notissima disciplina «golden power» italiana, che però, anziché servire per stoppare o limitare lo shopping cinese in ingresso in Italia, ha lo scopo di evitare investimenti europei in uscita verso Pechino. Dove, va sottolineato, non la stanno prendendo bene. Il rappresentante diplomatico cinese presso la Ue, Fu Cong, ha diffidato la Ue a seguire gli Usa sulle restrizioni all’export verso il suo Paese. A preoccuparlo è soprattutto la piccola Olanda, i cui sofisticati macchinari sono indispensabili nella produzione di microchip.
A inizio giugno, infine, entrerà in vigore il «Foreign Subsidies Regulation», un regolamento Ue che serve a neutralizzare gli acquisti strategici cinesi a partire dai sussidi di vario tipo di cui beneficiano le imprese cinesi: garanzie senza limiti, denaro gratis o poco ci manca, sussidi che portano a concentrazioni di mercato. Con Pechino, il tempo dell’ingenuità è finito. n
L’autore, Francesco Galietti, è un Esperto di scenari strategici, fondatore di Policy Sonar
