Mentre cerca risorse per finanziare gli effetti sanitari ed economici del Covid-19, il ministero degli Esteri garantisce fondi a Paesi in via di sviluppo con finalità di spesa che cambiano all’ultimo minuto.
Sarebbero almeno 500 i milioni di euro che il Fondo della cooperazione e dello sviluppo del ministero degli Esteri si appresterebbe a destinare «in aiuti a Paesi stranieri». Manca solo la formalizzazione, che dovrebbe arrivare durante il prossimo Comitato congiunto, cui è riservata l’approvazione di iniziative di cooperazione di valore oltre i due milioni di euro. Sempre secondo le fonti di Panorama alla Farnesina, sarebbero già stati individuati i vari capitoli di spesa e gli Stati beneficiari di questi fondi mentre, in tempi di coronavirus, si discute ancora sui 400 milioni destinati ai Comuni per i buoni spesa in aiuto ai cittadini indigenti.
Lo stanziamento è stato anche stigmatizzato di recente da un’interrogazione parlamentare del gruppo Fratelli d’Italia alla Camera, alla presenza del ministro degli Esteri Luigi Di Maio. Il quale però, rispondendo, ha fornito dettagli su due soli importi: 50 milioni per la Tunisia e di 21 milioni per la Bolivia.
La notizia, tra l’altro, prima era stata smentita dallo stesso ministero degli Esteri, derubricata come fake news. Alla fine è stata confermata con la motivazione che si tratta di accordi bilaterali che risalgono al 2017. Peccato che l’ambasciata italiana a Tunisi, in un breve commento sulla propria pagina Facebook (rimosso poche ore dopo la pubblicazione), abbia parlato di questi fondi come primo aiuto per far fronte all’emergenza sanitaria da Covid-19. E c’è da ricordare che il governo di Tunisi, sabato 11 aprile, sempre nell’ambito di cooperazione tra Paesi mediterranei, ha inviato una piccola rappresentanza sanitaria (due rianimatori e cinque infermieri), in aiuto al personale nel reparto di rianimazione del nuovo ospedale nell’ex Fiera di Milano.
Delle due l’una: o il ministero degli Esteri dispone di veggenti che già due anni fa prevedevano la diffusione globale del coronavirus, oppure come sostiene Andrea Delmastro, membro di opposizione della Commissione esteri, «questi fondi potevano e dovevano essere bloccati. È un’eventualità scritta negli stessi accordi bilaterali con Tunisi, quando ci sono motivi di forza maggiore, come possono essere gli effetti di una pandemia».
Anche sulla Bolivia restano i dubbi sull’impiego del finanziamento. In un’intervista al quotidiano boliviano El Mundo, Angelo Benincasa, direttore della sede dell’Agenzia italiana per la cooperazione e lo sviluppo in Bolivia, si è affrettato a spiegare che il nostro Paese appoggerà il governo di La Paz nella lotta contro Covid-19 con circa 21 milioni di euro, in arrivo dalla Cassa depositi e prestiti.
Quella dei fondi di cooperazione è una lunga storia, ricca di episodi controversi finiti anche sotto la lente della Corte dei conti e della magistratura. Nel 2014 l’allora ministro degli Esteri Emma Bonino ha voluto trasformare il ministero degli Affari esteri e della Cooperazione, istituendo specificamente l’Agenzia italiana per la cooperazione e lo sviluppo internazionale (Aics). Si tratta della riforma attuata con la legge 125 del 2014, che ha lasciato però vari nodi irrisolti. Uno di questi è la stessa organizzazione dell’Aics: un ente con personalità giuridica, statuto e bilancio autonomi che costa circa 25 milioni di euro l’anno, tra spese di funzionamento e quelle per il personale (450 dipendenti a Roma e all’estero), e gestisce fondi per circa 600 milioni di euro all’anno.
Sugli obiettivi che si propone la cooperazione – lotta alla povertà, tutela dei diritti umani, prevenzione dei conflitti, lotta alle diseguaglianze di sesso, genere e razza – nessuno obietta. Diverso il discorso su come questi fini vengano perseguiti e a chi arrivino i finanziamenti; nel recente passato, in effetti, ci sono stati casi come quello dei 12 milioni di euro riconosciuti alla Marina tunisina nel 2017 per adeguare la propria flotta di pattugliamento delle coste, o come i 50 milioni, sempre nello stesso anno, per le unità speciali al confine con il Niger.
Quel che pare mancare è una strategia che scongiuri il rischio che le risorse vengano utilizzate in progetti non valutati correttamente. Sul Fondo Africa, con dotazione di 200 milioni di euro istituito nel 2017 dal governo Renzi, sta ora indagando il Consiglio di Stato. Questi aiuti, invece che puntare a progetti di sviluppo nei Paesi d’origine dei migranti, come da programma, sarebbero stati utilizzati per i rimpatri e per le motovedette che l’Italia ha fornito alla guardia costiera libica. Negli ultimi anni, dunque una quota crescente degli aiuti alla cooperazione sarebbe stata spesa per l’accoglienza dei rifugiati, gonfiandone a livello contabile i bilanci, ma di fatto sottraendo risorse a progetti e attività a favore dello sviluppo nei Paesi più poveri (la spesa per l’emergenza migranti è passata da 840 milioni nel 2011 ai circa 4,7 miliardi nel 2018).
E sì che basterebbe solo copiare chi è evidentemente più bravo di noi. Si prenda la Francia: con il progetto Choose Africa l’Afd, Agenzia per lo sviluppo e la cooperazione, investirà 2,5 miliardi di euro entro il 2022 in piccole e medie realtà imprenditoriali e start-up africane e da tempo promuove una politica di interventi di sviluppo in loco. Obiettivo, aiutare gli Stati destinatari, ma anche avere «ritorni» in materie prime.
Panorama ha rivolto alcune domande su dove andrà il prossimo finanziamento di svariate centinaia di milioni di euro al viceministro degli Esteri, Emanuela Claudia Del Re. Le risposte sono che al momento non c’è una data fissata per il Comitato congiunto che deve autorizzare lo stanziamento, ma che sarebbe comunque inferiore ai 500 milioni. Una parte significativa di tali fondi dovrebbe essere destinata a impegni presi a livello politico, per esempio il Fondo globale sulla lotta alla malaria, Tbc e Aids il cui impegno è stato preso dal presidente Conte al G7 di Biarritz, lo scorso agosto.
Il quadro dei Fondi di cooperazione resta in ogni caso difficile da tracciare negli esatti contorni. Questo accade anche perché la legge 125/2014 non dà un ruolo esplicito di promozione e realizzazione dei progetti all’Aics, che svolge invece attività più di carattere tecnico-operativo. Ecco che un ping pong come quello sul destino dei fondi per Tunisia e Bolivia può sempre accadere.
