Home » Attualità » Esteri » In Ucraina la pace è possibile?

In Ucraina la pace è possibile?

In Ucraina la pace è possibile?

Mentre Russia e Ucraina non cedono sulle loro posizioni, in tutto il mondo proseguono le trattative, spesso segrete, per una via d’uscita. Difficile e accidentata. Ma inevitabile.


Il 19 e 20 settembre Volodymyr Zelensky ha presentato all’assemblea dell’Onu e al Consiglio di sicurezza, paralizzato dal veto russo, il piano ucraino per la pace. Dieci punti che al Cremlino considerano inaccettabili. I cinesi hanno pure un piano, su 12 punti programmatici, ma per ora non prevede alcun ritiro russo. Il Vaticano porta avanti un tentativo tenace di mediazione, gli americani mantengono aperto un canale segreto con Mosca, Vladimir Putin scommette sulla rielezione di Donald Trump che ha promesso di chiudere il conflitto in 24 ore. Le più importanti cancellerie europee da Roma, Berlino e Parigi puntano su una via d’uscita, ma non lo dicono pubblicamente perché qualsiasi «piano B» viene bollato come un tradimento da Kiev.

Panorama fa il punto della pace (im)possibile per uscire da una mattanza senza fine nel cuore dell’Europa. «Ci si scervella su un pacchetto di proposte» spiega Giampiero Massolo, presidente dell’Istituto per gli studi di politica internazionale. «Vedo tre punti base: il primo è accantonare per ora la questione Crimea. Il secondo è garantire agli ucraini un itinerario verso Ue e Nato o un modello “porcospino”, come Israele, ossia rafforzarsi per diventare un boccone indigesto per chiunque. Terzo punto, un referendum o plebiscito, sotto controllo internazionale, per la sorte del 18 per cento del territorio ucraino in mano russa». Massolo, ex direttore del Dis, che a Palazzo Chigi coordina le attività dei servizi segreti, aggiunge: «Tre elementi spingono a premere per un’intesa. La situazione militare sul campo, che non fa prevedere una svolta, le elezioni americane per la Casa Bianca e un certo affaticamento nei confronti della guerra, anche per gli alleati dell’Ucraina».

Il piano di pace di Volodymyr Zelensky, che ha incassato un’apertura di credito da parte della Cina alla conferenza di Gedda, prevede il completo ritiro delle truppe russe e il ritorno della sovranità ucraina sui territori occupati. «A Kiev ci sono riunioni con i diplomatici alleati sui 10 punti del piano di sicurezza per limare, ma sarà difficile raggiungere qualcosa di concreto. Gli ucraini temono di venire scavalcati da altre iniziative e vogliono mantenere l’offensiva diplomatica» osserva una fonte occidentale di Panorama.

Il 6 settembre Zelensky ha sostituito il ministro della Difesa, Oleksii Reznikov, che farà l’ambasciatore a Londra, con Rustem Umerov: un esponente della minoranza tatara della Crimea, massacrata e deportata da Stalin, che si è opposta all’annessione alla Federazione russa. Umerov, imprenditore della telefonia e parlamentare, ha sempre partecipato alle trattative, seppure abortite, con i russi per la Crimea, e nel 2022 quando gli invasori erano arrivati vicino a Kiev. Ha gestito scambi di prigionieri di alto profilo, l’evacuazione dei civili e preso parte ai colloqui per il corridoio del grano. «Un negoziatore perfetto, e vicino agli americani» nota Arduino Paniccia, presidente dell’Asce, Scuola di alta formazione a Venezia su strategia, guerra ed economia.

L’aumento di segnali e pressioni per una via negoziale, come il comunicato del G 20 in India che per la prima volta non cita «l’aggressione russa», sta provocando dure reazioni. Il 12 settembre, la settimana prima dell’intervento di Zelensky al Palazzo di Vetro, Mykhailo Podolyak, suo consigliere, ha dichiarato che «l’Onu è solo un’organizzazione di pubbliche relazioni per fare guadagnare la pensione ai suoi dirigenti». Ha attaccato anche altre istituzioni tipo Aiea, Croce rossa, Amnesty International, per le loro «valutazioni spazzatura». Dito puntato pure su Cina, India e Turchia «che guadagnano grazie alla guerra». L’ex capo di stato maggiore della Difesa, Vincenzo Camporini, si dice «scettico su un negoziato. Nessuno dei contendenti può fare un passo indietro pena la scomparsa, forse anche fisica, almeno a Mosca».

La Russia neppure prende in considerazione una trattativa fino a quando gli ucraini non fermano la controffensiva. «A Mosca si è consapevoli che difficilmente i vertici russi faranno marcia indietro» dichiara una fonte occidentale di Panorama. «Il punto di partenza di qualsiasi intesa è congelare la situazione: una soluzione alla coreana del conflitto. La linea del fronte diventa il confine non scritto». Paniccia ha una proposta più articolata: «Nel 1945 fu evitata una nuova guerra mondiale grazie alla presenza alleata a Trieste, che faceva da cuscinetto con la Jugoslavia di Tito ancora filo Stalin. Alla fine il capoluogo giuliano è tornato all’Italia e l’Istria è rimasta alla Jugoslavia. Un sacrificio, ma abbiamo evitato il peggio. In Ucraina ci vuole un cessate il fuoco, il ritiro di entrambe le truppe, oltre la gittata di artiglieria, e una forza di interposizione internazionale. Poi si inizierà a discutere».

Un’idea simile è stata discussa in aprile a New York, in un incontro riservato fra il ministro degli Esteri russo, Sergey Lavrov, e alcuni esperti americani. Primo fra tutti Richard Haass, ex diplomatico e presidente del Council on foreign relation, Charles Kupchan specializzato in Europa, e l’esperto di Russia, Thomas Graham, che hanno lavorato alla Casa Bianca e al Dipartimento di Stato. Il presidente americano, Joe Biden, era informato e in successivi incontri sono stati coinvolti ex militari Usa. Almeno un ex funzionario americano è volato a Mosca per cercare una via d’uscita. Haass e Kupchan hanno scritto un articolo sulla rivista geopolitica Foreign affairs. L’obiettivo, affermano, è «creare una zona demilitarizzata fra le due forze in campo e un’ente neutrale – l’Onu o l’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa – invierebbe osservatori per far rispettare il cessate il fuoco e il ritiro». Se la tregua reggesse «dovrebbero seguire colloqui di pace».

Proposta semplice, che forse non funzionerebbe, ma solo averla resa pubblica ha scatenato reazioni furiose. «Qualsiasi discussione su un Piano B è un tabù» dichiara Kupchan al New York Times. «Riceviamo una tempesta di critiche e attacchi». La situazione rischia di peggiorare in vista delle elezioni di novembre alla Casa Bianca. Il 12 settembre Putin è entrato a gamba tesa nella campagna elettorale dichiarando che «tutto ciò che accade a Trump è una persecuzione per ragioni politiche». Il 13 settembre il cardinale Matteo Zuppi è volato a Pechino, quarta tappa della missione affidata dal Papa per provare a metter fine al conflitto. «L’auspicio è di tessere la difficile tela della pace» ha detto -prima di partire per la Cina – l’alto prelato, che si è fatto le ossa con successo nel 1990 come mediatore con Andrea Riccardi e la Comunità di Sant’Egidio per la pace in Mozambico. Ma Kiev non vede di buon occhio la mossa del Vaticano e considera il Papa filo russo.«Qualche coinvolgimento della Cina va messo nel conto» commenta Massolo. «La guerra a bassa intensità è un esito plausibile, ma lasciare un conflitto aperto nel cuore dell’Europa non può bastare alla diplomazia».

L’Italia punta sul Vaticano, ma il governo «ha alcune idee per la pace», come trapela da Palazzo Chigi. Giorgia Meloni mantiene un ottimo rapporto con il premier indiano Narendra Modi, che ha grande influenza sui paesi emergenti. L’obiettivo è coinvolgere l’India. Il ministro degli Esteri Antonio Tajani conferma a Panorama che «stiamo facendo tutti gli sforzi: appoggiamo la Turchia per trovare un accordo sul corridoio del grano nel Mar Nero, il Vaticano per la missione del cardinale Zuppi, e insistiamo per una zona neutrale attorno alla centrale nucleare di Zaporizhia. Ma temo sarà una guerra lunga». Anche se la pace per ora appare lontana, un ex ambasciatore di lungo corso come Mauro Marsili ribadisce che il conflitto «un giorno finirà. Ma più tardi sarà, più ci renderemo conto del prezzo mostruoso che aggressori, aggrediti e terze parti avranno pagato per avere ostinatamente impedito alla diplomazia di svolgere un ruolo determinante».

© Riproduzione Riservata