Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha accusato l’Iran di essere impegnato nello sviluppo di un missile balistico intercontinentale in grado di trasportare testate nucleari e di colpire non soltanto Israele ma anche l’Europa e gli Stati Uniti. L’allarme è stato lanciato in un’intervista al podcaster Patrick Bet-David, durante la quale il premier ha parlato di una minaccia «imminente e globale», sottolineando che Israele non esiterà ad agire anche da solo qualora la comunità internazionale non intervenisse. «Teheran non sta cercando il dialogo – ha dichiarato Netanyahu – ma il tempo necessario per completare un arsenale che cambierebbe il volto della sicurezza mondiale». Secondo il leader israeliano, la prospettiva che un regime ostile ottenga la capacità di colpire direttamente Washington o Bruxelles rappresenta uno scenario che l’Occidente non può permettersi di ignorare.
Nello stesso momento a Vienna, il direttore generale dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica, Rafael Grossi, è stato posto sotto protezione speciale dai servizi segreti austriaci. L’unità Cobra, reparto d’élite della sicurezza interna, gli garantisce una scorta armata continua e veicoli blindati dopo che l’intelligence ha ricevuto informazioni credibili su una minaccia diretta proveniente da ambienti legati all’Iran. Si tratta di un dispositivo che di norma viene predisposto solo per il cancelliere o per le più alte autorità dello Stato, un segnale della gravità attribuita al rischio che corre il capo dell’AIEA. Grossi, diplomatico argentino con una lunga carriera internazionale, si è così ritrovato improvvisamente nel mirino di una campagna di delegittimazione orchestrata da Teheran.
Le accuse nei suoi confronti si sono intensificate negli ultimi mesi: media e funzionari vicini alla Guida Suprema Ali Khamenei lo hanno definito «spia israeliana», arrivando a chiedere il suo processo e persino la condanna a morte. Ali Larijani, ex presidente del Parlamento e oggi consigliere di Khamenei, ha dichiarato che «quando la guerra finirà, ci occuperemo di Grossi», un messaggio che ha assunto i toni di una sentenza anticipata. Per l’AIEA la situazione è diventata talmente grave che, dopo gli scontri della scorsa estate tra Israele e le milizie sostenute da Teheran, è stato deciso il ritiro degli ispettori dal Paese, temendo per la loro sicurezza.
Il contenzioso si lega direttamente al programma nucleare iraniano, che dopo il ritiro unilaterale degli Stati Uniti dall’accordo del 2015 deciso dall’amministrazione Trump ha subito una forte accelerazione. Secondo fonti indipendenti, Teheran avrebbe accumulato uranio arricchito sufficiente a produrre fino a dieci ordigni atomici. Grossi ha denunciato la mancanza di collaborazione e un «ostruzionismo senza precedenti» da parte delle autorità iraniane, accusate di ostacolare ogni indagine sul materiale non dichiarato. Israele, dal canto suo, considera queste violazioni una minaccia diretta alla propria sopravvivenza, e le parole di Netanyahu riflettono il timore diffuso a Gerusalemme che il tempo giochi a favore dell’Iran. Il caso Grossi si inserisce in una strategia che la Repubblica islamica ha più volte applicato contro dissidenti e figure ostili anche fuori dai propri confini. Nel 1992, a Berlino, l’attentato noto come massacro di Mykonos costò la vita a quattro oppositori curdi su ordine diretto di alti dirigenti iraniani. Due anni dopo, a Buenos Aires, l’attentato al centro ebraico AMIA provocò 85 morti ed è stato attribuito a Hezbollah con l’appoggio dei servizi di Teheran. Più recentemente, diversi Paesi europei hanno sventato complotti contro dissidenti iraniani, mentre negli Stati Uniti l’FBI ha denunciato piani di rapimento e di assassinio contro attivisti e giornalisti critici del regime, come la nota dissidente Masih Alinejad. Per l’Iran i confini non rappresentano un limite: i nemici del regime restano bersagli ovunque si trovino.
Mentre la tensione internazionale cresce, la guerra a Gaza continua a mietere vittime e a suscitare appelli alla pace. Papa Leone XIV, aprendo l’udienza generale in Vaticano, ha dichiarato che «la guerra a Gaza deve concludersi» e ha chiesto la liberazione immediata degli ostaggi ancora in mano a Hamas, insieme al via libera agli aiuti umanitari. Il Pontefice ha ribadito l’obbligo di proteggere i civili, condannando ogni forma di punizione collettiva e deportazione. Ha inoltre espresso vicinanza alle comunità cristiane della Striscia, annunciando di unirsi simbolicamente alla dichiarazione dei patriarchi di Gerusalemme, i quali hanno denunciato «le gravi difficoltà» vissute dai fedeli e hanno confermato che sacerdoti e religiosi non abbandoneranno le parrocchie. Sul terreno, Israele ha reso noto che l’evacuazione di Gaza City è considerata inevitabile. Il portavoce delle Forze di difesa israeliane in lingua araba, Avichay Adraee, ha spiegato tramite i social che alle famiglie che si trasferiranno verso sud verrà garantito un sostegno umanitario più consistente.
Intanto, con il sostegno delle forze dall’intelligence dell’IDF e dell’ISA, le forze israeliane proseguono le operazioni militari contro le formazioni terroristiche all’interno della Striscia di Gaza.Nel settore meridionale, le unità dell’esercito hanno neutralizzato diversi miliziani e demolito varie postazioni riconducibili a Hamas e ad altri gruppi armati. Parallelamente, a Khan Yunis, le truppe continuano a consolidare il controllo del corridoio “Magen Oz”, l’asse che unisce la parte orientale con quella occidentale della città. Nel corso delle attività, sono state smantellate strutture operative utilizzate da cellule terroristiche locali.In questi giorni, i reparti hanno inoltre distrutto una serie di tunnel sotterranei scoperti nell’area di Jabaliya, che venivano sfruttati dai combattenti di Hamas per spostamenti e attacchi. Nello stesso contesto, le forze israeliane hanno individuato tre militanti nelle vicinanze di una zona operativa: dopo la segnalazione, un velivolo è stato diretto sull’obiettivo e li ha colpiti con successo. Sul fronte settentrionale della Striscia, l’IDF prosegue con operazioni mirate all’eliminazione di combattenti armati e alla distruzione di infrastrutture, sia in superficie che nel sottosuolo.
