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Missioni all’estero sempre più a caro prezzo

Missioni all’estero sempre più a caro prezzo

La presenza dei soldati italiani in Iraq, Libia, Libano e Afghanistan non richiede solo un impiego di risorse, uomini e mezzi (1,1 miliardi di euro nel 2020). Alla prova dei fatti, si rivela spesso una presenza inutile. Intanto, però, il governo approva nuove spedizioni militari. Altrettanto discutibili.


Dall’Afghanistan avremmo dovuto venire via da tempo. La nostra presenza è ormai una finzione. Anche dall’Iraq sarebbe meglio disimpegnarsi. E per interventi come quello in Kosovo, che ho comandato, bisogna dire basta. Vent’anni per un’operazione di questo genere non è più una missione, ma un’agonia» dice a Panorama, senza tanti giri di parole, Fabio Mini, generale in congedo. Il ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, la pensa diversamente. L’Italia parteciperà a nuove missioni militari in Africa, nonostante la crisi post-Covid, e conferma le vecchie arrivando a 45 operazioni internazionali comprese quelle di polizia. Le Commissioni Difesa hanno cominciato l’iter sulle delibere presentate dal governo per il finanziamento delle operazioni all’estero, che dovranno essere approvate dal Parlamento. Un esborso totale per quest’anno di quasi 1 miliardo e 200 milioni di euro, oltre 3 milioni al giorno, compresi una manciata di stanziamenti per la Cooperazione allo sviluppo. Le nuove missioni costeranno nel 2020 e 2021 «solo» 47.147.373 euro e impiegheranno 1.125 uomini.

Al momento impieghiamo all’estero un numero massimo di 7.343 militari, secondo il sito del ministero della Difesa. Fra le 650 pagine delle due delibere governative si scoprono anche dettagli interessanti, come i 120 milioni di euro per le forze di sicurezza afghane, il quasi mezzo milione di voli business per «assegnazioni brevi» di personale di protezione presso sedi diplomatiche a rischio e 15 milioni per l’Aise, i servizi segreti. «Dopo l’emergenza Covid sarebbe il momento giusto per chiederci se le missioni hanno raggiunto gli obiettivi prefissati» afferma Mini «e capire bene dove concentrare le forze in nome dei nostri interessi nazionali. Poi i militari dovrebbero spiegarlo ai politici. Una delle nuove missioni è in Mali con i francesi. Cosa ci andiamo a fare?».

Il 21 maggio il Consiglio dei ministri ha deliberato «la partecipazione dell’Italia a ulteriori missioni internazionali». In tutto sono cinque, ma il grosso è costituito da due interventi in Africa e dalla missione «impossibile» Irini, che dovrebbe fare rispettare l’embargo delle armi per la Libia. A cavallo fra Mali, Niger e Burkina Faso intendiamo partecipare con 200 uomini, soprattutto dei corpi speciali, alla task force Takuba, una forza multinazionale a guida francese per addestrare e assistere le forze locali «nella lotta contro i gruppi jihadisti» nel Sahel. Il contributo italiano prevede l’impiego di elicotteri per l’evacuazione medica e «assetti aeroterrestri a supporto delle operazioni». Roberto Paolo Ferrari, leghista della commissione Difesa alla Camera, vuole vederci chiaro: «Se nel Sahel pensiamo a missioni vecchie e nuove per tamponare il flusso dei migranti e combattere il terrorismo va bene. Lo scopo deve essere sempre la difesa degli interessi nazionali e non fare da reggicoda ai francesi».

Un’altra novità è l’operazione anti pirateria nel Golfo di Guinea, dove gli abbordaggi rappresentano il 90 per cento dei sequestri in mare di tutto il mondo. Il dispositivo italiano composto da due navi e due aerei per un totale di 400 uomini proteggerà di fronte alla Nigeria «gli asset estrattivi di Eni operando in acque internazionali» e supporterà «il naviglio mercantile nazionale in transito nell’area».

La nuova missione più discutibile riguarda la mini flotta europea davanti alla Libia comandata dall’ammiraglio Fabio Agostini. Eunavfor Med operation Irini dovrebbe fermare la valanga di armi che arrivano in Libia a tutte le forze in campo. Per ora conta su una sola nave greca e tre aeroplanini. Il contributo italiano previsto è di una nave, probabilmente l’unità anfibia San Giorgio, e tre velivoli per un totale di 517 uomini con un costo di 21.309.683 euro. «Irini serve a far vedere che l’Europa esiste con una missione inutile in mezzo al mare quando turchi e russi si spartiscono la Libia. E l’Italia, grazie al comando, finge di non essere stata scalzata e messa ai margini» osserva Gianandrea Gaiani, direttore di Analisi Difesa.

Il generale in congedo Giorgio Battisti, veterano di missioni ostiche, fa notare che «è tutta da dimostrare la capacità di Irini. I turchi hanno fatto sbarcare in Libia carri armati M60 sotto il naso dell’operazione aeronavale europea». Una nave mercantile salpata da Istanbul il 21 maggio con i tank e scortata da una fregata di Ankara è attraccata a Misurata. Il mini-convoglio sarebbe stato segnalato da un’unità italiana, ma che fa parte di un altro dispositivo navale nel Mediterraneo. Ancora più grave, il 10 giugno, la fregata greca Spetsai della missione Irini ha provato a intercettare un mercantile partito dalla Turchia e diretto in Libia sospettato di trasportare armi. Una nave da guerra turca ha intimato alla fregata greca di stare alla larga e in zona è arrivata un’altra unità di rinforzo dimostrando l’inconsistenza della missione europea.

La fitta tabella dei costi per la «proroga delle missioni internazionali» nel 2020 presenta un conto di 1.136.129. 481 euro. Il contributo richiesto «a sostegno delle forze di sicurezza afghane» è di 120 milioni di euro, ma si temono maneggi e truffe, usuali in Afghanistan. Nella scheda si legge che «l’erogazione del finanziamento (…) si accompagnerà a un’azione di monitoraggio sulla corretta gestione dei fondi» da parte di una costola dell’Onu (Undp), che con i nostri soldi permette «l’erogazione dei salari del personale del ministero dell’Interno» di Kabul. «Si può risparmiare, ma bisogna tenere conto che i fondi per le missioni servono ad addestrare le nostre truppe» dice Gaiani. «Il paradosso è che le Forze armate hanno bisogno delle operazioni all’estero per ottenere i soldi che permettono ai reparti di essere operativi e pronti».

La missione più costosa con 219.146.003 euro è quella in Iraq contro la minaccia dello Stato islamico, che prevedeva 1.100 uomini e 12 mezzi aerei compresi caccia di base in Kuwait, elicotteri e droni. In realtà la missione è «congelata» a causa del virus e delle tensioni fra gli americani e l’Iran, che coinvolgono il governo iracheno. Il nostro compito era soprattutto di addestrare i curdi sul fronte nord. La pandemia ha sospeso le attività e 200 uomini sono stati rimpatriati. In Afghanistan, dove gli americani continuano a ritirarsi, abbiamo ancora 800 uomini in gran parte asserragliati nel «fortino» di Herat. La missione continua a costare 129.711.820 euro.

In Libano, con 1.076 caschi blu, spendiamo 120.308.185 euro. In piena emergenza Covid, il capogruppo dei Cinque stelle alla Commissione Esteri del Senato, Gianluca Ferrara, proponeva la smobilitazione. Anche se i grillini hanno idee diverse sulle operazioni internazionali (si veda l’intervista al deputato Luigi Iovino qui sopra). «Un rientro temporaneo, salvo per quelle missioni già in fase di ridimensionamento o conclusione» sosteneva il senatore Ferrara. «Come quella in Afghanistan, dove si tratterebbe solo di accelerare un ritiro già previsto. In Iraq, dove l’Italia schiera un contingente analogo, già si valutava il ritiro delle nostre truppe per motivi di sicurezza. In Libano, dove abbiamo altri mille uomini, potremmo ridurre temporaneamente la nostra presenza. Per le tante missioni minori, potremmo semplicemente interrompere la nostra partecipazione». Un veterano della Folgore, il generale in ausiliaria Marco Bertolini replica a muso duro: «La mania di ritirarci fa parte dell’antimilitarismo ignorante dei grillini. Un Paese come l’Italia non può dire “fermate il mondo che vogliamo scendere”».

La Libia è il vero buco nero, dove i nostri interessi nazionali sono cruciali, ma siamo diventati ininfluenti. Se calcoliamo la nave a Tripoli, l’ospedale militare a Misurata con 300 uomini e il dispositivo di Mare Sicuro nel Mediterraneo a «supporto alla Guardia costiera libica» per fermare i migranti, l’intera operazione ci costa 101.171.668 euro. Peccato che «in Libia siamo stati tagliati fuori dai turchi, che hanno dimostrato come si ribalta la situazione con l’uso delle armi» osserva Bertolini.

«Le missioni utili o inutili vanno definite secondo una prospettiva chiara» conclude Gaiani. «Se vogliamo concentrarci sul Mediterraneo allargato ritiriamoci dall’Afghanistan o viceversa. Ma ci vuole una visione geostrategica globale, che manca alla politica».

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