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Leone XIV non ha paura del Partito comunista cinese: nuova fase per la Santa Sede

Leone XIV non ha paura del Partito comunista cinese: nuova fase per la Santa Sede

Il pontefice ha ricordato un martire polacco del comunismo e ha lasciato chiaramente intendere che i cattolici cinesi attraversano delle “prove”. La libertà religiosa sta tornando centrale

La politica estera della Santa Sede sta probabilmente cambiando. Oggi, dopo il Regina Caeli, Leone XIV ha ricordato la beatificazione di Stanislao Kostka Streich. “Ieri a Poznań (Polonia) è stato beatificato Stanislao Kostka Streich, sacerdote diocesano ucciso in odio alla fede nel 1938, perché la sua opera in favore dei poveri e degli operai infastidiva i seguaci dell’ideologia comunista. Il suo esempio possa stimolare in particolare i sacerdoti a spendersi generosamente per il Vangelo e per i fratelli”, ha dichiarato il pontefice, che subito dopo ha aggiunto: “Sempre ieri, memoria liturgica della Beata Vergine Maria Aiuto dei Cristiani, si è celebrata la Giornata di preghiera per la Chiesa in Cina, istituita dal Papa Benedetto XVI. Nelle chiese e nei santuari della Cina e in tutto il mondo si sono elevate preghiere a Dio come segno della sollecitudine e dell’affetto per i cattolici cinesi e della loro comunione con la Chiesa universale. L’intercessione di Maria Santissima ottenga a loro e a noi la grazia di essere testimoni forti e gioiosi del Vangelo, anche in mezzo alle prove, per promuovere sempre la pace e l’armonia”.

È molto significativo che il riferimento ai cattolici cinesi sia avvenuto subito dopo il ricordo della beatificazione di una vittima dell’ideologia comunista. Così come è indicativo che, parlando ai fedeli cinesi, il pontefice abbia invocato l’intercessione della Madonna, affinché si possa essere “testimoni forti e gioiosi del Vangelo, anche in mezzo alle prove”. Ricordiamo che, nel 2018, papa Francesco e Pietro Parolin avevano firmato il controverso accordo sino-vaticano sulla nomina dei vescovi: un accordo che finora è stato rinnovato tre volte (l’ultima, lo scorso ottobre, per quattro anni). Il punto è che questa distensione nei confronti della Repubblica popolare ha mostrato forti limiti. Non solo il regime comunista cinese ha più volte violato i termini dell’intesa sulla nomina dei vescovi. Ma, in Cina, i prelati non allineati continuano a essere arrestati. È inoltre dal 2018 che Xi Jinping sta portando avanti la cosiddetta “sinicizzazione”: un processo di indottrinamento dei fedeli cattolici, secondo i principi del socialismo. Ebbene, davanti a questi soprusi, la Santa Sede, negli ultimi anni, ha purtroppo chinato spesso il capo. E non sono mancate minimizzazioni delle condizioni difficili in cui versano i cattolici cinesi.  

Non a caso, l’accordo sino-vaticano è stato uno dei dossier centrali alle congregazioni generali e all’interno della Sistina. Negli anni, vari porporati avevano infatti criticato l’intesa: specialmente Raymond Burke, Timothy Dolan, Gerhard Müller e Joseph Zen. Soprattutto Zen, vescovo emerito di Hong Kong, è stato uno dei più duri oppositori dell’accordo, tanto da arrivare a un vero e proprio scontro con Parolin nel 2020. È vero che l’anziano porporato non ha preso parte al conclave per raggiunti limiti d’età. Ed è anche vero che, durante le congregazioni, almeno ufficialmente, non ha potuto parlare dell’intesa sino-vaticana per possibili ritorsioni in patria da parte del regime. Tuttavia va sottolineato come la sua sola presenza alle congregazioni abbia sprigionato un forte simbolismo agli occhi dei porporati. Una presenza che ha probabilmente contribuito a indebolire in modo decisivo la candidatura di Parolin.

D’altronde, l’elezione di uno statunitense come Prevost al soglio pontificio ha rappresentato un’indicazione di discontinuità rispetto alla politica estera di Francesco e dello stesso cardinal segretario di Stato: una linea, la loro, che, oltre alla distensione nei confronti di Pechino, aveva portato anche a un raffreddamento nelle relazioni della Santa Sede con gli Stati Uniti (intesi sia come governo che come Conferenza episcopale). L’elezione di Prevost ha, insomma, riportato a Occidente il baricentro della politica estera vaticana. Questo non significa che Leone sarà un pontefice “occidentalista”: il nuovo papa ha infatti confermato l’attenzione al Sud Globale. Significa però che, probabilmente, la Santa Sede abbandonerà l’arrendevolezza mostrata negli ultimi anni nei confronti di Pechino, ritornando all’approccio che fu di Benedetto XVI, il quale cercò, sì, un dialogo con la Cina, ma lo interruppe quando capì che il regime violava le prerogative e la dignità della Chiesa.

Le parole pronunciate oggi dal pontefice sembrano andare esattamente in questa direzione. Leone ha ricordato i martiri del comunismo e ha, neppur troppo implicitamente, sottolineato le “prove” a cui i cattolici cinesi sono sottoposti. E attenzione. Il fatto che Prevost sia statunitense c’entra fino a un certo punto. La questione è molto più profonda. E chiama in causa la spiritualità agostiniana che caratterizza Leone. Sant’Agostino ha contribuito a elaborare il principio della libertas Ecclesia: la libertà, cioè, della Chiesa dalle ingerenze e dalle persecuzioni dei poteri mondani. Non è del resto un caso che, recentemente, l’attuale pontefice abbia parlato di una connessione tra diplomazia e verità. Nelle questioni internazionali, il pragmatismo è talvolta necessario, certo. Ma la Chiesa è un’autorità spirituale e morale. E davanti ai regimi che la calpestano sistematicamente non può fare finta di nulla. Vedremo come si muoverà il papa nei prossimi mesi. E quali saranno i suoi rapporti con Pechino, soprattutto a partire dall’intesa sui vescovi. Tuttavia le parole pronunciate oggi fanno ben sperare. Per questo papa, la libertà religiosa è un principio fondamentale: ben radicato nella teologia agostiniana. Leone, possiamo dirlo, non ha paura del Partito comunista cinese.

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