Chi l’ha detta meglio è probabilmente Marine Le Pen che, esclusa – almeno per ora – dalla competizione elettorale per iniziativa dei magistrati in Francia, scrive su X: «La Romania ha appena regalato alla signora Ursula von der Leyen un bel boomerang». Il giorno dopo del primo turno delle presidenziali a Bucarest è tristissimo per Bruxelles e agitatissimo nell’immenso Palatul Parlamentului, sede della politica rumena, il secondo palazzo più grande al mondo in stile sovietico. Si è dimesso il primo ministro Marcel Ciolacu, socialdemocratico, che è stato sfiduciato dal suo partito dopo la durissima sconfitta che la fu maggioranza di governo (Psd, Partito liberale e partito filo ungherese) ha subìto al primo turno delle presidenziali domenica con il trionfo del candidato di destra George Simion (Aur, unione dei rumeni). A scrutinio ancora aperto uno degli esponenti di punta del Psd Robert Sighiartau, aveva liquidato il premier: «È evidente che ci deve essere un governo senza Marcel Ciolacu, poiché egli non ha più alcuna legittimità». Dopo una serie di vertici ieri pomeriggio Ciolacu si è recato dal presidente della Repubblica ad interim Ilie Bolojan e ha rassegnato le dimissioni con tutti i ministri socialdemocratici, che restano in carica per l’ordinaria amministrazione per i prossimi 45 giorni, quando si dovrà nominare un nuovo governo. Con tutta probabilità a nominarlo sarà George Simion visto che il ballottaggio per il presidente della Repubblica si terrà il 18 maggio. E, quasi una nemesi, presidente del Consiglio sarà allora quel Calin Georgescu che al primo turno delle presidenziali del novembre scorso aveva sconfitto proprio Ciolacu , che anche allora aveva presentato le dimissioni poi respinte. Rientrate però a seguito dell’intervento a gamba tesa della Corte Costituzionale rumena che aveva annullato quelle elezioni impedendo a Georgescu anche di ricandidarsi perché sarebbero state inficiate da ingerenze russe.
Viene da dire che quei giudici hanno fatto un favore a Simion e alla destra. Georgescu a novembre aveva vinto con circa il 22% dei voti. Ieri Simion ne ha presi quasi il doppio perché i rumeni si sono ribellati. Peraltro George Simion – si è presentato al seggio in compagnia di Georgescu – ha dichiarato già domenica sera: «Farò di tutto per nominare Georgescu primo ministro». Le dimissioni di Ciolacu spianano la strada, tant’è che i liberali fino all’ultimo hanno cercato di far nascere un governo di emergenza presieduto da Ilie Bolojan che – con una forzatura costituzionale – avrebbe retto la presidenza della Repubblica e quella del consiglio dei ministri.
In Romania dunque è successo ciò che l’Ue si augurava che non accadesse: il candidato di destra, trumpiano convinto tanto da ispirarsi al Maga, George Simion, ha stravinto con il 41% dei consensi. Hanno provato anche questa volta ad agitare il sospetto degli hacker russi, ma senza esito. Al ballottaggio avrà di fronte il sindaco di Bucarest Nicusor Dan, che corre da solo e ha preso il 20,9% dei voti, dunque la metà del suo sfidante. Dan giura fedeltà all’Ue e la sua prima dichiarazione è stata: «Al ballottaggio sarà una sfida tra chi crede nell’Europa, noi, e chi vuole portare la Romania allo sbando». Pare però argomento debole; analizzando il voto emerge che Dan ha raccolto consensi solo nella capitale e dalla componente magiara (in Romania c’è una forte presenza di ungheresi), ma non ha un seguito ampio (il voto all’estero gli ha dato appena il 19%). Simion ha stravinto tra i rumeni all’estero (quasi il 61% degli 860.000 voti espressi), in tutte le zone rurali e anche nelle regioni di confine con la Moldavia (Paese che lo ha espulso come l’Ucraina), che lui sogna di riunificare alla Romania. Può recuperare i voti di Viktor Ponta (14%), anche lui approdato su posizioni nazionaliste. Una sorpresa potrebbe venire dall’elettorato socialdemocratico, che sta abbandonando fin dalle prime ore dopo lo scrutinio Crin Antonescu che era sostenuto dalla triade dei partiti di governo: il Pnl (Partito nazional liberale), il Psd (Partito socialdemocratico) e il partito filo ungherese. Antonescu è arrivato terzo con il 20,4% dei voti e questo segna la fine di un lungo periodo di potere dei socialdemocratici.
Simion ieri ha confermato la sua fedeltà atlantica e ha detto di non voler uscire dall’Europa, ma di voler cambiare l’Europa. Del resto è anche vicepresidente di Ecr, il gruppo dei conservatori a cui appartiene Fdi e che fino a qualche mese fa era guidato da Giorgia Meloni. Tant’è che ieri accanto a Simion c’era Carlo Fidanza, capodelegazione a Bruxelles per FdI, che ha ribadito: «Voglio congratularmi con l’amico George Simion per il suo fantastico lavoro. Ma mi congratulo soprattutto col popolo rumeno, perché riafferma il suo diritto alla libertà, alla democrazia e alla sovranità».
Per una strana coincidenza Bruxelles deve temere il 18 maggio, perché assieme al ballottaggio rumeno si tiene anche il primo turno delle presidenziali in Polonia. E anche lì la destra prepara la sorpresa.