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Pronta a dicembre la mega ferrovia che collegherà la Cina al Laos

Pronta a dicembre la mega ferrovia che collegherà la Cina al Laos

Con l’imponente opera, continua l’avanzata di Pechino nel Sud-Est asiatico. Nell’ambito della Belt and Road Initiative.


I rapporti economico-commerciali tra Cina e Laos si stanno facendo sempre più intensi. Nell’ambito della Belt and Road Initiative, i due Paesi stanno costruendo una mega ferrovia di collegamento, che dovrebbe essere inaugurata il prossimo dicembre. Si tratta di un’opera imponente (522 km nella provincia dello Yunnan e 414 km in Laos), dal costo di circa 6 miliardi di dollari: una realizzazione che non è stata facile, vista la natura montuosa del territorio laotiano (stando ai media cinesi, gli ingegneri della Repubblica popolare avrebbero non a caso perforato ben 168 tunnel).

Tutto questo, mentre, secondo quanto riferito dal Vientiane Times, la Laos-China Railway Company – una joint venture che gestirà la ferrovia – prevedrebbe di assumere da 600 a 700 dipendenti laotiani. La Cina teneva d’altronde moltissimo a questo progetto, tanto da rivelarsi il primo ad essere ripreso, dopo le pause imposte dallo scoppio della pandemia.

È in questo quadro che i media cinesi stanno particolarmente enfatizzando l’opera a livello comunicativo: Pechino sta mettendo in risalto che si tratti di un’opera strategica per sé, ma anche di una grande opportunità economico-commerciale (e turistica) per lo stesso Laos (Paese, ricordiamolo, che non dispone di sbocchi sul mare). La Repubblica popolare vuole del resto scrollarsi di dosso l’accusa di condurre politiche di imperialismo economico e, in tal senso, cerca di presentarsi come benefattrice di uno Stato in difficoltà (strategia, questa, che il Dragone ha messo in campo anche con altri Paesi).

Dubbi e riserve tuttavia non mancano: come riportato dal South China Morning Post, si registrano innanzitutto delle preoccupazioni di natura ambientale su questo progetto (preoccupazioni che suscitarono delle proteste nel 2018), mentre – più in generale – c’è chi è tornato ad accusare la Cina di condurre una politica sostanzialmente imperialistica. È stato infatti stimato che la Cina detiene quasi la metà del debito pubblico totale del Laos: il rischio è che quindi – sostengono i critici – Pechino stia anche qui incrementando la propria influenza politica ed economica facendo leva sullo strumento del debito.

D’altronde, al di là della ferrovia, Pechino sta investendo massicciamente nel Paese: secondo Voice of America, gli investimenti cinesi in Laos erano solo l’1,5% del totale degli investimenti diretti esteri nel 2003: una quota che, nel 2018, è salita al 79%. È del resto in questo contesto che nel Paese si è verificato un autentico boom di scuole di lingua cinese: un chiaro indicatore del fatto che le aziende del Dragone si stanno avviando a dominare l’economia locale. Tutto questo, mentre gli atenei cinesi stanno creando dei campus in Laos.

La strategia della Repubblica popolare, insomma, è chiara: incrementare la propria influenza sul Paese, connettendo inestricabilmente l’aspetto economico con quello linguistico-culturale. Non solo: perché, come anche con altre nazioni, la Repubblica popolare considera il Laos un «bersaglio» della propria diplomazia sanitaria. Due settimane fa, il Global Times (organo del Partito comunista cinese) ha annunciato che la Cina ha donato al Paese il vaccino Sinopharm contro il Covid-19. Tutto questo, mentre, a inizio febbraio, il ministro degli esteri cinese Wang Yi ha avuto un colloquio online con la sua controparte laotiana, Saleumxay Kommasith: nell’occasione, Pechino ha ribadito la volontà di stringere forti legami con Vientiane (soprattutto sul piano economico). Vale tra l’altro forse la pena ricordare che il Paese sia abbastanza ricco di risorse naturali.

Va da sé che la politica cinese in Laos vada inserita in un contesto più ampio: quello, cioè, della strategia che Pechino sta conducendo per espandere la propria influenza nel Sud-Est asiatico. Una strategia che fa non a caso leva su infrastrutture e commercio. Si tratta di una circostanza che inasprirà probabilmente la concorrenza con gli Stati Uniti in questa regione. Era lo scorso ottobre, quando l’allora segretario di Stato americano, Mike Pompeo, criticò l’iperattivismo infrastrutturale cinese nel Sudest asiatico: una presa di posizione che scatenò la reazione piccata del portavoce del ministero degli Esteri cinese, Zhao Lijian. Tutto questo, senza trascurare che il nuovo capo di Foggy Bottom, Antony Blinken, ha già chiarito di non voler lasciare la regione in balìa di Pechino, avendo già avviato in tal senso contatti – per esempio – con Thailandia, Filippine e Brunei.

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