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La tensione sta salendo in Libia

La tensione sta salendo in Libia

Il duello tra i due premier evoca scenari preoccupanti, mentre Turchia e Russia non rinunciano alla propria influenza sul Paese


Il governo del nuovo primo ministro libico, Fathi Bashagha, ha giurato giovedì scorso presso la Camera dei Rappresentanti con sede a Tobruk. La situazione complessiva resta comunque significativamente tesa.

Innanzitutto il premier uscente, Abdel Hamid Dbeibah, continua a rifiutarsi di lasciare il proprio incarico, sostenendo che farà un passo indietro soltanto dopo che si terranno delle elezioni: un quadro preoccupante, che lascia di fatto la Libia contesa tra due governi rivali, con il conseguente rischio di una nuova guerra civile. In secondo luogo, Bashagha ha accusato Dbeibah di aver fatto chiudere lo spazio aereo libico e di aver inoltre fatto sequestrare tre ministri del nuovo esecutivo, per impedire loro di raggiungere Tobruk. In terzo luogo, lo stesso Dbeibah ha reso noto in una lettera inviata all’Unsmil di voler organizzare le elezioni il prossimo 30 giugno. Insomma, le parti restano notevolmente distanti, mentre la tensione si acuisce. In tutto questo, domenica scorsa, la National Oil Corporation ha annunciato che un gruppo armato ha bloccato due giacimenti petroliferi, causando così un calo della produzione giornaliera di petrolio di circa 330.000 barili.

L’Onu, dal canto suo, sta difficoltosamente provando a portare avanti una mediazione. Stephanie Williams ha chiesto alla Camera dei Rappresentanti e all’Alto consiglio di Stato di nominare sei delegati ciascuno, per formare una “commissione congiunta dedicata a sviluppare una base costituzionale condivisa”. La diplomatica ha anche chiesto di evitare atti di “escalation, intimidazione, rapimento, provocazione e violenza”. “Bloccare la produzione di petrolio priva tutti i libici della loro principale fonte di sostentamento. Il blocco petrolifero dovrebbe essere rimosso”, ha inoltre dichiarato. La proposta di creare una commissione congiunta è stata tuttavia respinta dalla maggior parte dei parlamentari libici.

Nel frattempo non si allenta l’influenza di Turchia e Russia sul Paese. Ricordiamo che, nel pieno della crisi ucraina, Ankara e Mosca stanno intrattenendo un rapporto tanto articolato quanto ambiguo. E non è ancora esattamente chiaro quali impatti l’invasione russa dell’Ucraina potrà avere nelle prossime settimane sul dossier libico. Per ora, l’unica cosa certa è che i due tavoli sono interconnessi. Ricordiamo infatti che Mosca sta da tempo utilizzando la parte orientale della Libia come trampolino di lancio per estendere la propria influenza politica (e militare) nel Sahel: un’area strategica per il controllo dei flussi migratori, che puntano verso l’Unione europea. Non è quindi affatto escludibile che il Cremlino miri a far leva su questo fattore, per mettere sotto pressione il Vecchio Continente (a partire proprio dall’Italia).

Sotto questo aspetto, vale forse la pena rammentare che il ministero degli Esteri russo abbia di fatto dato il proprio endorsement a Bashagha il mese scorso. A favore del nuovo premier si è del resto mostrato anche il generale, Khalifa Haftar, che è stato storicamente spalleggiato tanto dalla Russia quanto dalla Francia. Per il momento, non è invece completamente chiara la posizione della Turchia, che sta mantenendo una sorta di equidistanza tra Bashagha e Dbeibah. A metà febbraio, il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, aveva infatti affermato di intrattenere buone relazioni con entrambi. Un’ambiguità di fondo che è difficile da interpretare. Secondo The Arab Weekly questa posizione sarebbe da leggersi come un implicito sostegno a Bashagha. Dall’altra parte, non si può tuttavia neppure ignorare che, appena pochi giorni fa, Dbeibah abbia avuto un incontro con l’ambasciatore turco in Libia, Kanaan Yilmaz. Una posizione sfumata sulla questione è stata inoltre assunta anche dal presidente dell’Alto consiglio di Stato, Khaled al-Meshri: figura legata alla Fratellanza musulmana e conseguentemente vicina ad Ankara.

La neutralità di Erdogan costituisce un fattore interessante (e preoccupante), perché potrebbe preludere a un’intesa più o meno esplicita con Vladimir Putin sul nome di Bashagha. Il che potrebbe contribuire a spiegare la (parziale) ambiguità nel rapporto tra i due presidenti anche nella crisi ucraina. Lo scenario non è tuttavia privo di rischi per l’Europa (e per l’Italia), perché se un’intesa tra Mosca e Ankara dovesse raggiungersi, potrebbe essere definitivamente sancita una spartizione de facto della Libia in due sfere d’influenza, che marginalizzerebbe l’Occidente.

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