Il comunicato congiunto del summit Nato alla fine è andato alle stampe con cinque semplici – e un po’ striminziti – paragrafi. Per un totale di 427 parole. Nulla a confronto delle note diffuse lo scorso anno e nel 2023. Cioè dopo l’invasione dell’Ucraina da parte di Mosca. In quelle occasioni non solo i testi erano molto più lunghi (lo scorso anno circa 5.000 vocaboli) ma, soprattutto, contenevano parole di ferma condanna nei confronti del Cremlino e di Vladimir Putin. Ecco stavolta nemmeno un riferimento all’aggressore russo. Zero.
Deve essere successo qualcosa dalle parti della Casa Bianca che, a dispetto del gran parlare che fanno i Paesi europei, rimane il dominus indiscusso dell’Alleanza atlantica e per certi versi vero datore di lavoro di Mark Rutte. Come ha descritto in anteprima sulle colonne della Verità Daniele Ruvinetti, senior advisor di Med-Or, la tregua imposta a Israele e Iran è passata attraverso un accordo siglato tra Donald Trump e Putin.
Secondo le indiscrezioni dell’analista, il presidente russo avrebbe detto al ministro iraniano Araghchi di non potere supportare Teheran militarmente, in quanto il Cremlino è impegnato fortemente in Ucraina. Non solo. Nei giorni precedenti all’arrivo del ministro iraniano a Mosca, vari media statali russi hanno sottolineato più volte che l’accordo di partenariato strategico con l’Iran non prevede l’automatismo in base a cui, se uno dei due Paesi viene attaccato, l’altro deve andargli in aiuto militarmente. Questo veniva ricordato per preparare il terreno. «E qui veniamo all’intesa tra Trump e Putin», spiegava ieri Ruvinetti. «Il presidente americano probabilmente ha fermato Israele e Putin ha fermato a sua volta l’Iran. Da quanto mi risulta, delle pressioni sull’Iran sono arrivate anche dal governo del Qatar, che ha contribuito a spingere Teheran a fermarsi».
Resta, comunque, il fatto che i due attori principali sono stati Trump e Putin. Da qui è scaturito il cessate il fuoco e il peculiare punto di vista imposto dagli americani alla Nato. Vedremo che cosa succederà nei prossimi giorni, che cosa potrà cambiare sul campo e, soprattutto, se l’Ucraina accetterà una trattativa che favorisca i russi. In ogni caso, l’Europa dovrebbe comprendere perfettamente che la politica americana e, quindi, in parte quella della Nato adesso guarda con attenzione diversa al Sud del mondo. Luogo più geopolitico che geografico. Così come è altrettanto certo che la Russia serve agli americani e ai sauditi per realizzare il progetto di trasformazione del Medio Oriente che va sotto il nome del nuovo Patto di Abramo. Mohammed Bin Salman è il primo sponsor dello schema, così come è stato il più grande sponsor di Israele in questa breve guerra contro l’Iran. La ridefinizione dello scacchiere è, però, iniziata con la presa di potere in Libano, dove il presidente è adesso filo sunnita, e in Siria dove il jihadista Al Jolani ha cambiato nome e indossato una giacca e cravatta. Anch’egli è portatore degli interessi sunniti totalmente contrapposti a quelli dell’Iran. La cacciata di Bashar Al Assad è stata possibile solo perché Mosca si è distratta, ha mollato la presa e, in cambio, ha chiesto esclusivamente di mantenere due affacci portuali al Mediterraneo.
Il Cremlino ha sicuramente bisogno di rafforzare un’alleanza con i sauditi anche in chiave antiturca. Sente la necessità di limitare l’avanzata di Erdogan verso gli ex Paesi sovietici. Ankara non nasconde, infatti, di voler diventare l’hub per triangolare le materie prime sensibili che vengono da Kazakistan piuttosto che Azerbaigian. Si tratta di una strategia che mina al fianco la capacità di Mosca di contare nella grande partita della supply chain.
L’altro settore su cui Mosca preme in netto contrasto con la Turchia è quello del Magreb. In particolare, la Libia. Sempre ieri, Ruvinetti, nell’intervista rilasciata a Stefano Graziosi, puntava il dito sulla Cirenaica: «La Russia potrebbe chiedere infatti delle contropartite a Trump anche qui. Mosca è molto presente in Cirenaica attraverso il generale Khalifa Haftar», commentava l’esperto di Med-Or. «Ebbene, visto che a Tripoli c’è un momento di grande instabilità e visto che c’è il rischio di una ripresa di scontri in loco, Haftar e i russi potrebbero approfittarne per andare anche in Tripolitania. I russi potrebbero chiedere agli americani l’autorizzazione. A quel punto, se gli americani dessero l’ok, per l’Italia sarebbe un problema. L’immigrazione sarebbe infatti gestita dai russi».
A questo punto non è facile comprendere se per gli interessi italiani sia più pericoloso il piede russo in Libia o quello turco. Ciò che appare probabile è che il prossimo mazziere dell’area possa essere Haftar. Il figlio è già stato avvistato a Roma e sarebbe bene intensificare le visite. Quando e se l’accordo tra Trump e Putin sull’Ucraina dovesse andare in porto, a quel punto si cristallizzerebbe la situazione e potrebbe essere troppo tardi per inserirsi in partita. La finestra è piccola e gli infissi non sono nemmeno troppo stabili.