Mentre sul piano ufficiale prevale la cautela, dietro le quinte la tensione tra Israele, Iran e Stati Uniti resta elevata. Funzionari israeliani hanno infatti avvertito l’amministrazione di Donald Trump che una recente esercitazione missilistica del Corpo delle Guardie della Rivoluzione islamica (IRGC) potrebbe non essere una semplice manovra addestrativa, ma una fase preparatoria per un possibile attacco contro Israele. Secondo quanto riportato da Axios, citando fonti israeliane e statunitensi con conoscenza diretta del dossier, le informazioni raccolte finora indicano esclusivamente movimenti di forze all’interno del territorio iraniano. Tuttavia, il livello di allerta rimane alto. Dopo il 7 ottobre 2023 e l’attacco di Hamas, la soglia di tolleranza al rischio di Israele si è drasticamente abbassata: segnali che in passato sarebbero stati considerati ambigui oggi vengono letti come potenziali indicatori di una minaccia imminente. Una fonte israeliana ha ricordato che allarmi simili erano già scattati circa sei settimane fa, quando l’intelligence aveva rilevato movimenti missilistici iraniani poi rivelatisi privi di conseguenze operative. «Le probabilità di un attacco iraniano sono inferiori al 50%, ma nessuno è disposto a correre il rischio di liquidare tutto come una semplice esercitazione», ha spiegato la fonte.
Da Washington il messaggio ufficiale è più prudente. Funzionari dell’intelligence americana hanno fatto sapere che, allo stato attuale, gli Stati Uniti non rilevano segnali concreti di un attacco iraniano imminente. Una valutazione che, però, non ha dissipato le preoccupazioni israeliane. Secondo il rapporto, il Capo di Stato Maggiore delle IDF Eyal Zamir ha contattato il comandante del United States Central Command, l’ammiraglio Brad Cooper, per esprimere i timori di Israele sulle manovre missilistiche avviate dall’IRGC nei giorni precedenti. Il timore è che esercitazioni e movimenti operativi possano fungere da copertura per un attacco a sorpresa, rendendo necessario un coordinamento ancora più stretto tra le difese israeliane e quelle statunitensi. Il confronto è proseguito a Tel Aviv, dove Cooper ha incontrato Zamir e altri alti ufficiali delle Israel Defense Forces. Nessun commento ufficiale è arrivato dall’IDF, mentre il CENTCOM non ha risposto alle richieste di chiarimento, alimentando ulteriormente il clima di incertezza.
Sul piano politico, fonti israeliane riferiscono che il primo ministro Benjamin Netanyahu dovrebbe incontrare Donald Trump il 29 dicembre a Miami. Secondo NBC News, al centro del colloquio ci saranno il potenziamento dell’arsenale missilistico iraniano e l’ipotesi di un nuovo attacco israeliano contro l’Iran nel 2026. Le valutazioni dell’intelligence israeliana rafforzano queste preoccupazioni. Dopo la cosiddetta “guerra dei 12 giorni” di giugno, Teheran avrebbe avviato una ricostruzione accelerata delle proprie capacità missilistiche. Le riserve sarebbero scese da circa 3.000 a 1.500 missili, mentre il numero di lanciatori si sarebbe dimezzato, passando da 400 a 200. Una riduzione significativa, ma accompagnata — secondo Israele — da una determinazione politica e militare senza precedenti nel ripristinare le capacità perdute. A rafforzare il quadro contribuiscono anche le segnalazioni di Iran International, che ha parlato di «insolite attività aeree» da parte della Forza aerospaziale dell’IRGC. Movimenti e coordinamenti fuori dagli schemi abituali tra unità di droni, missili e difesa aerea avrebbero imposto un monitoraggio più intenso. Gli analisti non escludono che si tratti di un’esercitazione, ma sottolineano come la portata e la sincronizzazione delle operazioni abbiano attirato un’attenzione particolare. In un contesto segnato da ambiguità strategica e nervi scoperti, la linea resta sottile: distinguere tra addestramento e preparazione all’attacco potrebbe fare la differenza tra deterrenza e escalation. Israele, oggi più che mai, sembra deciso a non correre il rischio di scoprirlo troppo tardi.
