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Il «Dinah Project» accusa Hamas: violenze sessuali sistematiche durante e dopo l’attacco del 7 ottobre

Il «Dinah Project» accusa Hamas: violenze sessuali sistematiche durante e dopo l’attacco del 7 ottobre

L’ex ostaggio Ilana Gritzewsky rompe il silenzio: «Hamas ha usato lo stupro come arma. Non è finita, ci sono ancora ostaggi»

Secondo un recente documento prodotto da un gruppo di ricercatrici israeliane del «Dinah Project», quindici ex ostaggi – tredici donne e due uomini – hanno raccontato di aver subito o assistito a violenze sessuali durante la loro detenzione da parte di Hamas nella Striscia di Gaza. Le componenti del progetto Dinah, tutte esperte di genere, hanno raccolto testimonianze dirette da questi 15 ostaggi liberati, da una donna sopravvissuta a un tentativo di stupro durante gli attacchi del 7 ottobre 2023, da 17 testimoni oculari e uditivi e da 27 soccorritori che operarono sulle scene dei massacri. L’insieme delle testimonianze, unito a referti forensi, materiale fotografico e video degli attacchi, ha portato il team di ricerca a concludere che Hamas ha fatto ricorso alla violenza sessuale in modo sistematico e deliberato, impiegandola come arma «tattica» e strumento di guerra.

Femministe e politiche in piazza per Hamas e non per le vittime degli stupri

Il dossier, reso pubblico martedì, raccoglie diverse esperienze di vittime sopravvissute. In un caso, una donna è stata picchiata e abusata sessualmente sotto la minaccia di un’arma da fuoco durante la prigionia. Ha riferito di essere stata incatenata a una caviglia con una catena di ferro per tre settimane, e interrogata ripetutamente in merito al suo ciclo mestruale. Il rapporto spiega inoltre che molti degli ostaggi hanno ricevuto minacce di stupro camuffate da proposte di matrimonio forzato. La quasi totalità dei sopravvissuti ha riferito molestie sessuali verbali e alcuni episodi di contatto fisico indesiderato in aree intime. Israele ha più volte denunciato l’indifferenza delle istituzioni internazionali – tra cui l’ONU e alcune sue agenzie – rispetto alla violenza sessuale sistemica inflitta da Hamas e da altri gruppi armati durante gli assalti del 7 ottobre. E che dire delle attiviste femministe che sfilano alle manifestazioni filopalestinesi senza mai pronunciare una parola sulle violenze sessuali del 7 ottobre 2023? Lo stesso silenzio ha caratterizzato l’atteggiamento della segretaria del Partito Democratico, Elly Schlein, e di numerose altre esponenti politiche, che non hanno mai preso una posizione vera sull’orrore inflitto alle vittime da parte di Hamas. Un silenzio tanto più inquietante perché non si tratta di mancanza di informazioni: i racconti delle sopravvissute, i rapporti indipendenti e le conferme delle autorità israeliane sono ormai ampiamente documentati. Tuttavia, alcune delle stesse figure che mobilitano piazze e coscienze contro abusi e disparità, oggi faticano a pronunciare parole di solidarietà per queste vittime.

La professoressa Pro-Hamas che nega gli stupri

E che dire dell’ineffabile professoressa dell’Università di Bologna Monica dall’Asta che su X ha piu’ volte definito la notizia degli stupri di massa commessi da Hamas durante l’attacco del 7 ottobre come una «bufala», priva – a suo dire – di «prove schiaccianti». «Non ho mai negato che siano state commesse atrocità. Ma la storia degli stupri di massa è una costruzione della propaganda. Come quella dei bambini decapitati», ha scritto in uno dei suoi post, rilanciando una tesi già ampiamente circolata negli ambienti più radicali del web e smentita da numerosi rapporti indipendenti, testimonianze oculari e fonti ufficiali israeliane. In un altro tweet, la docente scrive di «speculazioni che lasciano il tempo che trovano», sostenendo che «Intifada significa rivolta contro l’oppressione di un apartheid feroce». Ma non è tutto: secondo la Dell’Asta che è ancora al suo posto, quella sugli stupri sarebbe «una notizia non verificata», basata unicamente su «informazioni di seconda o terza mano riportate da organizzazioni israeliane», e usata in modo «strumentale» per giustificare – si legge nel suo post – «lo sterminio dei bambini di Gaza». Sul suo profilo X, la docente – che accanto al nome aveva anche inserito il simbolo della pace con i colori della bandiera palestinese – definisce Israele «uno Stato nazista» e celebra la figura di Marwan Barghouti, leader della seconda intifada e oggi in carcere in Israele per aver orchestrato una lunga serie di attentati terroristici costati la vita a decine di civili.

Il «Dinah Project» è nato proprio in risposta a questi eventi, con l’obiettivo di ottenere giustizia per le vittime di abusi sessuali. Il gruppo è composto da giuriste, esperte legali e di diritti umani, ed è coordinato dalla professoressa Ruth Halperin-Kaddari e da Sharon Zagagi-Pinhas, ex procuratrice militare dell’esercito israeliano. Il progetto opera sotto l’egida del Centro Ruth ed Emanuel Rackman per la Promozione delle Donne presso l’Università Bar-Ilan. Il primo riconoscimento formale dell’uso di violenza sessuale durante gli attacchi da parte delle Nazioni Unite è arrivato soltanto a distanza di cinque mesi dai fatti. In seguito a una missione in Israele, la Rappresentante Speciale dell’ONU sulla Violenza Sessuale nei Conflitti, Pramila Patten, ha firmato un rapporto in cui si afferma che vi sono solide ragioni per ritenere che tali abusi siano avvenuti in più luoghi e che esistano prove chiare dell’aggressione sessuale subita da ostaggi trattenuti a Gaza.Hamas ha respinto queste accuse, definendole a dicembre come «calunnie e affermazioni prive di fondamento». Secondo il dossier, la gravità delle atrocità del 7 ottobre ha messo in seria difficoltà soccorritori e investigatori. Le norme religiose ebraiche impongono la sepoltura dei defunti il prima possibile, e molti dei volontari coinvolti – in gran parte ortodossi – si sono concentrati sul recupero dei corpi, piuttosto che sulla raccolta di elementi forensi. In numerosi casi, le autorità sono intervenute mentre le violenze erano ancora in corso, senza la possibilità di documentare in modo completo la scena del crimine. Inoltre, molte delle vittime di stupro sono state uccise, lasciando un vuoto di testimonianze dirette. Con il passare dei mesi e la liberazione di alcuni ostaggi, è stato possibile raccogliere nuovi riscontri e ricostruzioni dettagliate grazie alle testimonianze di chi ha potuto rielaborare l’esperienza vissuta. Le ricercatrici del «Dinah Project» chiedono che le violenze sessuali commesse durante gli attacchi vengano ufficialmente riconosciute come crimini contro l’umanità e che i responsabili siano perseguiti e condannati dalla comunità internazionale.

Ilana Gritzewsky: «Hamas ha usato lo stupro come arma. Non è finita, ci sono ancora ostaggi»

Drammatica la lettera aperta dell’ex ostaggio Ilana Gritzewsky che per la prima volta dopo 21 mesi, ha denunciato pubblicamente gli abusi sessuali inflitti dai miliziani di Hamas. La testimonianza, resa nota dal Forum delle Famiglie degli ostaggi, è stata letta durante la presentazione ufficiale del «Rapporto Dinah» – il dossier che documenta in dettaglio gli stupri avvenuti il 7 ottobre e nel periodo di detenzione a Gaza – consegnato a Michal Herzog, moglie del presidente israeliano. «La mattina di sabato 7 ottobre 2023 ero nella mia casa al kibbutz Nir Oz con il mio compagno Matan. Poi, all’improvviso, esplosioni, urla, colpi. La porta è stata sfondata. Siamo stati rapiti. Ricordo i fucili puntati addosso. Ricordo mani estranee sul mio corpo. Ricordo le grida, e poi il buio», ha raccontato Ilana. «Quando ho ripreso conoscenza, ero mezza nuda, circondata dai terroristi. Mi avevano picchiata, mi avevano toccata. Non sapevo cosa mi fosse stato fatto nel tempo in cui avevo perso i sensi, ma sentivo dentro di me che nulla sarebbe mai più stato come prima». E ha aggiunto: «A Gaza ho conosciuto l’inferno: fame, sete, solitudine». Il racconto prosegue con dettagli agghiaccianti: torture fisiche e psicologiche, ossa fratturate, umiliazioni ripetute. «La paura, il sentirsi proprietà di qualcuno: è questo il dolore che non mi lascia mai», ha detto. Dopo 55 giorni è tornata in libertà, ma per Ilana la liberazione non ha coinciso con la fine della sofferenza. «La vera libertà arriverà solo quando nessun altro dovrà passare ciò che ho passato io. Solo quando la gente ascolterà. Quando non ci sarà più silenzio», ha detto. «Ancora oggi, quasi due anni dopo, la gente mi chiede se è successo davvero. Se davvero hanno stuprato, bruciato, assassinato. Se anche gli uomini sono stati colpiti. La risposta è sì. È accaduto. Sta accadendo ancora». «Ci sono ancora ostaggi nelle mani di Hamas. Ci sono uomini. C’è una donna – forse già morta. E c’è Matan, il mio compagno. Non so cosa stiano facendo a lui, ma so cosa hanno fatto a me. Ogni giorno vivo con la paura che lui stia subendo ciò che ho vissuto io. Ed è una consapevolezza insopportabile», ha dichiarato, dedicando la sua testimonianza a tutte le vittime che non riescono ancora a trovare le parole.

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