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I cinque momenti più significativi della seconda presidenza Trump

I cinque momenti più significativi della seconda presidenza Trump

Dall’insediamento alla mediazione dell’accordo tra Israele e Hamas: ecco gli eventi più importanti che hanno segnato finora l’attuale amministrazione americana

20 gennaio: l’insediamento alla Casa Bianca

Si è trattato di un evento storico. Fatta eccezione per il caso di Grover Cleveland alla fine dell’Ottocento, nessun presidente americano aveva mai servito per due mandati non consecutivi. In occasione del suo discorso inaugurale, Trump promise una “rivoluzione del buon senso” contro le derive dell’estremismo progressista in salsa woke. Annunciò inoltre la linea dura sull’immigrazione clandestina e l’intenzione di rilanciare una versione aggiornata della Dottrina Monroe, per arginare l’influenza cinese sull’America Latina. Inoltre, ricordando l’attentato subito alcuni mesi prima a Butler, il presidente affermò: “Sono stato salvato da Dio per rendere l’America di nuovo grande”. 

28 febbraio: la lite con Zelensky

Nelle settimane successive all’insediamento, l’amministrazione Trump aveva avuto delle fibrillazioni nei suoi rapporti con il governo di Kiev. E’ in questo contesto che Volodymyr Zelensky si recò in visita a Washington, dove venne ricevuto per un incontro nello studio ovale. Svoltosi davanti a telecamere e giornalisti, il meeting era iniziato con dei toni piuttosto cordiali. A un certo punto, la tensione è tuttavia iniziata a salire, a causa di una lite tra lo stesso Zelensky e JD Vance. In particolare, il vicepresidente americano aveva accusato il leader ucraino non solo di ingratitudine verso gli Stati Uniti ma anche di non apprezzare gli sforzi diplomatici della Casa Bianca. Nello scontro si inserì quindi Trump, che tacciò Zelensky di essere “irrispettoso” nei confronti di Washington. L’incontro si concluse in modo disastroso e, a inizio marzo, il presidente americano decretò la sospensione degli aiuti militari e d’intelligence a Kiev: sospensione che Trump revocò comunque alcuni giorni dopo, a seguito dei colloqui diplomatici, tenutisi a Gedda, tra la delegazione statunitense e quella ucraina. 

2 aprile: il giorno della liberazione

Durante un evento alla Casa Bianca, il presidente americano annunciò dei dazi, da lui definiti “reciproci”, contro un elevato numero di Paesi. In particolare, Trump definì la sua mossa come “la nostra dichiarazione di indipendenza economica”. Il 9 aprile, l’inquilino della Casa Bianca decretò tuttavia una sospensione delle tariffe per 90 giorni: un lasso di tempo che, agli occhi di Trump, era necessario per avviare delle trattative commerciali in vista di eventuali accordi. Ricordiamo inoltre che i dazi “reciproci” sono stati imposti ai sensi dell’International Emergency Economic Powers Act: un atto, quello del presidente americano, che ha portato a vari ricorsi legali, attualmente al vaglio della Corte Suprema degli Stati Uniti. I togati si pronunceranno sul tema nei prossimi mesi. Come che sia, la Casa Bianca sta già da tempo studiando delle alternative, in caso di sentenza avversa. 

22 giugno: l’attacco statunitense a tre siti nucleari iraniani

L’operazione militare statunitense venne a inserirsi nell’ambito del conflitto tra Israele e Iran, iniziato il 13 giugno. Il 23 giugno, Teheran rispose lanciando 14 missili contro la base aerea di Al Udeid, situata in Qatar. Il giorno successivo, Trump annunciò un cessate il fuoco tra lo Stato ebraico e il regime khomeinista, mediato da Washington e Doha. Questa crisi è esplosa in un quadro geopolitico complesso. La Casa Bianca punta a scongiurare l’eventualità che Teheran possa dotarsi dell’arma atomica: uno scenario, quest’ultimo, fortemente temuto tanto da Israele quanto dall’Arabia Saudita. Non a caso, Trump mira a concludere un nuovo accordo con l’Iran, per impedire a quest’ultimo di conseguire l’ordigno nucleare. Il che, agli occhi del presidente americano, rappresenta una precondizione essenziale per poter rilanciare ed espandere gli Accordi di Abramo. Accordi a cui Trump ha detto che, un giorno, vorrebbe vedere aderire anche la stessa Teheran. 

9 ottobre: l’accordo tra Israele e Hamas

Presentato a fine settembre, il piano di pace per Gaza, elaborato dalla Casa Bianca, è stato firmato il 9 ottobre. Il progetto, in particolare, è stato sostenuto anche dalla mediazione di Qatar, Egitto e Turchia. Al di là della tregua e del rilascio degli ostaggi israeliani in mano ad Hamas, un aspetto senza dubbio interessante risiede nel fatto che il piano riconosce un ruolo fondamentale ai Paesi arabi nella stabilizzazione della Striscia. Trump considera questo documento come propedeutico al rilancio degli Accordi di Abramo. Molto dipenderà tuttavia dall’eventualità che il cessate il fuoco a Gaza continui a reggere. E anche dai rapporti tra Israele e Arabia Saudita. Resta tuttavia il fatto che, almeno finora, il piano di pace per la Striscia rappresenti il principale risultato diplomatico conseguito da Trump nella sua seconda amministrazione. 

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