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Hamas al comando, ma lontano da Gaza

Hamas al comando, ma lontano da Gaza

La cupola di Hamas esultava per l’attacco a Israele seguendo le stragi dei suoi terroristi da un lussuoso rifugio di Doha, in Qatar. Del resto, da anni i capi politici dell’organizzazione manovrano da esili molto «facilitati» (sono ben accolti anche a Beirut e Istanbul), dividendosi tra estremismo, palestra, calcio, affari e piaceri poco devoti. Ma ad accusarli della loro condotta sono, sempre più, gli stessi palestinesi.


Il 7 ottobre scorso, davanti a un grande televisore al plasma, i leader politici di Hamas, nell’esilio dorato di Doha, osservano compiaciuti le drammatiche immagini dell’attacco del terrore in Israele. «Guarda un nuovo fuoristrada, una jeep israeliana (appena sequestrata dal commando di Hamas ndr). Dobbiamo prostrarci in segno di gratitudine per questa vittoria» annuncia Isma’il Haniyeh, leader di lungo corso di Hamas, oggi alla guida dell’ufficio politico. Un folto gruppo di dirigenti in giacche scure, rigorosamente senza cravatta, gioisce per le scene del sanguinoso attacco. Tutti annuiscono inginocchiandosi verso la Mecca per la preghiera di ringraziamento. Saleh al-Arouri è il numero due dell’ufficio politico e leader di Hamas in Cisgiordania, Khaled Mash’al è l’ex portavoce che istiga i venerdì di rabbia e rivolta, Khalil al-Hayya è il responsabile delle relazioni con il mondo arabo e islamico. Haniyeh guida la preghiera: «Allah, ti prego, concedi il tuo sostegno e la tua gloria al nostro popolo e alla nostra nazione. Dio è grande! Sia lodato Allah».

La cupola di Hamas vive di fatto in esilio e nel lusso da anni a differenza del popolo sotto le bombe e «prigioniero» a Gaza. Doha, capitale del Qatar, Beirut in Libano e la turca Istanbul sono i rifugi sicuri dove i vertici dell’estremismo palestinese portano avanti la causa non disdegnando gli affari e la bella vita. Famosa la frase elettorale di Haniyeh che si era impegnato a vivere per sempre di «zeit wa zaatar», olio d’oliva ed erbe essiccate. Dal 2019 abita a Doha, ricevuto con il tappeto rosso dai dignitari del Qatar. Un video lo mostra impegnato in una partita di calcio fra amici e una serie di fotografie lo immortala a bordo di un jet executive che farebbe invidia a Elon Musk. Il suo ex portavoce, Mash’al, si è fatto immortalare in una palestra e mentre gioca a ping pong. Un altro pezzo grosso di Hamas, Taher al-Nunu, preferiva i selfie dall’ultimo piano di un lussuoso hotel a cinque stelle di Doha.

Hamas ha un ufficio di rappresentanza nella capitale del Qatar, nonostante sia un’organizzazione terroristica per gli Stati Uniti e l’Unione europea. Nella sala riunioni spicca una foto di Gerusalemme, che Hamas vuole «liberare» dagli ebrei, con la cupola dorata della moschea di Al Aqsa. Il 14 ottobre Haniyeh ha accolto a braccia aperte a Doha il ministro degli Esteri iraniano Hossein Amir-Abdollahian ribadendo «la cooperazione nella lotta contro Israele». E sempre dalla capitale del Qatar, con un fotomontaggio di Gerusalemme alle spalle, Mashal ha lanciato l’appello alla rivolta nel mondo arabo per i bombardamenti a Gaza.

Prima dell’«11 settembre israeliano, quando la tregua con Hamas sembrava reggere, i funerali a Gaza riguardavano spesso i giovani che cercando di raggiungere clandestinamente l’Europa annegano in mare. In gennaio Um Mohammed, la madre di Khaled Shurrab, disperso fra le onde dell’Egeo, è esplosa nei confronti dei vertici di Hamas: «Vivono nel lusso mentre i nostri figli mangiano terra, migrano e muoiono all’estero». E un ex consigliere di Haniyeh, Ahmed Yousef, anch’egli al sicuro a Istanbul, ha ammesso che «ci siamo presentati come un movimento popolare, non di élite. Questo avrebbe dovuto obbligarci ad affrontare meglio i bisogni e i problemi delle persone».

Il Qatar, che finanzia Hamas con 30 milioni di dollari al mese e ha ospitato la prima ambasciata ufficiosa dei talebani quando non avevano riconquistato il potere, gioca una partita ambigua su più tavoli. Il ricco Stato del Golfo ospita una delle principali presenze militari Usa nella base aerea di Al Udeid, utilizzata dal 2001. Ted Cruz, senatore del Texas, ha attaccato: «Il Qatar ospita assassini di massa che hanno appena orchestrato un attacco terroristico uccidendo almeno due dozzine di americani, ed è stato il più grande massacro di ebrei in un solo giorno dai tempi dell’Olocausto».

Beirut è un’altra capitale del confortevole auto esilio di Hamas. Dal 2018 Saleh al Arouri, il numero due dell’ufficio politico, si è piazzato nella capitale libanese, così come Khalil al-Hayya, che controlla le relazioni con il mondo islamico e Zaher Jabarin, responsabile per i prigionieri palestinesi nelle carceri israeliane. Spesso si muovono comodamente con Doha. Del «politburo» di Hamas in Libano fa parte anche Osama Hamdan, con tanto di ufficio ad Haret Hreik, la roccaforte di Hezbollah nella periferia sud di Beirut. In un’intervista a Repubblica ha ribadito che lo Stato di Israele «non è accettabile, va smantellato». Hamas ha messo in piedi in Libano «un comando congiunto delle operazioni» con il partito armato Hezbollah, fedele a Teheran, e l’appoggio di consiglieri dei Pasdaran, il corpo di élite iraniano.

I primi a stigmatizzare Hamas per la bella vita all’estero sono stati gli egiziani. Sui canali tv filo governativi sono passate le immagini dei pezzi grossi del gruppo palestinese in Qatar con l’ironico memo che «la guerra santa è a Gaza», e non certo negli hotel a cinque stelle. La Turchia è un altro «rifugio» per i vertici di Hamas grazie a una politica di visti molto aperta nei confronti dei vip palestinesi. Istanbul è la città preferita anche per ottimi affari. «Diversi rampolli dei leader di Hamas gestiscono attività immobiliari per conto dei loro genitori» conferma un imprenditore palestinese. Maaz Haniyeh, figlio del leader, avrebbe ottenuto quest’anno un passaporto turco e fa spola con Istanbul dove condurrebbe una vita spericolata con tanto di assidue compagnie femminili e alcol, secondo il sito saudita Elaph aperto in Gran Bretagna. Maaz è conosciuto a Gaza come Abu Al Aqarat, ossia «padre del settore immobiliare», per le tante proprietà di appartamenti e palazzi anche nella Striscia ad altissima densità abitativa.

Il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, quando si riavvicina a Israele raffredda i rapporti con Hamas, ma è sempre rimasto al centro delle manovre con le fazioni palestinesi. Il 26 luglio ha organizzato ad Ankara un incontro fra l’anziano Abu Mazen, presidente del’Autorità nazionale palestinese insediata in Cisgiordania, e Haniyeh. «I palestinesi comuni vedono che Hamas è passato da un’umile leadership, che lottava tra la gente, a vivere in luoghi che appaiono assai lontani dalla causa» osserva Azmi Keshawi, analista di Gaza dell’International Crisis Group. «E la gente ne parla con rabbia». n

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austo Biloslavo

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