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Ucraina: il Grande gioco dello zar Putin

Ucraina: il Grande gioco dello zar Putin

A Kiev si vive un’apparente normalità. Ma al confine dell’ex «Paese fratello» con la Russia, la tensione è sempre più alta. Il Cremlino prepara l’opzione del conflitto.


Vladimir Putin vuole che l’Ucraina torni sotto il suo controllo totale. E per riuscirvi è pronto a utilizzare ogni mezzo, guerra compresa. L’Occidente, con scarsa memoria, ricorda solo oggi quanto per la Russia sia importante questa sua ex-repubblica. La «dottrina Brzezinski», dal nome di leggendario segretario di Stato americano Zbigniew Brzezinski, è chiara: la Russia insieme all’Ucraina è un impero, senza l’Ucraina non lo è più.

Da parte sua, Putin è ancora un uomo dell’era di Yalta, in cui il mondo era diviso nelle due sfere d’influenza; tutto ciò che è accaduto in seguito, il crollo Urss, la perdita degli Stati satelliti e di intere parti dell’Unione, è inaccettabile, un incubo a cui porre al più presto rimedio. In lui sopravvive la perenne sindrome di accerchiamento della Russia che, nonostante le garanzie ricevute, ha visto avanzare i nemici della Nato sin quasi nell’orto di casa.

Europa e Stati Uniti capiscono ora che l’occupazione della Crimea nel 2014 e la presa del Donbass, estremo lembo orientale dell’Ucraina con le città di Donetsk e Lugansk, tramite forze mercenarie e non ufficiali, erano il primo passo per il recupero integrale dell’influenza sul Paese «fratello». Da queste parti si ragiona ancora in termini brutali, e la frase di Stalin: «Quante divisioni ha il Papa?» è valida per l’Europa attuale. Sicuramente, decine di migliaia di morti nel cuore del continente sono per lo zar Putin un costo accettabile: teme che, aspettando ancora ad agire, il progressivo riarmo dell’Ucraina con missili Usa e i micidiali droni turchi Bayraktar gli renderanno la vita sempre più difficile.

A Kiev, intanto, la vita scorre come sempre. Majdan Nezalezhnosti, la piazza delle due rivoluzioni, che aveva visto la drammatiche rivolte nel febbraio 2014, è tranquilla. Si incrociano i passeggiatori della domenica, qualche menestrello e svetta un grande candelabro illuminato a nove bracci che commemora la festa ebraica dell’Hanukkah. Le manifestazioni dei no vax sembrano al momento l’unica minaccia all’ordine.

Il presidente ucraino Volodymyr Zelens’kyj afferma perentorio che i suoi concittadini non rinunceranno mai alla libertà. Dopo la sua elezione, nel 2019, aveva tentato di risolvere il problema dei territori occupati dalla Russia, ma aveva ricevuto condizioni capestro. La Russia ha pensato di poterlo manipolare per raggiungere i propri obiettivi: non essendovi riuscita è tornata alla minaccia militare. L’Ucraina, da sempre il «granaio dell’Unione sovietica», famosa per la fertilità della sua terra, si trova in una posizione cardine tra Russia, Mar Nero e Paesi dell’Europa orientale come Polonia e Romania, oggi parte della Nato.

Mosca vorrebbe come minimo una sua «finlandizzazione», una neutralità in condizioni di sostanziale dipendenza. La linea rossa da non oltrepassare, che Putin ha indicato all’Occidente, è il possibile ingresso di questo Stato orientale nella Nato. Se non riceverà garanzie scritte in questo senso, darà il via alle truppe.

Ora, dopo il recente colloquio tra il presidente Biden e Putin, la diplomazia segreta dovrà sciogliere nodi molto intricati. Il nuovo capo delle Forze armate britanniche, Sir Tony Radakin, sostiene che l’invasione russa dell’Ucraina sarebbe il più grande conflitto europeo dopo la Seconda guerra mondiale. Ritiene lo scenario attuale «profondamente preoccupante».

La Russia infatti, dopo una prima fase in primavera, sta radunando grandi quantità di truppe presso il confine ucraino, a Nord, Est e Sud, in Crimea. Si calcolano già 90.000 soldati sul campo. E l’intelligence Usa ha osservato nuovi segnali inquietanti: lo spostamento di truppe durante la notte, la creazione di linee di logistica in grado di sostenere un’invasione prolungata, il dispiegamento, soprattutto in Crimea, di molti aerei militari. Altro fatto molto preoccupante, la repentina convocazione in Russia dei riservisti dell’esercito, che potrebbero far affluire sul teatro di guerra altri 100.000 uomini.

Lo scenario bellico potrebbe svilupparsi così: dopo un attacco missilistico e dell’aviazione, in grado di decapitare l’esercito ucraino, le truppe russe inizierebbero un’azione concentrica, dal Donbass, dalla Crimea e dal nord, per conquistare la capitale Kiev. L’offensiva arriverebbe anche dal mare per prendere Odessa, città russa storicamente ambita. Obiettivo primario il canale di Crimea, nella regione meridionale di Cherson, indispensabile per fornire acqua alla penisola. Già in primavera l’ex consigliere di Putin, Andrei Illarionov, aveva avvertito della probabilità di un blitz dalla Crimea per impossessarsi di quest’area.

Anche i toni utilizzati dai vertici russi allarmano: il capo di Stato maggiore Valerij Gerasimov ha dichiarato che la situazione in Ucraina orientale si sta «aggravando» e qualsiasi «provocazione» ucraina nel Donbass «sarà stroncata». In un incontro al Cremlino, Putin ha aggiunto: «Sappiamo ciò che sta accadendo in Donbass. E questo è molto simile al genocidio». Affermazioni totalmente aliena dalla realtà, ma abituali per un uditorio, come quello russo, allenato a una demonizzazione dell’Ucraina.

In quest’ultimo mese, la retorica antiucraina dei media russi ha subìto un’accelerazione, preparando il pubblico a una prossima guerra. Sui canali nazionali, giornalisti di grido come Vladimir Soloviev e Olga Skabeeva lanciano improperi, tacciano gli ucraini di fascismo, ne insultano i reporter ospiti e sdoganano fake news di ogni genere per alimentare un’immagine raccapricciante dell’Ucraina: si è inventato persino un accordo tra Biden e Zelensky per organizzare nel Donbass un Gay pride, a cui sarebbero accorse fantomatiche «colonne di omosessuali ucraini».

C’è da ricordare come il gradimento di Putin, dopo la crescita dei prezzi, il rialzo dell’età pensionabile e l’«affaire» del dissidente Aleksej Navalny, sia a livelli molto bassi per i suoi standard, intorno al 60%: una guerra in difesa dei russi minacciati dai «feroci ucraini» gioverebbe al consenso perduto. E l’Occidente in tutto questo? Sulla carta ora deve muoversi in più direzioni: garantire appunto alla Russia che l’Ucraina non entrerà mai nella Nato e attivare sostanziali ritorsioni in caso di attacco.

Dovrebbe quindi seppellire per sempre il gasdotto North Stream 2, colossale errore strategico frutto dell’ambivalenza tedesca, che renderebbe aggirabile e superflua l’Ucraina per il passaggio di questa cruciale risorsa russa verso l’Europa. Inoltre, dovrebbe individuare e sequestrare i miliardi di dollari depositati in Europa e Stati Uniti, e nei paradisi fiscali dalla nomenklatura, dagli oligarchi vicini al potere. Infine, dovrebbe espellere la Russia dal sistema internazionale di pagamenti bancari Swift.

C’è da chiedersi se sarebbe davvero possibile operare queste ritorsioni alle manovre di Mosca. Pare francamente improbabile. Mentre Putin, di fronte alla scarsa risolutezza occidentale, va avanti nel suo piano. A Kiev, le minacce di invasione sono vissute in modo variabile e contraddittorio: buona parte dei cittadini cui si chiede un’opinione prova a rimuovere. Dopo anni di stress legato alla guerra nel Donbass, dice di non seguire più i notiziari e cerca di isolarsi da cronaca e politica. Sembra molto più infastidita dai soliti ingorghi di auto nel centro.

Eppure, anche in questa rimozione diffusa, si avverte che la preoccupazione cresce. Sui canali tv continuano i dibattiti, da Espreso tv il politologo Andrei Piontkovski, collegato dagli Stati Uniti, mette in guardia con toni coloriti dalle mire imperialiste dello zar Putin. Il generale Kyrylo Budanov, che comanda l’Intelligence militare ucraina, ritiene «possibile un attacco per la fine di gennaio» e ammette che senza aiuto dall’Occidente le truppe ucraine sarebbero «sopraffatte tecnicamente e numericamente» da un’offensiva russa. A quel punto i comandanti al fronte, senza più aiuti e collegamenti, dovranno vedersela da soli e «combattere fino all’ultimo proiettile».

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