Un documento di sicurezza rimasto per anni a prendere polvere negli archivi del Louvre aveva descritto con precisione quasi chirurgica lo stesso metodo poi utilizzato dai rapinatori per sottrarre 101 milioni di dollari di gioielli dalla Galerie d’Apollon. Un camion per traslochi, una scala meccanizzata posizionata fino al secondo piano, l’accesso diretto alle vetrine dei gioielli della corona: sette anni prima della rapina, quel rischio era già stato messo nero su bianco. Addirittura corredato da un disegno esplicativo. Il 19 ottobre scorso , quel copione è diventato realtà. Quattro uomini in giubbotti ad alta visibilità parcheggiano un furgone accanto al museo, due salgono con la piattaforma elevatrice fino alla Galerie d’Apollon, spezzano i vetri con una smerigliatrice e portano via il bottino. Un’azione fulminea, quasi una dimostrazione di quanto il Louvre fosse impreparato, malgrado avesse ricevuto esattamente quell’avvertimento.
Il rapporto – commissionato nel 2018 dal direttore di allora, Jean-Luc Martinez, alla divisione sicurezza di Van Cleef & Arpels – non era stato trasmesso alla nuova dirigenza. Durante un’audizione al Senato, i vertici del museo hanno ammesso che l’attuale direttrice, Laurence des Cars, non sapeva nemmeno che quel dossier esistesse. È riemerso soltanto dopo il furto, quando gli uffici hanno iniziato a rovistare negli archivi in cerca di precedenti valutazioni critiche. Martinez, hanno spiegato i funzionari, ne avrebbe conservata una copia personale dopo aver lasciato l’incarico nel 2021. Altre copie erano disperse tra gli archivi del Louvre e il dipartimento delle arti decorative. Né l’ex direttore né la maison di gioielli hanno risposto alle richieste di commento.Nel frattempo la polizia ha arrestato quattro sospetti legati alla rapina. Ma i gioielli non sono stati recuperati e resta aperta la possibilità che qualcuno abbia fornito ai ladri informazioni riservate.
Dopo avere ricevuto l’analisi della maison di gioielli, il Louvre aveva rafforzato esclusivamente i vetri delle teche. Nulla, invece, era stato fatto per proteggere l’accesso dall’esterno: finestre vulnerabili, poche telecamere, assenza di sensori infrarossi. Misure che, secondo gli ispettori del Ministero della Cultura, avrebbero «con tutta probabilità impedito la rapina». Pascal Mignerey, revisore senior della sicurezza, è stato perentorio: le linee guida erano chiare e il museo non le ha applicate. Una negligenza che si inserisce in un quadro più ampio di criticità note da tempo.
L’inchiesta parlamentare ha messo in luce un dettaglio sconcertante: una delle telecamere interne aveva filmato l’arrivo del camion e l’ascesa della scala verso la Galerie d’Apollon. Ma quell’immagine non è mai apparsa sugli schermi dei centri di monitoraggio. Il Louvre non disponeva nemmeno di sistemi di video-analisi automatica capaci di segnalare movimenti sospetti.In pratica, il museo più famoso del mondo si è trovato cieco proprio mentre il furto stava avvenendo in pieno giorno. Guy Tubiana, consulente per la sicurezza dei musei, non ha usato giri di parole: «Una serie di disfunzioni ci ha portato alla catastrofe. Non avrei mai pensato che il Louvre potesse trovarsi in un tale livello di disfunzione». L’esistenza del rapporto ignorato, l’assenza di passaggi di consegne tra le direzioni, la mancata applicazione delle misure consigliate e la fragilità strutturale dei sistemi di sorveglianza delineano un quadro che va ben oltre una semplice rapina. È il fallimento di una catena di comando che avrebbe dovuto proteggere uno dei patrimoni culturali più preziosi del pianeta. Secondo Carlotta Predosin Art Security Manager : «Un sistema di sicurezza museale non può mai essere considerato statico: deve funzionare come un processo continuo, aggiornato e calibrato in base ai diversi scenari di rischio. In questo caso, è evidente che la competenza di un esperto è stata sottovalutata. Ritengo inoltre necessario verificare l’eventuale fuoriuscita di informazioni sensibili, un fatto estremamente grave che solleva interrogativi sulla riservatezza, sulla professionalità del personale coinvolto e, forse, sulla mancanza di una figura tecnica realmente responsabile della sicurezza. Infine, colpisce la totale assenza di consapevolezza da parte della direzione riguardo alla documentazione esistente. Il direttore è il primo custode sia delle opere sia della sicurezza delle persone: anche questo conferma l’assenza, all’interno del museo, di un punto di riferimento chiaro e strutturato per la gestione della sicurezza. E mentre gli investigatori cercano i responsabili del colpo, un’altra domanda più inquietante resta sul tavolo: quante altre vulnerabilità, note e dimenticate, dormono ancora negli archivi del Louvre e negli altri musei francesi e anche in quelli italiani ?
