Home » Attualità » Esteri » Cina, Russia, Ucraina, Arabia Saudita: le reazioni all’attacco israeliano in Iran

Cina, Russia, Ucraina, Arabia Saudita: le reazioni all’attacco israeliano in Iran

Cina, Russia, Ucraina, Arabia Saudita: le reazioni all’attacco israeliano in Iran

La Cina e la Russia si definiscono «voci della ragione» in relazione ala guerra Israele-Iran, con gli Stati Uniti che valutano se entrare nel conflitto. Quella dei «mediatori di pace» è la posizione che Xi Jinping e Vladimir Putin hanno concordato di tenere dopo una telefonata tra i due, lo scorso giovedì. Durante la telefonata, Putin e Xi hanno condannato con forza le azioni di Israele, definendole «una violazione della Carta delle Nazioni Unite e di altre norme del diritto internazionale», secondo quanto riferisce il Cremlino. 

Comprensibile, certo. E tuttavia stride che Mosca, ancor prima che Pechino, possa definirsi «voce della ragione», così come suscita un certo stupore apprendere che Putin tiri in ballo le Nazioni Unite, considerata la condotta dei russi tenuta a partire dall’invasione dell’Ucraina del 2022. Come scrive la reporter di South China Morning Post Nectar Gan, «l’elefante nella stanza, ovviamente, è la violazione del diritto internazionale da parte della Russia nella guerra in corso contro l’Ucraina, che Pechino si è sempre rifiutata di condannare».

La rapida escalation tra i due nemici giurati del Medio Oriente, in ogni caso, ha offerto a Pechino e Mosca una opportunità per proporsi quali interlocutori e, se del caso, contropotere rispetto al primato statunitense nella regione. Un coinvolgimento di Washington nel conflitto, infatti, aprirebbe scenari inediti: si abbatte il regime degli ayatollah, e poi? È questa, in estrema sintesi, la domanda che si pongono gli attori internazionali che più hanno da perdere dalla eventuale caduta di Khamenei e della teocrazia sciita. 

Nella dichiarazione di Pechino, come sempre Xi Jinping ha usato toni più felpati e si è astenuto dal condannare esplicitamente Israele, a differenza del Cremlino, sottolineando semmai l’influenza speciale che le «grandi potenze» vantano sulle parti in conflitto: «Dovrebbero adoperarsi per raffreddare la situazione, non il contrario». Un modo per blandire – ma allo stesso tempo bacchettare – il presidente degli Stati Uniti, la cui politica ondivaga in relazione a un attacco al fianco di Israele che allontana anziché avvicinare il mondo intero alla chiarezza.

Pechino ha già contribuito a mediare un riavvicinamento a sorpresa tra altri due grandi rivali storici Arabia Saudita e lo stesso Iran, un accordo che ha segnalato tanto l’ambizione personale di Xi di emergere come nuovo leader nella regione, quanto la debolezza iraniana nel proseguire ad alimentare uno scontro contro Riad – le milizie Houthi nello Yemen sono emanazione di Teheran, dirette anzitutto contro il regno saudita – dopo che già le milizie sciite, suoi alleati in Libano (Hezbollah) e Siria (assadisti), sono stati sonoramente sconfitti (anche con l’aiuto di Israele).

Pechino e Mosca sostengono da lungo tempo l’Iran: la prima attraverso importazioni petrolifere costanti e un sostegno fattivo al Consiglio di Sicurezza ONU; la seconda attraverso acquisti di armamenti (i droni russi in azione in Ucraina sono in realtà iraniani) ed esercitazioni navali congiunte. Pechino, Mosca e Teheran inoltre condividono un seggio anche nell’Organizzazione di cooperazione di Shanghai e nel BRICS, due enti che hanno come obiettivo di sostituire l’ordine mondiale guidato ancora oggi dal dollaro e dagli Stati Uniti. Cosa che li rende a tutti gli effetti «alleati». 

Vero è che Israele almeno formalmente mantiene buoni uffici con Mosca, ma per Putin l’idea di perdere l’influenza anche in Iran, dopo che già Mosca ha dovuto abbandonare in fretta e furia la Siria, è uno scenario che non vuole neanche prendere in considerazione. Dopotutto, chi gli fornirà nuovi missili e droni (che consuma in quantità spaventose) per proseguire la guerra di lungo corso contro Kiev?

Proprio l’Ucraina ha da temere più di tutti: quando due settimane fa gli Stati Uniti hanno dirottato verso il Medio Oriente ben 20.000 missili destinati invece alla contraerea ucraina per combattere i droni russi, Kiev insieme a Londra e Parigi si sono domandate il perché. La risposta è arrivata con l’attacco israeliano in Iran: quei missili servivano a neutralizzare il contrattacco iraniano, che si sarebbe materializzato quasi subito. Dunque, gli Stati Uniti non solo sapevano, ma hanno scelto di favorire l’attacco israeliano, di fatto abbandonando al proprio destino l’Ucraina. Come plasticamente mostrato durante la riunione del G7, che Donald Trump ha abbandonato anzitempo per seguire il conflitto in Medio Oriente, a segnalare quali sono oggi le priorità dell’America. A Kiev non resta che sperare nella de-escalation e nella via diplomatica perché, ove mai Washington dovesse impegnarsi in un conflitto contro i persiani, lo sforzo Usa in Europa semplicemente svanirebbe. 

Se Zelensky ha compreso che è meglio dialogare con Londra, Parigi, Roma e Berlino per quanto attiene allo scontro con Mosca, chi non sa quale posizione tenere o a chi rivolgersi è invece Riad. Arabia Saudita e Israele hanno sì un nemico comune, ed è vero che il «lavoro sporco» (copyright del cancelliere tedesco Friedrich Merz) israeliano va incontro alle più rosee speranze della monarchia saudita, cioè eliminare i principale concorrente nella regione per il predominio. Al tempo stesso, però, Riad in questi anni ha riallacciato come detto i rapporti con Teheran e sperava di non dover prendere posizione in relazione a Israele. Ecco perché ha condannato l’attacco. 

Parlando con il presidente iraniano Masoud Pezeshkian, il principe ereditario saudita Mohammed Bin Salman ha sottolineato la «condanna e denuncia di questi attacchi [israeliani], che minano la sovranità e la sicurezza della Repubblica Islamica dell’Iran e costituiscono una violazione delle leggi e delle norme internazionali». Un copia incolla del messaggio recapitato da Pechino a Washington e Gerusalemme, che tuttavia nel caso specifico nasconde anche un timore recondito: se l’Arabia Saudita non dovesse firmare gli Accordi di Abramo per il riconoscimento di Israele, e se in futuro Gerusalemme dovesse mettere nel mirino Riad per questa o altre ragioni, siamo sicuri che la monarchia dei Saud non riceverebbe lo stesso trattamento riservato agli ayatollah iraniani?

© Riproduzione Riservata