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Donald Trump e i dazi in tribunale: sospesi, ripristinati, caos. Ecco che cosa succede ora

Donald Trump e i dazi in tribunale: sospesi, ripristinati, caos. Ecco che cosa succede ora

L’annuncio delle nuove tariffe il 2 aprile. Il 29 maggio un tribunale federale li sospende. Un altro li sblocca. La Casa Bianca ricorre alla Corte Suprema. Insomma, le certezze sono sempre meno

Ieri notte una Corte di appello federale ha accolto il ricorso della Casa bianca reintroducendo tutti i dazi. In meno di 24 ore la maggior parte dei dazi imposti dal Presidente americano Donald Trump sono stati prima sospesi e poi reintrodotti. Ma quali tariffe erano state tolte e poi rimesse?

Nella tempesta generata da questo “caos dazi” non è facile seguire il filo degli eventi. Partiamo quindi dal principio per fare un po’ di chiarezza in merito a questa faccenda.

L’imposizione dei dazi e il “Liberation Day”

Dopo aver dato il via imponendo i primi dazi del 25% nel febbraio di quest’anno su tutte le importazioni provenienti da Canada e Messico (oltre che del 10% alla Cina), a marzo l’amministrazione ha raddoppiato la misura imposta alla Cina, portandola al 20%. È ad aprile però che la “guerra dei dazi” è informalmente cominciata. Il 2 aprile, infatti, il presidente Donald Trump ha proclamato il “Liberation Day”, annunciando una nuova strategia tariffaria volta a correggere quelli che ha definito «decenni di relazioni commerciali ingiuste che hanno svantaggiato i produttori e i lavoratori americani».

Durante una cerimonia nel Giardino delle Rose della Casa Bianca, Trump ha firmato l’Ordine Esecutivo 14257, delineando una politica tariffaria globale estesa, descritta come la «dichiarazione di indipendenza economica» degli Stati Uniti. con questo ordine esecutivo veniva creata una struttura tariffaria a due livelli.

Una tariffa universale del 10%, applicata a tutte le importazioni da tutti i Paesi, con eccezione per Canada e Messico e tariffe “reciproche” specifiche per Paese. Queste ultime erano basate su ciò che l’amministrazione considerava pratiche commerciali ingiuste di circa 60 paesi. Ad esempio, l’Unione Europea sarebbe stata soggetta a una tariffa del 20%, la Cina al 34%, il Giappone al 24%, il Vietnam al 46% e l’India al 26%.

In realtà nel calcolo della tariffa l’amministrazione ha dato peso al deficit commerciale che gli Stati Uniti avevano Paese per Paese. In altre parole, più il tuo surplus commerciale con gli Usa era alto, più alta era la tariffa. Il motivo? Per l’amministrazione Trump il deficit commerciale da 1,2 triliardi registrato nel 2024 è un’emergenza nazionale. Emergenza a cui porre rimedio. Le tariffe elevate, contando sull’importanza del mercato americano per il commercio mondiale, sono secondo l’amministrazione americana lo strumento adatto per trovare accordi commerciali più bilanciati con i vari Paesi del mondo.

Il 9 aprile Trump sospendeva per un periodo di 90 giorni tutte le tariffe reciproche, tenendo solo quella universale del 10% e quelle imposte alla Cina. Da allora, infatti, la priorità della Casa Bianca è diventata la firma di nuovi accordi commerciali equilibratori con i vari partner, fino ad ora raggiunti solo con il Regno Unito.

L’inizio delle schermaglie nei tribunali

Arriviamo quindi al 28 maggio. In quella data la U.S. Court of International Trade (Cit), creata nel 1980 e avente giurisdizione nazionale in tema di importazioni, esportazioni e dazi, ha ordinato l’annullamento immediato dei dazi imposti dall’amministrazione americana; non di tutti i dazi, ma di quelli imposti basandosi sullo International Emergency Economic Powers Act (Ieepa). Il motivo è che questa legge, secondo la Cit, è stata male interpretata dall’amministrazione, giacché i poteri da essa previsti sono utilizzabili solo in presenza di minacce «inusuali e straordinarie».

Minacce che secondo la Corte non esistono. Pertanto, la Cit ha richiesto all’amministrazione di emettere entro 10 giorni gli ordini amministrativi necessari ad attuare l’ingiunzione della Corte stessa. In altre parole, a eliminare i dazi.

Ma a quali tariffe si riferiva la Corte? A tutti i dazi imposti nell’ormai celebre “Liberation Day”: Dal dazio universale del 10%, ai dazi reciproci imposti a circa 60 Paesi con aliquote variabili. La corte aveva anche invalidato i dazi imposti, tra febbraio e marzo, a Messico, Canada e Cina per via delle preoccupazioni legate all’immigrazione clandestina e al traffico di Fentanyl. Non erano stati invece invalidati i dazi universali del 25% imposti su settori specifici, come l’acciaio, l’alluminio e le automobili.

Circa 24 ore dopo questa decisione della Cit, una Corte d’appello federale ha concesso una sospensione d’emergenza (emergency stay) della sentenza precedente, permettendo all’amministrazione Trump di continuare a riscuotere i dazi contestati mentre il caso procede in appello. Gli Stati Uniti possono dunque tornare a riscuotere i dazi attualmente in vigore, ovvero il 10% universale e i dazi specifici su Cina, Canada e Messico. Attenzione però. Le schermaglie giudiziarie sono solo all’inizio. La sospensione è temporanea, mentre il caso viene discusso in appello, con la prossima udienza fissata per il 5 giugno 2025.

La questione è d’importanza vitale per l’amministrazione Trump. Nell’appello presentato (e poi accolto) si legge infatti che la decisione della Court of International Trade: «Metterebbe in ginocchio il presidente sulla scena mondiale, paralizzerebbe la sua capacità di negoziare accordi commerciali, metterebbe in pericolo la capacità del governo di rispondere a queste e future emergenze nazionali. I rami politici, non i tribunali, fanno la politica estera e definiscono la politica economica».

Donald Trump era già stato piuttosto chiaro nella notte fra giovedì e venerdì, quando aveva definito la sentenza della Cit come «politica» e «orribile».

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