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Brigata internazionale: i mastini della resistenza ucraina

Brigata internazionale: i mastini della resistenza ucraina

Da Oltreoceano, dai Paesi europei, Italia compresa. Sono decine di migliaia gli stranieri ora in Ucraina per combattere contro i russi. E militano anche in formazioni controverse come il battaglione Azov.


L’auto con gli uomini armati è l’unica che percorre il viale principale a un passo da piazza Maidan, il centro di Kiev. Davanti al municipio protetto da sacchetti di sabbia, come nella Seconda guerra mondiale, inchioda e scendono un paio di patrioti della resistenza ucraina con la fascia gialla sul braccio e due stranieri.

«Abbiamo visto la scritta “press” sul giubbotto antiproiettile. Mi chiamo Jordan e sono un volontario canadese, lavoro per una compagnia militare privata» esordisce un giovane venuto a combattere i russi. Non un volontario fai-da-te, ma un professionista della compagnia militare privata Northstone security con sede in Ontario. La società mette a disposizione «esperti di anti terrorismo, operazioni speciali, addestramento, preparazione medica».

Il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, ha firmato il 27 febbraio un decreto per «formare una brigata internazionale che sostenga la resistenza contro gli occupanti russi». Ambasciate e consolati all’estero ora possono arruolare volontari stranieri che vogliono combattere per l’Ucraina facilitandone l’arrivo, come ai tempi della brigata internazionale della guerra civile spagnola del 1936. «I mercenari stranieri che operano in Ucraina saranno perseguiti e non otterranno lo status di prigionieri di guerra» ha sentenziato il ministero della Difesa russo. In pratica, se catturati, potrebbero pure venire passati per le armi.

Il 10 marzo i canadesi dopo aver recuperato in Polonia un carico di attrezzatura militare sono fermi a Zhytomor, poco più di 100 chilometri da Kiev. Un loro compatriota è già una leggenda. Wali, nome di battaglia, è diventato famoso in Afghanistan come cecchino del 32° Reggimento reale. Il canadese ha combattuto anche al fianco dei curdi in Siria e Iraq. Wali detiene il record mondiale per avere ucciso a una distanza di oltre tre chilometri. «Mi metto a disposizione perché questa gente vuole essere europea e non sotto il giogo di Mosca» ha dichiarato una volta arrivato in Ucraina.

Un altro canadese, il comico Anthony Walke, è pure arrivato in Europa orientale per arruolarsi a Kiev. Il ministro degli Esteri, Dmytro Kuleba, parla adesso di «circa 20.000 volontari stranieri, principalmente europei». Un numero certo esagerato, ma sono tanti gli ucraini con un altro passaporto, i polacchi, i baltici. Non mancano 200 volontari croati, che hanno sollevato le ire del Cremlino con tanto di convocazione dell’addetto militare dell’Ambasciata a Mosca.

«La maggioranza di chi sa usare veramente le armi è composta da tedeschi e americani. Al momento ho visto una cinquantina di professionisti già in Ucraina. Poi sono tanti i potenziali volontari in attesa al confine polacco» sostiene Jordan. Il governo inglese ha dato il via libera a chi vuole arruolarsi con la brigata internazionale, ma per altri paesi, compresa l’Italia, combattere all’estero è un reato.

Florent Coury, manager internazionale di professione, francese di Bruxelles, che parla bene l’italiano è stato fra i primi ad arrivare, ma al fronte si ammalato di polmonite. «Sono stato evacuato per motivi di salute» ha scritto via WhatsApp a Panorama. Su Facebook la pagina degli aspiranti volontari francesi ha raccolto 8.000 adesioni in poche ore dopo l’invasione russa del 24 febbraio.

Anche gli italiani sono attirati dalla lotta contro Mosca. Un ex legionario, che però non ha superato due anni di ferma, è partito addirittura dalla Bolivia arrivando a Milano per recarsi al consolato ucraino a firmare i moduli di arruolamento. «Cinque italiani, ex militari, vogliono unirsi a noi per addestrare i volontari e aiutare gli ucraini a difendere la libertà» rivela Mamuka Mamulashvili, il comandante della Legione georgiana, che ha attirato anche i canadesi. Bandiera bianca con il muso di un lupo feroce al centro, è un gruppo paramilitare che combatte da tempo sul fronte del Donbass.

La Legione è diventata «internazionale» con l’arrivo di americani, inglesi, albanesi, azeri e anche un indiano. Molti sono ex soldati e fra i georgiani alcuni non si fanno fotografare perché, ammettono gli stessi combattenti, «sono ricercati dall’Fsb», i servizi segreti russi. A Kiev, nella loro base dove sventolava la bandiera americana prima della guerra, c’è anche il californiano William che si copre il volto con una sciarpetta militare.

«La Legione recluta in tutto il mondo. Ero un paramedico nell’esercito Usa che ha servito all’estero» spiega l’americano. L’Srv, i servizi di intelligence russi all’estero, punta il dito soprattutto contro Stati Uniti e Inghilterra che starebbero utilizzando come «base logistica la Polonia» per «trasferire» in Ucraina «armi e combattenti terroristi stranieri, compresi alcuni dal Medio Oriente».

Negli otto anni di guerra nel Donbass una cinquantina di italiani hanno imbracciato le armi da una parte e dall’altra. Il più famoso e ricercato dalla giustizia è Andrea Palmeri, soprannominato «Generalissimo» al fianco dei filorussi. L’Ucraina ha attirato l’estrema destra solitamente divisa fra Casapound con simpatie per gli ucraini e Forza nuova per l’altra parte della barricata. Non sono mancati i nostalgici del comunismo come Edy Ongaro, nome di battaglia Bozambo, «internazionalista antifascista impegnato a lottare contro le ingiustizie nel mondo», che si è schierato con i filorussi.

I nemici giurati del Cremlino, che hanno aperto le proprie fila ai volontari, sono i reparti ultranazionalisti come il battaglione Azov, adesso reggimento con 2.500 uomini, accusati di essere filonazisti. In una delle sue basi a Kiev, il giovane portavoce laureato in storia, Danylo Brusov, spiega che «questo è un centro di addestramento e reclutamento. Accettiamo volontari da tutto il mondo, gli italiani sono i benvenuti ma devono avere esperienza militare».

Fuori urla la sirena dell’allarme aereo e si avvicina il boato dell’artiglieria sul fronte nord della capitale. Azov, che usa una sorta di runa come simbolo, è integrato nella Guardia nazionale e combatte sul fronte di Mariupol. Brusov, in tenuta di combattimento e kalashnikov a tracolla, rivela che il 4 marzo sul fronte di Bucha sfondato dai russi «è caduto il primo straniero fra le nostre fila, il bielorusso Ilya “Litvin”».

Uno dei fondatori di Azov, Sergei Korotkikh, soprannominato il «Nostromo», ha formato un altro reparto che si chiama «Squalo» composto quasi interamente da stranieri. Panorama lo incontra nel bunker di un albergo requisito per la nuova unità. Armi anticarro, fucili di precisione, reclute che riempiono caricatori, Korotkikh, barbetta ben curata, va orgoglioso della sua pistola dorata nella fondina di pelle di coccodrillo, un animale che sostiene di avere ucciso con le sue mani. Nato a Togliattigrad e poi cresciuto in Bielorussia è uno dei capi militari che il Cremlino vuole spazzare via per «denazificare» l’Ucraina.

«Con me ci sono russi e bielorussi, oppositori del regime di Putin» dice. «Nel 2014, quando comandavo il reparto esploratori del battaglione Azov, c’erano diversi italiani, compresi cecchini. Nuovi volontari sono in arrivo e circa 50 si trovano già a Leopoli (Ovest del Paese, ndr) pronti a unirsi alla resistenza. Ben vengano gli italiani». Il Nostromo accetta «solo volontari con esperienza militare capaci di utilizzare le numerosi armi che stiamo ricevendo dall’Europa». E sul presidente russo rovescia la frittata: «Ha perso la ragione e accusa di nazismo chi lo combatte, evocando la Seconda guerra mondiale. È Putin a essere come Mussolini».

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