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Blogger di guerra

Blogger di guerra

Dopo che una bomba ha ucciso Vladen Tatarski, una delle voci più conosciute della propaganda nazionalista russa sui social network, occhi puntati sugli altri «milblogger»: gli influencer di regime per la campagna di conquista dell’Ucraina.


San Pietroburgo, 2 aprile 2023. Alle ore 18 è previsto un raduno di «soldati digitali» presso lo Street Food Bar N°1, un caffè lungo la Neva, sull’argine Universitetskaïa, al numero 25. Alla riunione dei sostenitori del Cremlino – che militano sui canali social per fomentare la guerra d’invasione russa del Donbass – è previsto l’arrivo di Maksim Fomin, noto con il «nome di battaglia» di Vladen Tatarsky. È uno dei blogger più seguiti dagli uomini delle forze armate russe e dai sostenitori della guerra. È stato sul campo, e dunque è ovviamente considerato più attendibile di un fanatico che pontifica dal divano di casa propria. Ha iniziato con le truppe mobilitate nel Donbass tra il 2014 al 2015, combattendo al fianco dei separatisti del Donetsk. Poi è passato alla tastiera, a «combattere» con le parole. Finché quel pomeriggio una bomba non l’ha raggiunto nel bar sulla Neva, e ucciso.

I suoi funerali ne hanno glorificato la figura e le tante frasi di propaganda affidate al web. Soprattutto a Telegram, lo strumento privilegiato per diffondere messaggi, video e informazioni in virtù della maggiore segretezza rispetto ai maggiori social network, perché non solo qui i messaggi si autodistruggono in un tempo prestabilito, ma questo canale permette di creare gruppi con decine di migliaia di utenti insieme; soprattutto, la app di messaggistica russa punta sul criptare le chat garantendo la privacy a chi le utilizza, grazie alla cifratura client-server che ne promette l’anonimato. Lo utilizzano persino i plotoni schierati sul campo e le artiglierie di ambo le parti, che scorrendo il canale social sono talvolta in grado di ottenere la posizione del nemico e persino le coordinate esatte dove poter poi dirigere il fuoco.

Il canale di Tatarsky su Telegram a tutt’oggi vanta 563 mila follower, secondo solo a WarGonzo, il canale di Semyon Pegov, ex giornalista di guerra che per anni ha seguito sul fronte le forze speciali russe, documentando tutto in favore dei suoi 1,2 milioni di lettori online. Ad aumentarne a dismisura la reputazione è stata la ferita di guerra riportata il 23 ottobre 2022 nel Donbass, quando è saltato su una mina antiuomo perdendo l’uso della gamba destra. Per il suo servizio, Vladimir Putin in persona lo ha insignito di un’onorificenza al valore militare. Dietro WarGonzo, si posiziona Boris Rozhin che, grazie al suo canale ColonelCassad, raggruppa e distribuisce contenuti di guerra per ben 800 mila iscritti.

Anche Dambiev, con i suoi 118 mila follower, è ufficialmente un «influencer di guerra» di primo piano. Specie da quest’anno quando, come annunciato dallo stesso Rozhin, il suo profilo si è messo a lavorare di comune accordo proprio con il «collega» ColonelCassad. Si legge sui messaggi fissati in alto sulla bacheca: «ColonelCassad e Dambiev, con il supporto di canali amici stanno completando un’ampia raccolta mirata di veicoli per unità d’intelligence militare e medici militari del gruppo V delle Forze armate russe. Al momento sono stati raccolti 6,9 milioni di rubli. Si prevede di acquistare pick up. Più sono, meglio è».

Dunque, il sostegno non è solo informativo ma anche economico. Alle informazioni e alla propaganda si mischiano spesso consigli, raccolte fondi e richieste di beneficenza. Si combatte anche così la guerra in Ucraina: li chiamano «milblogger», crasi di military e blogger, a indicarne l’estrazione e la vocazione militarista. E rappresentano un fenomeno sempre più in voga nel sottobosco dei social network. Mentre la propaganda ufficiale fa la sua parte sui canali mainstream e i droni fotografano dall’alto la situazione sul campo, tra le fibre ottiche passano video, testi, immagini, statistiche e mappe dettagliate che attivisti e soldati si curano di pubblicare a ogni ora del giorno, inondando quotidianamente la rete con notizie vere e false informazioni, non meno che di link dove è possibile donare soldi «alla causa russa», anche attraverso le criptomonete.

La ragione per cui i milblogger godono di così tanta popolarità è il fatto che non hanno filtri: pubblicano immagini crude e violente senza alcuna censura (i recenti video di decapitazioni di soldati ucraini non sono che la punta dell’iceberg degli orrori), e sembrano anche dimostrare un certo grado di indipendenza dal Cremlino e dalla linea ufficiale russa sulla guerra, permettendosi di criticare chiunque, persino lo stesso Putin, con un linguaggio colorito e diretto, senza fare sconti. Anzi, spesso attaccano i vertici militari di Mosca quando incappano in errori marchiani: come quando lo scorso primo gennaio 2023 centinaia di soldati russi furono colpiti nella base militare di Makiivka, definito dai milblogger uno dei disastri militari più gravi per la Russia dall’inizio della guerra, smentendo i media ufficiali di Mosca che cercavano di sminuirne la portata.

Così hanno fatto fortuna personaggi come Igor Girkin, ex servizi segreti e già a capo delle operazioni che hanno portato il Cremlino alla conquista della Crimea nel 2014. Fedelissimo di Putin, era stato regista anche della sollevazione nel Donetsk ed è ricomparso a seguito dell’invasione del 2022. Nel mentre, era stato allontanato dalle forze armate russe a causa dell’abbattimento del volo civile Malaysian Airlines MH17, che il 17 luglio 2014 uccise tutti i 283 passeggeri. Putin dovette prenderne le distanze, e così Girkin iniziò a criticarlo ferocemente, salvo poi benedire l’invasione dal suo nuovo canale Telegram, inneggiando alla sparizione dell’Ucraina e dicendosi favorevole al lancio di armi nucleari tattiche. Si è anche recato personalmente in Donbass per documentare e consigliare gli ufficiali militari sul da farsi.

Oltre a lui, vanno ricordati anche Andrii Tsaplienko, 287 mila iscritti; e persino Edward Snowden, l’informatico ed ex tecnico della Cia che da consulente della National Security Agency rivelò pubblicamente i dettagli segreti dello spionaggio di massa americano, prima di fuggire in Russia (dove oggi gode della protezione del Cremlino). I suoi 60 mila iscritti si districano così tra invettive anti-occidentali e anti-ucraine, e deliri No-Vax che fanno del suo canale una confraternita di complottisti (al punto che, nonostante l’autenticità verificata del canale, c’è chi dubita sia veramente Snowden a gestirlo).

Non meno schierato è infine il canale Anna News, che vanta ben 322 mila iscritti, molti dei quali transumati da YouTube, dopo che il profilo è stato «bannato» per aver violato i termini di servizio: ufficialmente si tratta di un’agenzia russa sullo stile del meno celebre sito di propaganda South Front, anche se a dirigerla fino a qualche tempo fa era principalmente il solo Marat Musin, specialista d’intelligence finanziaria, a lungo voce dei filorussi in Siria e nel Donbass (dove fu anche catturato dagli uomini di Kiev). Oggi Anna News vanta anchormen e una redazione, e si occupa esplicitamente di propaganda e disinformazione. Mentre Musin risulta morto nel 2018 in circostanze non chiare. Segno che il sangue non viene sparso soltanto nelle chat virtuali. n

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