La crisi energetica – e l’insofferenza dei cittadini certificata dai sondaggi – fanno cambiare idea al partito più ambientalista, che oggi è al governo. E, complice la realpolitik, le centrali atomiche tedesche probabilmente continueranno a funzionare anche dopo il prossimo dicembre.
In Germania l’adesivo con il sole rosso su sfondo giallo e la scritta Atomkraft? Nein Danke, «Energia atomica? No grazie», fece la storia del movimento ambientalista. La lotta contro il nucleare è costitutiva dell’identità dei verdi tedeschi: nel 2000, il primo programma per lo spegnimento dei 19 impianti nucleari allora attivi in Germania fu portato avanti dal governo rosso-verde del cancelliere socialdemocratico Gerhard Schroeder. Allora la sua Spd sfiorava il 39 per cento mentre i verdi valevano l’8,5 per cento dei voti. Ironia della sorte: oggi che i socialdemocratici sono molto ridimensionati e i grünen sono in forte crescita, la Germania valuta di prolungare la vita delle tre centrali atomiche ancora in funzione. Impianti che per legge dovrebbero essere spenti entro dicembre 2022.
Un boccone amarissimo per il partito ecologista, perno della coalizione «semaforo» rosso-verde-gialla varata lo scorso dicembre dal cancelliere socialdemocratico Olaf Scholz. Dei cinque dicasteri assegnati ai verdi, il fiore all’occhiello è il ministero dell’Economia cui è stato aggiunto il suffisso «e per la protezione del clima» guidato da Robert Habeck, promosso anche vicecancelliere. A mandare a gambe all’aria i piani dei grünen per una Germania senza atomo né carbone, ampiamente alimentata da solare ed eolico, è stata la crisi energetica provocata dall’invasione russa dell’Ucraina. Il gas scarseggia e già nelle scorse settimane Habeck ha annunciato, non senza rammarico, che la Germania tornerà a fare ampio ricorso al carbone per produrre elettricità. Ma perché rinunciare al nucleare, che non produce CO2, proprio nel mezzo di una crisi energetica? Prima se lo sono chiesti i liberali al governo, poi l’opposizione moderata – i cristiani della Cdu – quindi 20 accademici di sette atenei diversi con una lettera aperta al cancelliere. I verdi hanno provato a mettersi di traverso. Finché a fine luglio, il tre volte presidente del ricco Baden-Württemberg, il verde e popolarissimo Winfried Kretschmann, ha riconosciuto che la crisi del gas impone di valutare «un possibile e temporaneo prolungamento delle centrali nucleari ancora in funzione». Due giorni dopo, il cancelliere Scholz ha preso la palla al balzo: approfittare ancora dell’energia atomica «potrebbe avere senso».
Persino più notevole il risultato di un sondaggio Ard-Deutschlandtrend del 4 agosto scorso secondo cui il 41 per cento dei tedeschi è favorevole a un prolungamento «per alcuni mesi» della vita delle centrali atomiche mentre altri 41 su 100 dicono di sì pure al nucleare a lungo termine. Una sconfitta per i grünen? No, perché anche 62 simpatizzanti dei verdi su 100 si dicono pro-nucleare (seppure solo a breve termine). Il dato straordinario è che il partito continua a crescere nelle intenzioni di voto dei tedeschi, raggiungendo il 23 per cento nello stesso sondaggio, mentre la Spd scende a 17 punti. «Noi siamo sempre contro il nucleare ma oggi la guerra in Ucraina e la crisi energetica rappresentano sfide esistenziali per l’economia tedesca e per gli interessi i geopolitici della Germania» spiega a Panorama l’eurodeputato verde tedesco Sergey Lagodinsky. «Siamo tutti chiamati a decisioni difficili» aggiunge, ricordando come lo stesso ricorso del governo a nuove fonti di gas naturale liquefatto per sopperire al gas russo ha creato non pochi mal di pancia all’interno del partito a Bruxelles come a Berlino. «Ma noi non siamo dogmatici».
Così la lotta contro i regimi autoritari (leggasi la Russia) sta assumendo pari importanza a quella contro il nucleare. «Questa è l’arte della politica: sapere rinnovare i programmi e le priorità» filosofeggia ancora Lagodinsky mettendo in luce ciò che distingue i verdi tedeschi dalle formazioni sorelle europee legate a un armamentario ideologico d’antan. Per l’eurodeputato nato ad Astrachan – in Russia, per l’appunto – emigrato in Germania a 18 anni e laureato a Harvard, «a differenza di altri partiti verdi europei noi abbiamo già avuto e abbiamo responsabilità di governo: il nostro obiettivo non è fare opposizione ma disegnare la società del futuro». La traiettoria è chiara: alle elezioni dello scorso maggio nel piccolo Schleswig-Holstein e nel gigantesco Nord Reno-Vestfalia (18 milioni di abitanti), i grünen sono usciti rafforzati dal voto diventando partner dei moderati della Cdu. Lagodinsky ricorda che «c’è chi si è unito a noi per la nostra politica estera, chi perché chiede un ambiente più pulito: queste persone non sono né ideologizzate né rivoluzionare».
La nuova sfida per il partito ambientalita, oggi fortissimo nelle città – ossia nell’Ovest tedesco – è conquistare la campagna, ossia i Länder dell’ex Germania orientale. «In generale esiste una difficoltà di penetrazione del nostro messaggio nei Paesi dell’Est. Lo dico io per primo che sono nato in Russia. Oggi stiamo lottando per contemperare i nostri valori con gli interessi degli elettori di queste regioni». Gli ideali che, fatalmente, devono venire a patti con la realtà politica.
