Home » Attualità » Energia » Alla guerra dei gasdotti

Alla guerra dei gasdotti

Alla guerra dei gasdotti

Nord stream 2, la pipeline in costruzione sotto il Mar Baltico che dalla Russia porterà il metano in Germania e in Europa, è al centro di una lotta senza esclusione di colpi. Berlino appoggia il progetto, Polonia e Ucraina lo vedono come un’espressione dell’espansionismo aggressivo di Mosca, gli Stati Uniti hanno già risposto con sanzioni economiche. Mentre l’Italia punta sul Tap (dal Mar Caspio) e su altri progetti. Obiettivo: fare del nostro Paese un hub di ricezione per il mercato continentale.


A metà febbraio il vicepremier russo Alexander Novak non ha dubbi: «Nonostante gli approcci distruttivi esercitati dagli Stati Uniti, il gasdotto Nord stream 2 sarà costruito. Abbiamo già realizzato il 95 per cento dell’opera». Gazprom, il colosso russo dell’energia, annuncia addirittura che il progetto verrà inaugurato entro fine anno, come aveva preconizzato in gennaio il presidente Vladimir Putin. Washington, che vede come fumo negli occhi la nuova pipeline di Mosca verso l’Europa, direttamente in Germania, risponde con nuove sanzioni.

Nord stream 2 è solo l’ultima battaglia della guerra dei gasdotti fra la Russia e gli Stati Uniti, che coinvolge il Vecchio continente. «È un tema caldo, ma d’ora in poi dobbiamo chiederci se investiremo ancora sui gasdotti oppure no. La questione sovrastante è l’orizzonte del 2050 a zero carbonio, ma come ci arriveremo? Il 100 per cento di energia rinnovabile è un obiettivo cui tendere, però lontano, a lungo termine» sostiene con Panorama Michelangelo Celozzi, esperto del settore e presidente di Ten, società di ingegneria operante nel Mediterraneo.

Per ora la lotta sul gas è senza esclusione di colpi. Il Nord stream 2 è una pipeline sottomarina di 1.230 chilometri che attraverso il Mar Baltico parte dalla Russia per arrivare in Germania. Il progetto ha un costo 10 miliardi di dollari e raddoppia un precedente gasdotto gemello. La portata prevista è di 55 miliardi di metri cubi di gas all’anno. «È una mossa alle spalle dell’Europa, un progetto anti-Ue che servirà alle politiche aggressive della Russia. Aumenta la dipendenza europea e mina alle fondamenta la sua economia e sicurezza. È tempo di fermarlo» ha twittato il 12 febbraio, senza peli sulla lingua, il primo ministro polacco Mateusz Morawiecki.

Nord stream 2 è un obiettivo strategico di Mosca, che punta a tagliare fuori, almeno in parte, l’Ucraina. Gazprom fornisce 170 miliardi di metri cubi di gas naturale all’Europa all’anno. Il 40 per cento passa dall’Ucraina, dove cova un conflitto dimenticato fra Kiev e i filo russi del Donbass. Il Nord stream 2 farà perdere all’Ucraina 1,5 miliardi di euro di «pedaggi di transito» del gas russo, che verrà dirottato verso la Germania.

Il 19 febbraio gli Stati Uniti del nuovo presidente Joe Biden hanno imposto ulteriori sanzioni nei confronti dell’armatore delle navi che stendono i tubi del gasdotto sul fondo del Baltico. Una mossa in difesa degli alleati ucraini e polacchi, che osteggiano i piani energetici di Mosca. Fin dall’agosto 2020 i senatori repubblicani hanno incoraggiato l’amministrazione Trump a sanzionare 120 società europee impegnate a vario titolo nel progetto della pipeline. Un importante gruppi assicurativo di Zurigo e una compagnia norvegese si sono tirati indietro per il timore delle sanzioni Usa.

La Germania ha tenuto duro nel braccio di ferro con Washington e la cancelliera Angela Merkel non abbandona il progetto. Neanche con la nuova ondata di pressioni internazionali per il caso di Alexei Navalny, l’oppositore del Cremlino salvato proprio in un ospedale tedesco da un tentativo di assassinarlo con un agente nervino.

Navalny, rientrato in Russia, è stato arrestato e condannato per precedenti accuse. Ora rischia la colonia penale e la sua vicenda viene utilizzata per convincere Berlino a dare uno stop al Nord stream 2. Merkel ha ribadito che il caso Navalny «non influenzerà il progetto», considerato da Berlino un’operazione economica ben distinta dal tema dei diritti umani e delle libertà politiche in Russia.

Nel 2019 le forniture energetiche russe hanno coperto il 35 per cento dei consumi della Ue. In gennaio il presidente serbo, Aleksandar Vucic, alleato di Mosca ha inaugurato il segmento di 403 chilometri della sezione serba del metanodotto Turkstream, che rifornisce anche Bulgaria, Turchia e Ungheria con il gas naturale russo. Gazprom è azionista di maggioranza della Naftna Industrija Srbije, la principale azienda petrolifera di Belgrado. I serbi importano il 95 per cento del loro gas da Mosca.

L’ex segretario di Stato americano, Mike Pompeo, ha definito la pipeline serba e il Nord stream 2 «gli strumenti del Cremlino per espandere la dipendenza europea dalle forniture energetiche russe». Anche la Bulgaria dipende quasi totalmente dal gas di Mosca. Un progetto che gli permetterebbe di connettersi alla pipeline Trans adriatica (Tap), riducendo del 50 per cento le importazioni dalla Russia, è in forte ritardo. Pure l’Ungheria di Viktor Orban ha bisogno di Mosca per soddisfare metà del suo fabbisogno energetico, che crescerà al 60 per cento nel 2030.

L’Italia fa parte del «grande gioco» del gas che arriva dall’Est, ma dall’Azerbaijan, un’ex Repubblica sovietica. Finalmente ha preso definitivamente il via il Tap, la pipeline Trans adriatica, che pompa il gas dal Mar Caspio passando per Grecia e Albania e approda in Puglia. Il 15 novembre sono iniziate le operazioni commerciali che garantiranno con i primi 8,5 miliardi di metri cubi l’anno il 12 per cento del fabbisogno italiano. Il progetto è costato 4,5 miliardi di dollari e prevede la possibilità di espandersi a 20 miliardi di metri cubi. Non essendo una via di rifornimento energetico russo, ha ottenuto la «luce verde» da Bruxelles e un miliardo di dollari in prestito dalla Banca europea per la ricostruzione e sviluppo.

I pentastellati e gli amministratori pugliesi hanno a lungo osteggiato il progetto «portando l’Italia a venir derisa sul piano internazionale» secondo Marsiglia di Federpetroli, ma ora «questa storia infinita, che ha provocato notevoli ritardi, fa parte del passato». Celozzi è convinto «che bisogna pensare subito al raddoppio del Tap». L’Italia consuma 70 miliardi di metri cubi l’anno di gas. Il Green stream dalla Libia a Gela ne porta 10, ma non riesce a mantenere sempre costante il flusso a causa dell’instabilità del Paese. Il gasdotto dall’Algeria con 30 miliardi di metri cubi è il più grande. Celozzi spiega che «oltre alle tre pipeline da Sud ce ne sono altrettante da Nord, una dall’Austria e le altre dal Nord Europa attraverso Francia e Svizzera».

Lungo il Mediterraneo fino all’Italia esiste il progetto del gasdotto EastMed fortemente voluto da Israele, Grecia e Cipro, con l’appoggio della Francia, che forse non vedrà mai la luce per i costi enormi. E l’intenzione della Turchia di fermarlo a tutti i costi. L’Italia è coinvolta nell’ East Mediterranean Gas Forum, organizzazione internazionale fondata da Egitto, Israele, Palestina, Giordania, Cipro, Grecia e dal nostro Paese. «L’obiettivo è convogliare il gas del Mediterraneo verso il mercato europeo con l’Italia come hub di ricezione» dice Celozzi. Non con una pipeline sottomarina, ma trasportando via nave dall’Egitto il Gnl, gas naturale liquefatto. «Il metodo più flessibile e meno costoso» osserva l’esperto «ma se vogliamo l’Italia come terminale dobbiamo dotarci di rigassificatori, che certe forze politiche come il Movimento Cinque stelle non accetterebbero mai».

La guerra del gas dipenderà da quanti anni lo utilizzeremo ancora. Il mega piano europeo Green deal da un triliardo di euro, alla base del Recovery Fund, prevede di portare in un decennio l’Europa a un’economia sempre meno dipendente dal carbonio.

Una potente lobby ambientalista sta spingendo per sostituire il gas metano con l’idrogeno. Ci avevano già provato con il progetto Desertech che puntava a produrre energia da fonti rinnovabili in Africa, come quella solare da esportare in Europa. «È stato un fallimento» afferma Celozzi. «Adesso si torna alla carica con l’idrogeno, ma il metano continua a restare il complemento necessario allo sviluppo delle fonti rinnovabili» per l’Europa del futuro.

© Riproduzione Riservata