Solo lunedì scorso è stato il titolo più venduto in Borsa, perdendo quasi il 10% in una sola seduta. Ma il calo è partito appena i cannoni hanno tuonato in terra ucraina. UniCredit infatti è la banca è più esposta in Russia dove è attiva da anni e ha asset totali per oltre 15 miliardi. Ovvio che sia la guerra che le pesanti sanzioni verso la Russia, che l’Occidente sta a più riprese imponendo, rendono scivoloso il business di UniCredit nel paese di Putin. E così prima lo stop alle nozze con Banco Bpm, ora la tragedia dell’invasione e le sue ripercussioni non potevano che punire in Borsa il titolo. Una doccia fredda per Andrea Orcel che fino a poche settimane prima (come potete leggere nell’articolo a seguire) dominava la scena bancaria italiana.
Sia come market mover nello scacchiere delle fusioni italiane che quanto a risultati di bilancio. Il primo anno di gestione di Orcel sulla tolda di comando ha già impresso una svolta alla banca, rispetto alle gestioni deludenti del passato e in Borsa il titolo, prima degli eventi recenti, aveva realizzato un progresso dell’80% in 12 mesi. Ora il quadro è fortemente mutato e occorrerà vedere come Orcel, reagirà all’evolversi della situazione drammatica del conflitto. È chiaro che un aggravamento della situazione bellica non potrà che nuocere ai destini della banca e il riflesso dei contraccolpi delle attività bancarie in Russia. Al contrario soluzioni positive alla crisi porterebbero a un forte rimbalzo del titolo in Borsa. Per ora però il quadro è talmente fluido che non induce a nessuna previsione attendibile.
Andrea Orcel: prima l’utile poi la lotta per il primato tra le banche

A quasi un anno dal suo insediamento, il numero uno di Unicredit ha riportato l’istituto al profitto. E, soprattutto, al ruolo di protagonista della scena finanziaria italiana. L’opzione ora è una sola: crescere per battere la concorrenza più diretta.
di Fabio Pavesi
È ormai lui, Andrea Orcel, salito sulla tolda di comando di Unicredit nell’aprile del 2021, il protagonista sulla scena italiana del credito. L’ex banchiere d’affari dai compensi multimilionari è, volente o nolente, il pivot dei sussulti e delle manovre sullo scacchiere del credito. Prima con abilità tattica ha schivato il bubbone Mps. Ha posto l’asticella delle condizioni (draconiane) per prendersi la banca senese, in modo da farsi dare il benservito dal Tesoro. Monte dei Paschi di Siena, al di là del valore presunto, necessitava (e necessita) di una cura da cavallo sui costi con esuberi per almeno 5 mila dipendenti per far tornare il rapporto costi/ricavi a livello fisiologici.
Un boccone amaro a livello politico. E, al suo esordio in Italia, forse non se l’è sentita di accollarsi così tanti guai. Però, nei primi mesi di lavoro, ha ridisegnato la sua banca con una forte spinta sulla digitalizzazione e con un pungolo nuovo sulla vendita di prodotti finanziari, punto debole dell’istituto, tanto da far salire i ricavi da commissioni nette di oltre 700 milioni di euro (+12 per cento) in appena nove mesi. È riuscito al suo primo bilancio annuale a far tornare la banca in utile, anche se, come vedremo più avanti, con un intervento contabile sugli accantonamenti dei crediti malati.
Il Ronaldo dei banchieri
Ma la svolta vera è arrivata con il piano industriale. Tutto votato alla restituzione del capitale in eccesso agli azionisti, rimasti a secco per anni nelle fiacche gestioni di Federico Ghizzoni e poi del francese Jean Pierre Mustier. Già il primo anno ha promesso 3,75 miliardi di euro di redistribuzione del valore tra dividendi e buyback. E si è impegnato a restituire al mercato 16 miliardi tra cedole e riacquisti azionari nei prossimi quattro anni. Una svolta radicale rispetto alle passate guide troppo impegnate, loro malgrado, a svalutare crediti malati e avviamenti costosi dell’era Profumo e a cedere asset preziosi, per pensare ai soci.
Sulla strada obbligata dello shopping
È questa la mossa che ha consentito a Unicredit di volare in Borsa, con un balzo dell’80 per cento dei prezzi dal suo arrivo in Piazza Gae Aulenti. In soldoni fanno oltre 16 miliardi di euro di maggior valore di mercato per la banca che per anni ha traccheggiato, valutata a solo il 30 per cento del capitale. Oggi il re-rating, con Unicredit che vale più del 60 per cento del suo patrimonio, riduce il gap storico di valutazioni con Intesa. Grazie alla lunga opera di smaltimento dei crediti malati e degli avviamenti, compiuti dai suoi predecessori e che sono costati oltre 25 miliardi di perdite negli ultimi 10 anni, Orcel si ritrova la banca pulita. E a questo punto tocca a lui dimostrare il suo rango da grande banchiere, agendo sulla voce alta del bilancio: ricavi e margini per colmare la distanza che ancora separa Unicredit dalla concorrente più diretta.
E la strada più facilmente percorribile è quella domestica. Scartata Mps, l’unica banca attraente per Orcel resta BancoBpm. Di fatto la terza italiana per attivo e con i fondamentali in salute, dopo la pesante ristrutturazione del passato. Non sarà domani e forse neanche a breve, ma l’operazione fonda su solide basi logiche. È vero che il Banco è salito in Borsa del 67 per cento nell’ultimo anno, ma Unicredit si è apprezzata di più. Oggi la banca di Piazza Aulenti vale 7 volte la capitalizzazione della banca guidata da Giuseppe Castagna e uno scambio «carta contro carta» è più che fattibile.
Non solo, ma l’eventuale matrimonio porterebbe Unicredit a salire nella quota di mercato in Italia dall’11 al 18 per cento, ponendosi così alle spalle di Intesa. Con la mossa su BancoBpm, Orcel porterebbe a casa in un colpo solo il salto dimensionale e di «base clienti» che il mercato rimprovera alle gestioni passate di Unicredit di aver mancato.
Inseguendo Intesa Sanpaolo
Orcel non lo confesserà mai, ma la tentazione di scalzare Carlo Messina dal podio dei banchieri italiani deve essere forte. Già, perché il divario tra le due big di serie A è tuttora ampio e a sfavore di Unicredit. Le due banche per molti aspetti sono gemelle. Più o meno lo stesso attivo (1.100 miliardi di euro Intesa, 900 miliardi Unicredit). Più o meno gli stessi impieghi: 465 miliardi Intesa; 439 Unicredit. Stessa qualità dell’attivo con Npl lordi sotto il 5 per cento dei prestiti e netti intorno al 2 cento. E stesso rapporto tra costi e ricavi intorno al 50 per cento per entrambe.
Ma i risultati divergono eccome sul fondamentale più importante, quello dei ricavi. Ballano tra le due banche quasi 3 miliardi di euro di ricavi in meno per Unicredit. La prima mossa è stata dare una scossa ai ricavi da commissione, ma anche qui la distanza resta ampia: per Intesa le commissioni nette e le attività assicurative valgono da anni oltre il 50 per cento dei ricavi totali; Unicredit è ferma al 37. Mentre Intesa ha cumulato negli ultimi sei anni oltre 25 miliardi di profitti netti, e ben 19 miliardi di dividendi, Unicredit è rimasta al palo con un saldo utili di appena un miliardo. Da qui la cronica sottovalutazione del titolo che solo ora sta recuperando.
Il bello dell’utile
Chissà se andrà in porto o meno la conquista della terza banca italiana. Sta di fatto che solo con un’operazione straordinaria Orcel può davvero riagguantare la linea di ricavi che possiede Intesa. L’altra possibilità, assai più remota, è la grande mossa all’estero. Prima preclusa per il basso valore di mercato, ora meno sfavorevole. I candidati sono sempre quelli: SocGen che vale in Borsa 29 miliardi di euro; Commerzbank che ne valorizza solo 10; mentre Crédit Agricole pare lontana dato che vale il 30 per cento in più di Unicredit.
Da una perdita netta di 2,78 miliardi a un utile contabile di 1,54 miliardi. Il primo bilancio dell’era Orcel segna già la svolta sul passato. Un successo? Certo, ma le cose andrebbero viste con la lente per capire quanto il banchiere ex Ubs è stato determinante. Vediamoli i numeri. Con Orcel i ricavi sono aumentati su base annua del 4,8 per cento, in soldoni fanno 820 milioni di euro in più di entrate.
Qui il banchiere romano ha spinto sulla vendita dei prodotti finanziari e delle relative commissioni, che da sole sono salite del 12 per cento cumulando oltre 700 milioni in più. Di fatto tutto l’aumento dei ricavi totali, dato che il margine d’interesse è stato in calo del 4 per cento. A dare una mano anche il trading, che ha fruttato 200 milioni in più nei 12 mesi. I costi sono rimasti invariati e quindi la gestione ordinaria della banca ha prodotto un risultato lordo in crescita di quei famosi 800 milioni in più di entrate che abbiamo visto.
Già, ma come si passa da oltre 2,7 miliardi di euro di perdite a 1,54 miliardi di utile? Quegli 800 milioni in più della gestione caratteristica non bastano a giustificare un saldo positivo di ben 4,3 miliardi, tanto è il differenziale tra i risultati del 2020 e quelli del 2021.
Qui la mano del Ronaldo dei banchieri c’entra poco. La differenza da colmare di ben 3,5 miliardi di euro è tutta da ascrivere a una manovra discrezionale di bilancio. E cioè sono diminuiti di ben il 67 per cento le rettifiche sui crediti malati, passate da quasi 5 miliardi del 2020 a 1,6 del 2021. Ballano 3,4 miliardi di minori perdite su sofferenze e inadempienze probabili. Ed è quello che ha potuto cambiare radicalmente volto ai bilanci di Unicredit. Certo, tutte le banche nel 2021 hanno diminuito fortemente le rettifiche sui crediti marci, ma Unicredit ha dato una grande sforbiciata, doppia rispetto a tutte le altre banche italiane.
Lecito, sicuramente, e a discrezione delle singole banche che decidono anno su anno le politiche di accantonamento. Vero è che i crediti malati continuano a diminuire e quindi minori sono le rettifiche. Nel 2021 i crediti deteriorati lordi di Unicredit sono scesi a 16,3 miliardi di euro con un calo del 23 per cento. Ma la banca ha deciso di portare a svalutazione solo 1,65 miliardi contro i quasi 5 miliardi del 2020. Tanto è bastato per invertire la rotta e portare il bilancio in utile.
Vedremo solo tra un anno se la politica di accantonamento sarà stata coerente. Intanto, il Ronaldo dei banchieri si gode il primo utile.
