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Stangata alla torinese

Stangata alla torinese

L’arresto di Roberto Ginatta, amico e socio degli Agnelli, fa emergere il «buco» di Blutec. E un finanziamento spericolato voluto da Renzi e Arcuri.


A Torino, adesso che è in carcere per bancarotta e riciclaggio, non lo conosce più nessuno. Eppure Roberto Ginatta, 73 anni, il protagonista dello scandalo di Termini Imerese e di tutti quei milioni di Invitalia spariti nella riconversione fantasma dell’ex stabilimento Fiat, era nell’album di famiglia. E che famiglia. Allo stadio della Juve era sempre in tribuna vip, seduto alla destra di Allegra Agnelli, vedova di Umberto e mamma di Andrea. E con loro, abitava a La Mandria, il comprensorio con campi da golf alle porte della città. Fino all’anno scorso era socio del presidente della Juve e suo figlio Mario lo era di Lapo. E ora che lo hanno di nuovo arrestato, emerge che parte dei soldi di Termini Imerese sarebbero finiti in biglietti per le partite dei bianconeri e in quote di società degli Agnelli.

Il tempismo con cui la Blutec di Ginatta si era presentata in Sicilia era stato notevole. Sergio Marchionne aveva decretato la morte di Termini Imerese già nel 2011 e il 31 dicembre 2014 sarebbe scaduta la cassa integrazione per oltre mille operai. Una settimana prima scende magicamente da Torino Ginatta, fornitore Fiat, che si offre di rilevare la fabbrica con una serie di progetti che ruotano sulle motorizzazioni ecologiche, a cominciare dall’idea di costruire il Ducato e il Doblò elettrico, per finire con la produzione di batterie e tricicli, sempre elettrici.

Al governo c’è Matteo Renzi, occhio infallibile per gli imprenditori seri, che il 23 dicembre twitta: «Dopo Terni, Piombino, Gela, Trieste, Reggio Calabria, Electrolux, Alitalia, oggi accordo su Termini Imerese. Domani Taranto. Anche questo è Jobs act». E il braccio armato del salvataggio di Stato è Invitalia, guidata allora come adesso da Domenico Arcuri. Il futuro eroe delle «mascherine per tutti gli italiani» mette 71 milioni sui 95 totali dell’investimento. Il Fornitore della Real Casa, Renzi e Arcuri: quando il film dell’orrore si vede dalle prime inquadrature.

Le ultime, per ora, sono quelle del 18 giugno scorso, quando la Guardia di finanza di Palermo, su ordine del Tribunale di Torino, arresta Roberto Ginatta, suo figlio Matteo Orlando e Giovanna Desiderato, la storica contabile di famiglia. Secondo l’accusa, avrebbero riciclato e fatto sparire i soldi ottenuti da Invitalia e Regione Sicilia per Termini Imerese, mandando in bancarotta la Blutec.

Già un anno e mezzo prima, Ginatta senior era finito ai domiciliari con l’accusa di aver fatto sparire 16,5 milioni ricevuti da Invitalia, ma poi era tornato libero per difetto di competenza e l’inchiesta era finita in Piemonte. Nel frattempo, tra luglio e settembre dello scorso anno, il Tribunale di Torino aveva sequestrato ai Ginatta 32 milioni in due tranche.

Ma non solo, ora si scopre che erano state piazzate microspie ovunque. Così, con gli arresti dei giorni scorsi, ecco che emergono presunte distrazioni di fondi su conti di una banca svizzera (ironicamente registrate come «pratiche legali»), acquisti di biglietti per la Juventus per un totale di 185 mila euro e diversi milioni che girano da una società all’altra, oltre a una continua distribuzione di dividendi che per la Finanza sono «semplicemente frutto di alchimie contabili».

Le Fiamme gialle hanno anche scoperto che i Ginatta, con i soldi della Blutec, avrebbero comprato quote di Italia Independent, la società di occhiali di Lapo Elkann, della Laps to go (sempre del fratello di John Elkann) e della Gamma Luxembourg, società offshore partecipata a sua volta dalla Lamse, holding finanziaria di Andrea Agnelli e di sua sorella Anna.

Roberto Ginatta era socio di Andrea Agnelli anche nelle compagnia assicurativa Nobis, a partire dal 2012, ma quando sono arrivati i primi guai giudiziari il sodalizio si è apparentemente rotto. A sei mesi di distanza dai primi arresti domiciliari, scattati il 12 marzo 2019, Ginatta ha dovuto lasciare la carica di amministratore unico della Investimenti industriali del presidente della Juve.

Da allora, è come entrato in un cono d’ombra, tanto che nei giorni scorsi, in occasione del nuovo arresto, un lungo articolo sull’edizione torinese di Repubblica è riuscito nell’impresa di raccontare il personaggio senza fare alcun cenno ai suoi rapporti con la famiglia Agnelli.

Ma è un capolavoro anche quello che hanno combinato in Invitalia, dove a giugno del 2018 firmano con la Blutec un accordo per la restituzione di 16,5 milioni in comode rate e per la concessione contestuale di nuovi finanziamenti. La transazione ha dell’incredibile perché di fronte alle inadempienze di Ginatta, Arcuri e i suoi uomini non hanno ritenuto di dover mandare le carte in Procura, ma anzi, gli hanno dato nuovo credito. E il castello di carte si arricchisce di un côté cinese proprio il giorno dopo l’arresto di Ginatta e del suo a.d. Cesare Di Cursi.

Il 13 marzo dell’anno scorso qualcuno spiffera al sito del Corriere che Blutec «aveva pronto un piano da 50 milioni con la cinese Jiayuan per produrre a Termini Imerese 50 mila auto elettriche in tre anni». Si sarebbe trattato di «una bozza di preliminare d’intesa» e avrebbe dovuto essere firmata una settimana dopo a Palermo dal presidente cinese Xi Jinping. Ma sono arrivati prima i pm.

In realtà, poteva arrivarci prima il buonsenso. In cinque anni, Ginatta ha mostrato solo prototipi e un suo fornitore, Giorgio Bocca della Giomar di Chivasso (Torino), ha raccontato ai pm di Palermo che l’imprenditore non pensava proprio di investire tutti quei milioni di Invitalia in Sicilia. «Nei primi mesi del 2015, mentre mi trovavo presso gli uffici Blutec a Rivoli (Torino)» mette a verbale Bocca «all’atto di chiedere delucidazioni a Roberto Ginatta circa i mancati pagamenti relativi ai miei compensi ho prospettato a quest’ultimo la circostanza per la quale, nel giro di poco tempo, sarebbero stati erogati alla Blutec i primi parziali importi del finanziamento. Alla mia considerazione rivolta a Roberto Ginatta circa il corretto uso dei finanziamenti da destinare al progetto di riqualificazione, lo stesso mi diceva che non si sognava di investire tutti quei soldi nello stabilimento di Termini Imerese».

In realtà Blutec, oggi in amministrazione straordinaria, due anni fa fatturava circa 90 milioni e viveva di commesse Fca, in gran parte da Iveco e Sevel, eseguite nello stabilimento di Atessa (Chieti). I sindacalisti e i politici siciliani che hanno avuto a che fare con Ginatta raccontano che faceva pesare tantissimo i legami personali con la famiglia Agnelli e che non a caso sfoggiava come legali gli avvocati dello studio Grande Stevens. Del resto, sedeva anche nel cda del Royal Golf Club de La Mandria, insieme al ramo cadetto degli Agnelli, dove il soprannome di «occhi di cerbiatto» non deve però ingannare sulla determinazione di Ginatta senior. Come si rileva anche da questa intercettazione di due anni fa, in cui sente arrivare la piena e si sfoga così: «Non capisco cosa voglia fare Fca, ci ha promesso ordinativi importanti di Doblò elettrici per rilanciare Termini Imerese. Per ora abbiamo solo prototipi. Se il Lingotto continua col freno tirato mi rivolgerò a Volkswagen».

In tanti anni, la politica non è mai riuscita a portare Toyota a Torino, ma Ginatta stava per portare Volkswagen (e i cinesi) a Termini Imerese. Chissà se sarebbero arrivate anche le mascherine per Arcuri.

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