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L’Europa punisce l’Italia con 752 milioni di multe

L’Europa punisce l’Italia con 752 milioni di multe

Tanto ci sono costate dal 2012 al 2020 le procedure rilevate da Bruxelles. Dalle celebri «ecoballe» alla Giustizia, passando per qualità dell’aria e gestione pubblica del digitale: il catalogo delle direttive disattese è vario.


C’è l’emergenza rifiuti in Campania che ancora costa milioni di euro. C’è la procedura di infrazione aperta per la corretta promozione delle energie rinnovabili, un’altra sulla qualità dell’aria. E non manca il problema dei ritardi sui pagamenti per quanto riguarda le spese per la giustizia.

Insomma, dopo aver trionfato in tutta Europa, c’è un altro campionato europeo in cui l’Italia primeggia, anche se non vince la medaglia d’oro. Peccato, però, che sia una competizione per cui c’è poco da sbandierare. Parliamo del numero di procedure di infrazione avviate dalla Commissione europea. Un dato che tocca picchi inattesi, tra annose questioni trascinate e nuovi problemi che si aggiungono.

In totale, esattamente dal 2012 al 2020, queste mancanze nel recepimento di indicazioni da Bruxelles sono costate alle casse italiane qualcosa come 752 milioni di euro. Perché dopo una serie di ammonizioni (le procedure di infrazione, appunto) da parte dell’Ue, arrivano le multe comminate dalla Corte di giustizia.

Nemmeno l’arrivo di Mario Draghi a Palazzo Chigi ha invertito la rotta. Anzi, dati alla mano, si è registrato un grave peggioramento: a fine settembre (ultimo dato disponibile al momento di andare in stampa), con un’infornata di nove «bacchettate» dall’Ue, sono salite a 97 le procedure pendenti. Una cifra record, mai vista negli ultimi cinque anni, dal 2016, cioè da quando vengono regolarmente conteggiate. Il raffronto con gli altri Paesi è impietoso: l’Italia è seconda, insieme alla Grecia, e alle spalle solo della Spagna del socialista Pedro Sánchez, che in questo caso veleggia a 107 procedure. Per capire l’entità del disastro, basti pensare alla tanto vituperata Polonia, a capo del gruppo di Visegrád, che si ferma a 91.

E ancora: l’Ungheria di Viktor Orbán è a quota 58. Non incoraggia nemmeno il paragone con altri Paesi, come Francia e Germania, appaiate a 75, ed è umiliante la «sfida» con la Danimarca che fa tre volte meglio dell’Italia con appena 32 procedure. Una sequenza di numeri che rappresenta un’onta per l’esecutivo super europeista, guidato da un presidente del Consiglio che ha l’Unione europea nel suo Dna culturale.

Eppure quando Draghi si è insediato a Palazzo Chigi la cifra era di 81 infrazioni. Il risultato chiama in ballo Vincenzo Amendola, peso massimo del Pd, sottosegretario per Affari europei, che alla Presidenza del Consiglio ha portato con sé una pattuglia di collaboratori che costa oltre 200 mila euro all’anno.

Ma com’è possibile un quadro così deficitario? «L’aumento delle infrazioni è in parte motivato dai ritardi accumulati nel corso degli anni precedenti nel recepimento delle direttive europee e, soprattutto, dai rinvii causati dalla necessità di affrontare l’emergenza Covid. La tendenza però è già stata invertita» dice a Panorama Massimo Condinanzi, coordinatore della struttura di missione per le procedure di infrazione, che opera sotto la responsabilità politica del sottosegretario. «Entro l’8 novembre» garantisce «vanno in approvazione definitiva i testi dei decreti legislativi che danno attuazione all’ultima legge di delegazione e che permetteranno, dopo la valutazione della Commissione, di chiudere ben 26 procedure. Ha poi ricevuto il via libera in Senato la legge europea che condurrà all’archiviazione di altre 12».

Certo, le responsabilità non sono ascrivibili soltanto al governo Draghi. Le ecoballe in Campania, per esempio, pesano un bel po’ sulle casse italiane, da oltre sei anni. Stando alla relazione della Corte dei conti, infatti, l’emergenza rifiuti campana è costata, dal 2015 al 2020, 217 milioni di euro fino alla fine dello scorso anno. Ma sono ancora più costose le discariche abusive sul territorio nazionale, per cui lo Stato italiano ha dovuto saldare sanzioni pari a 232 milioni di euro. Insomma, sull’ambiente il nostro Paese non va per niente bene: altri 101 milioni sono andati in fumo per pagare il conto dell’infrazione sulle acque reflue. E così via. Per fortuna non tutte le infrazioni arrivano al pronunciamento di condanna. Ma in futuro altre rischiano di raggiungere il punto di non ritorno, quello che appunto costringe l’Italia a versare fior di quattrini. La questione ambientale è il capitolo su cui pende il maggior numero di procedimenti: ben 19 su 97, il 20 per cento del totale. L’Ue contesta all’Italia il «mancato completamento della designazione dei siti della rete Natura 2000».

Non solo. Ci sono altre questioni aperte come le «disposizioni volte a prevenire e gestire l’introduzione e la diffusione delle specie esotiche invasive». Uno strumento utile per tutelare l’equilibrio degli ecosistemi. In alcuni casi, poi, viene tirata in ballo la salute degli italiani: Bruxelles ricorda di intervenire sulla cattiva applicazione della direttiva per avere «un’aria più pulita in Europa, per quanto concerne i valori limite per il PM2,5 (le famigerate polveri sottili, ndr)».

In Parlamento la vicenda non è passata inosservata. «Le procedure di infrazione sono una conseguenza del modo distratto con cui stiamo in Europa» spiega a Panorama Rossella Muroni, deputata della componente ambientalista FacciamoEco, che aggiunge: «Contribuiamo a far approvare direttive e regolamenti che poi non applichiamo in casa a discapito di salute, qualità ambientale e buona economia, con costi salati per i contribuenti».

Ma, talvolta, questa va considerata una fortuna. «Dobbiamo ringraziare l’Ue» conclude Muroni «se abbiamo norme importanti come quelle per la qualità dell’aria o per l’economia circolare. Ora che tutti parlano di transizione ecologica sarebbe il momento giusto per dare piena operatività alle normative Ue». Dopo l’ambiente, al secondo posto tra i capitoli colpiti da infrazioni, ci sono gli affari economici e finanziari (13), a seguire le voci trasporti (9) e, immancabile, quello della giustizia (8). L’Italia è finita sotto la lente di ingrandimento dell’Ue, tra le altre cose, sulla questione che riguarda «aspetti dei contratti di fornitura di contenuto digitale e di servizi digitali», norma che si pone l’obiettivo di garantire «ai consumatori un migliore accesso ai contenuti e agevolare la fornitura delle imprese». Un’annotazione è poi pervenuta da Bruxelles sul tema della «promozione di veicoli puliti e a basso consumo energetico nel trasporto su strada», che riguarda, manco a dirlo, la tanto menzionata transizione ecologica.

Un altro problema sul tavolo incrocia sia l’aspetto economico che quello della sicurezza. Il governo non ha recepito la direttiva «relativa alla prevenzione dell’uso del sistema finanziario a fini di riciclaggio o finanziamento del terrorismo». Questioni nuove che si sommano a quelle datate, come la direttiva che chiede una maggiore «qualità dell’acqua destinata al consumo umano» in merito ai valori di arsenico, o la direttiva che cerchia in rosso gli eccessi di precariato in Italia nella settore pubblico. Non meno rilevante è la mancata ottemperanza della direttiva sulla «lotta contro l’abuso e lo sfruttamento sessuale dei minori e la pornografia minorile». Un campionario vasto.

Il deputato de L’Alternativa C’è, Pino Cabras, punta il dito anche contro la gestione della pandemia: «Pensiamo al Green pass, concepito come uno strumento di regolazione comune nell’Ue. Ma solo in Italia è stato adottato in maniera più restrittiva, con la motivazione di una richiesta europea. Invece, laddove ci sarebbe da mettere mano a meccanismi più burocratici, per superare problemi decennali, si registrano risultati insufficienti». Bocciatura totale, dunque.

Tanto che sarebbe il caso di cambiare il canonico ritornello di «ce lo chiede l’Europa» in «ce lo dice l’Europa». Va a finire che così qualcosa potrebbe cambiare nel conto delle procedure.

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