Consegne mai avvenute, restituzioni labirintiche di prodotti difettosi, concerti saltati e servizi fantasma. Non sempre gli acquisti online vanno a buon fine. E, in questo caso, ci si trova spesso in una specie di giungla. Cosa fare, allora? Ecco le piattaforme a cui rivolgersi per provare a far valere le proprie ragioni. Ma non sempre ci si riesce.
Se anche la Commissione europea è intervenuta, vuol dire che il problema è importante. Finché tutto fila liscio, gli acquisti online sono un paradiso. Il pacco arriva a casa e basta un clic per prenotare un bed&breakfast all’altro capo del mondo. Ma quando il meccanismo si inceppa, sono guai.
Rivalersi sul venditore è talmente complicato che uscirne soddisfatti è una fortuna. Saltano intere giornate nel tentativo di dialogare con un call center che non sa nulla della vicenda e talvolta parla un italiano stentato, si viene risucchiati da trafile burocratiche e ci si impantana in cavilli legali che farebbero perdere la pazienza anche a un monaco tibetano. Lo scopo è chiaro: indurre il cliente a mollare la presa, perdendo merce e soldi. Il fenomeno dei reclami per gli acquisti online è dilagato durante il lockdown, quando internet ha conquistato anche tra i più restii alle tecnologie.
Così Bruxelles ha ideato la piattaforma Odr (Online dispute resolution), varata nel 2016 per la risoluzione delle controversie online, aggiungendo l’opzione della negoziazione diretta in alternativa all’intervento di un mediatore, con la promessa di risolvere in tempi rapidi, problemi e disguidi, ed evitare le lunghe trafile giudiziarie. Acquirente e venditore, anche se di nazionalità diversa, hanno tre mesi di tempo per dialogare in chat e venire a capo delle questioni.
L’iter è volontario. Se l’azienda rifiuta il dialogo oppure non si arriva a un accordo, intervengono le associazioni dei consumatori, se le parti sono italiane o l’Esc-net Italia, il Centro europeo consumatori Italia, se l’azienda ha sede in un Paese Ue. Fino ad arrivare al decreto ingiuntivo europeo. Questa procedura, varata a settembre 2020, nei primi mesi ha totalizzato 3.592 consumatori. Una goccia nel deserto. Innanzitutto perché questo meccanismo si basa sulla buona volontà del venditore, che non è propriamente diffusa. In base alle statistiche della Commissione europea, il 21% per cento dei consumatori ha problemi con gli acquisti online.
Alcuni dati aiutano a capire l’entità del business. E dove ci sono i soldi proliferano i furbetti. L’e-commerce rivolto a consumatori finali in Italia ha un giro d’affari di circa 30,6 miliardi (secondo l’Osservatorio eCommerce B2C) di cui 7,2 miliardi riguardano l’acquisto di servizi (l’11% del mercato complessivo) e 23,4 miliardi l’acquisto di prodotti (l’8% del mercato). Sono oltre 20 milioni coloro che comprano online almeno una volta al mese e circa la metà lo fa dallo smartphone
È un mondo che viaggia a grande velocità per il numero di aziende coinvolte, ma che è contraddistinto da tempi pachidermici quanto a tutela del consumatore. Come se tutto ciò che è online fosse garanzia di efficienza e sicurezza. Rivolgersi alla piattaforma europea per i reclami è una sorta di ultima spiaggia che riguarda casi eclatanti quando ci sono in ballo somme di un certo rilievo, come vacanze rovinate, resi di oggetti danneggiati, o hotel di livello inferiore a quello pattuito. Per altre situazioni è una vera giungla. Chi è stato beffato si trova alle prese con call center che non rispondono o richiedono la compilazione di moduli spesso in inglese o promettono di risolvere la questione ma lasciano il cliente in un limbo senza fine.
I siti delle associazioni dei consumatori forniscono assistenza e modelli di diffida, da inviare al venditore. Ma questo spesso fa spallucce, temporeggia e sa che gran parte dei clienti si rassegna a rinunciare alle proprie legittime pretese, sfiancato da rinvii e lunghe procedure tutte online. Durante il lockdown molti concerti sono stati rinviati ad altra data ma talvolta con un’étoile diversa, nel caso di balletti. Il rimborso del biglietto è impresa ciclopica. Spunta sempre qualche «noticina» a fondo piattaforma di vendita, che diventa dirimente per bloccare il rimborso. Chi vuole spiegazioni deve rassegnarsi a mandare una richiesta nell’apposita casella, dove riceve solo risposte standard.
Casi molto frequenti, che tentano di aggirare le norme sulla garanzia europea, come segnalato dal presidente del Codacons, Gianluca Di Ascenzo, sono quelli di venditori con sede in Paesi extra Ue che di fronte ai reclami dicono di non sottostare alle norme europee. In realtà la legge sulla garanzia si applica a tutti coloro che hanno rapporti con destinatari nell’Unione. Accade anche che l’azienda straniera sostenga di aver affidato l’oggetto a una società per il recapito in Italia, sollevandosi da qualsiasi responsabilità se l’acquirente non riceve nulla e reclama il rimborso.
Frequente la situazione di chi, per una mancata consegna, chiama il servizio clienti, ma non riesce a parlare con qualcuno. E se cerca di capire che sta accadendo, controllando nella casella della tracciabilità online, spesso si trova di fronte a dati falsi come tentativi di consegna mai avvenuti o addirittura il rifiuto da parte del destinatario. Ci sono aziende che «giocano» sulle diverse taglie estere per mettersi al riparo dalle contestazioni. Il Codacons riferisce di una donna che aveva acquistato un paio di stivali numero 37, ma aveva ricevuto il 38.
Alla richiesta della sostituzione si è sentita rispondere che la misura era cinese e per il cambio avrebbe dovuto pagare un extra. Peccato non esista alcuna «taglia 38 cinese». Di fronte alla contestazione, l’azienda è scomparsa. Il presidente dell’Udicon, altra associazione di difesa dei consumatori, Denis Nesci, ha seguito il filone dei siti-fantasma che assomigliano a portali molto noti. Dopo che l’acquirente ha fatto l’ordine, scompaiono.
Intraprendere un’azione giudiziaria per rintracciare aziende spesso senza sedi fisiche richiede tempo e denaro. Al malcapitato non resta che rassegnarsi della trappola con la consapevolezza che ci cadrà ancora. Gli acquisti online sono diventati, per molti servizi, una scelta obbligata. Meglio scegliere sempre piattaforme conosciute.
