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Prevista una recessione come quella del ’29, ma che dovrebbe durar poco

Prevista una recessione come quella del ’29, ma che dovrebbe durar poco

La rubrica: Portugal Street

Nonostante la crisi che incombe sulla nostra economia, occorrerebbe agire subito con interventi di carattere strutturali. Adattando il sistema alle mutate condizioni del mercato del lavoro.


La settimana scorsa si sono svolte a Washington le consuete riunioni del Fondo Monetario (Spring Meetings) che hanno aggiornato lo stato dell’economia mondiale nell’epoca della crisi Covid-19 e del Great Lockdown. Le previsioni e le analisi prodotte evidenziano pesanti cadute del Pil e una generalizzata esplosione della disoccupazione.

Si prospetta per il 2020 una grande recessione mondiale che assomiglia sempre di più a quella del ’29 o a quella che seguì la Seconda guerra mondiale per intensità, anche se la sua durata nel tempo appare ridotta, se è vero che già nel 2021 si stima un forte rimbalzo della crescita (tuttavia soggetta a molte condizioni). Le analisi del Fondo monetario (Fmi), in coerenza anche con quelle che sta producendo l’Ocse, prevedono che la recessione potrà minacciare la stabilità finanziaria e avrà un impatto pesante sui mercati del lavoro.

Nel primo caso è probabile forte stretta creditizia, disinvestimenti massicci, mancanza di liquidità che metteranno sotto stress banche e imprese. Da qui la raccomandazione ai governi e alle banche centrali di immediata e massiva immissione di liquidità nel sistema. Un messaggio che in Italia sembra solo parzialmente accolto, se è vero che a fronte di uno stanziamento finanziario molto notevole, rimangono farraginosi sia i meccanismi di concessione/erogazione sia quelli di restituzione del credito. Peraltro, non sono ancora stati previsti, al contrario degli altri Paesi, meccanismi di ristoro a fondo perduto, necessari in questa fase per salvare il tessuto delle piccole e medie imprese.

I numeri forniti per il mercato del lavoro sono impressionanti. Pure con le differenze di rilevazione che abbiamo già più volte evidenziato tra Paesi, in circa un mese gli Stati Uniti hanno registrato un aumento nelle richieste di sussidi, e quindi nei disoccupati, di 22 milioni. La stima del Fmi è di un tasso di disoccupazione che crescerà nel 2020 dal 3,5 al 10,5%. L’Eurozona raggiungerà anch’essa questa cifra, anche se con notevoli divergenze: in Germania rimarrà sotto il 4%, in Francia supererà il 10%, in Spagna salirà oltre il 20%, in Grecia raggiungerà quasi il 23%, in Italia quasi il 13%. Ciò che preoccupa è che la crisi sta producendo un rapidissimo deterioramento delle condizioni generali del mercato del lavoro, soprattutto negli agglomerati urbani, nelle regioni con un alto tasso di turismo e nelle aree con un elevato tasso di dipendenza dall’export.

Il ritorno alle condizioni precrisi potrebbe essere molto lento e, quindi, con il possibile ritorno della disoccupazione di lunga durata. Per questo motivo le strategie adottate per fronteggiare la crisi sono molto simili: meccanismi di integrazione salariale, sussidi ai disoccupati, sostegno alle imprese, particolarmente a quelle piccole. Molto si confida sul ruolo che potranno svolgere i governi regionali e locali, più vicini al territorio e, di conseguenza, più rapidi nell’offrire interventi di sostegno e nel compensare le perdite in alcune aree di mercato del lavoro con guadagni in altre.

Infine, massima attenzione viene data alla capacità delle politiche attive nell’accompagnare i processi di riorganizzazione sia per quanto attiene all’incrocio tra domanda e offerta sia per quanto attiene alla formazione e qualificazione dei lavoratori. Queste le strategie globali. In Italia le politiche adottate dal Governo appaiono coerenti con queste indicazioni: sostegno al reddito dei lavoratori, dipendenti e autonomi (cassa integrazione e indennità), attenzione ai mercati del lavoro locali (cassa integrazione in deroga), aiuto a tutti quei contratti di carattere temporaneo che soffrono da lockdown.

Tuttavia, questa situazione perdurerà per diversi mesi, forse per alcuni segmenti del mercato del lavoro anche per qualche anno, e il solo rifinanziamento del sistema di ammortizzatori sociali in corso potrebbe non essere una soluzione efficiente per affrontare questa nuova disoccupazione. Piuttosto che «congelare» il sistema, rinviando alla fine della crisi la sua riforma/riorganizzazione, si dovrebbe intervenire con alcuni primi interventi a carattere strutturale, adattandolo alle mutate condizioni del mercato del lavoro.

Molte sono le ipotesi sul tavolo, da quella avanzata più volte a partire dal Libro Bianco del 2002 sul mercato del lavoro (ancora attuale) di un sistema su tre pilastri a quella proposta in tempi recentissimi basata su una diversificazione per tipologie di crisi. Si tratta, in ogni caso, di privilegiare sistemi con contribuzione, anche bassa, e fondati sul lavoro, lasciando ad altri interventi di welfare il sostegno delle condizioni di non lavoro. L’importante è agire e non rinunciare alla progettazione di un sistema più moderno e adatto a rispondere alle crisi e alle trasformazioni in atto.

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