I centri per l’impiego, i navigator e l’Anpal (Agenzia Nazionale per le politiche attive) potrebbero tornare utili per varare un programma per far incrociare domanda e offerta. Attraverso una collaborazione fra pubblico e privato.
L’impatto della crisi racconta, laddove i dati vengono rilevati in tempo reale, di un aumento vertiginoso dei sussidi di disoccupazione e delle persone in cerca di occupazione. Un fatto previsto e di cui difficilmente non si può non tenere conto nella fase di costruzione delle politiche contro la crisi e nella definizione delle azioni necessarie per aiutare la ripartenza.
Questa è la ragione per cui oggi, così come nella crisi del 2008-2009, è necessario dispiegare alla massima potenza il sistema di ammortizzatori sociali (cassa integrazione e indennità di disoccupazione) con l’obiettivo di tenere in vita il rapporto tra lavoratore e impresa. Certo, proprio per l’eccezionalità di questa crisi, sarebbe opportuno che i processi amministrativi di validazione ed erogazione degli assegni fossero semplificati e accelerati.
Centralizzare tutto sulla poderosa macchina amministrativa dell’Inps determina un ritardo naturale di questi processi. Utilizzare strumenti esistenti che si fondano su procedure complesse e dettagliate non aiuta nel contrasto alla crisi. Ecco perché si dovrebbe fare affidamento molto di più sul complesso di attori istituzionali e della società civile nonché predisporre un unico strumento per gestire le crisi aziendali.
Soprattutto occorre non rendere complicata la vita delle imprese. Ulteriori interventi a favore delle persone devono essere indirizzati sulle reti locali di protezione sociale, lasciando libero l’Inps di svolgere le sue funzioni istituzionali e i nuovi compiti assegnati dal cosiddetto «Cura Italia». Nondimeno, pure in una situazione di emergenza quale quella che stiamo attraversando, vi sono dinamiche del mercato del lavoro su cui puntare per creare nuovi posti di lavoro e anche per progettare quello che potrà essere l’occupazione nella fase di transizione.
Dati in arrivo dai territori evidenziano come tutta la grande distribuzione, al pari del settore agroalimentare, sia alla ricerca di occupati, con diverso livello di professionalità; la ristorazione sta impostando un filone di attività basato sulla distribuzione a domicilio; tutte le attività stanno implementando le piattaforme digitali per lavorare in remoto; i servizi legati alla persona stanno conoscendo una crescita esponenziale così come tutto il settore delle pulizie.
In sostanza vi è, come in tutte le crisi, una asimmetria del mercato del lavoro che deve essere però sfruttata per alleviare il peso sul sistema degli ammortizzatori sociali. Oggi, peraltro, siamo in condizioni di meglio conoscere in tempo reale queste dinamiche. La trasparenza del mercato del lavoro, grazie alle informazioni in possesso del sistema pubblico e alle piattaforme utilizzate dal sistema privato, ci mette in condizioni di aiutare l’incrocio tra domanda e offerta di lavoro.
L’ingente investimento pubblico fatto con il reddito di cittadinanza sui centri per l’impiego, sui cosiddetti navigator, sull’Agenzia Nazionale per le politiche attive (Anpal), deve ritornare utile in questa fase. Per questo sarebbe utile varare dalle prossime ore un complesso piano di politiche attive, adatte all’epoca del Covid-19, che implementi i meccanismi dell’incrocio tra domanda e offerta, promuovendo una attiva collaborazione tra pubblico e privato al servizio delle imprese che cercano personale.
Ciò permetterebbe di fare fronte alla difficoltà di reperire nuova occupazione denunciata da molti settori, in primis agricoltura e distribuzione; garantirebbe una offerta maggiore di prodotti (con meno pressioni sui prezzi) e una apertura più lunga dei punti di vendita (alleggerendo il carico di lavoro sugli attuali lavoratori); offrirebbe la possibilità di avere un reddito (o una integrazione di reddito a molte famiglie).
Contemporaneamente, l’Anpal potrebbe predisporre la strumentazione per piano di formazione e riqualificazione della forza lavoro, differenziati per settori e territori, in maniera da potere preparare i lavoratori a quelle competenze di base che scuramente saranno richieste nella prossima fase di attività produttiva. Affiancandosi, anche in questo caso, agli strumenti di cui dispone il privato, si costruirebbero già oggi quelle condizioni necessarie per non fare rimanere per un periodo prolungato le persone dipendenti da ammortizzatori sociali (con riduzione di reddito).
Le politiche attive del lavoro sono un arnese prezioso della cassetta degli attrezzi necessaria per ripartire. Anche nella fase di crisi, anzi soprattutto nella fase di crisi, devono svolgere un ruolo anticiclico e proattivo. Non possiamo disperdere capitale umano: e non possiamo passare a una società basata sull’assistenza e non più sul lavoro. Un esito, ancora una volta, tutto e solo italiano.
