La politica nelle prossime ore dovrà evitare che la crisi inneschi una massiccia perdita di occupazione, soprattutto nelle micro imprese e piccole imprese che sono quasi il 90 per cento dell’apparato produttivo del Paese.
Il 2019 è stato per l’Italia l’anno in cui si è raggiunto il massimo degli occupati: 23,4 milioni di unità. Un risultato reso possibile dalla maggiore flessibilità raggiunta in questi anni dal mercato del lavoro, da una ripresa debole ma continua durante tutto l’anno , da maggiori ingressi nel mercato del lavoro. Dinamiche che saranno attentamente studiate nei prossimi mesi per capire se il mercato del lavoro italiano è strutturalmente cambiato oppure se si è trattata solo di una fase transitoria. Certo i dati ci indicano anche la quantità di lavoro è ancora inferiore a quella del 2008, l’anno in cui ebbe inizio la Grande Depressione e che vi è un diffuso utilizzo di part-time, molto involontario. Nondimeno, si deve osservare che è meglio avere più occupati, anche a minori ore, piuttosto che disoccupati o inattivi. Una considerazione ovvia ma che a volte i nostri più acuti analisti sottovalutano. Il problema dell’Italia continua ad essere quello di un Paese a basso livello di occupazione e su questo occorre intervenire facendo entrare più persone possibile nel mercato del lavoro.
Tutte queste considerazioni oggi però sono spazzate via da una crisi senza precedenti che avrà pesanti ripercussioni sull’occupazione. Su un inizio di anno caratterizzato da una progressiva riduzione di occupati, coerente con la significativa caduta dei ritmi produttivi, si è innestata la crisi Covid-19 i cui effetti più veri saranno conosciuto una volta che sarà terminata l’emergenza sanitaria. Prima di allora è difficile fare scenari fondati perché la variabile essenziale di questa crisi è il tempo: il tempo della emergenza sanitaria in Italia, il tempo della emergenza sanitaria in Europa e nel mondo, il tempo con cui si ritornerà a normali stili comportamenti sociali e produttivi, il tempo con cui verranno ricostituite le risorse economiche delle famiglie. Un dato deve essere infatti chiaro. Nel breve periodo la nostra società sarà più povera e probabilmente meno incline a spendere, o comunque a riprendere i livelli di consumo pre-crisi (che già non erano brillanti).
Di questo la politica deve tenere conto nelle scelte che assumerà nelle prossime ore. In particolare, guardando al mercato del lavoro, dovrà evitare che la crisi inneschi una massiccia perdita di occupazione, soprattutto nelle micro imprese e piccole imprese -che ricordo sono quasi il 90 per cento dell’apparato produttivo del Paese-; dovrà evitare che la chiusura forzata delle attività produttive riferite al commercio, al turismo, alla ristorazione determini licenziamenti o fallimenti degli esercizi stessi; dovrà evitare che il precipitare della situazione economica impoverisca una ampia fascia della popolazione italiana. La crisi del 2008 ha prodotto la quasi dissoluzione della classe media ed un profondo mutamento della geografia territoriale delle nostre città. Ha aperto uno squilibrio forte tra quelle che una volta chiamavamo “classi sociali” perché la risposta è stata molto buona nell’emergenza (utilizzo massiccio di ammortizzatori sociali; sostegno alle imprese; nessun sacrificio eccessivo su previdenza, assistenza e sanità) ma è mancata nei sistemi di riequilibrio di medio-lungo periodo.
Non si deve commettere ora lo stesso errore in una situazione che nell’immediato è molto più difficile. La risposta necessaria è quella di utilizzare in maniera massiccia e diffusa gli ammortizzatori sociali, qualsiasi sia la forma di lavoro che dobbiamo tutelare perché si deve assolutamente evitare la perdita dei lavoratori o delle lavoratrici e anche la caduta eccessiva di reddito; di sostenere con tutti gli strumenti la liquidità delle imprese, anche quelle micro e dei lavoratori autonomi, in maniera tale che il flusso finanziario tra i diversi attori non si blocchi; di aiutare le famiglie con tutti gli strumenti possibili perché si deve permettere alle donne di non scegliere tra lavoro e famiglia sapendo che la loro uscita dal mercato del lavoro è quasi irreversibile. Le scelte di queste ore devono evitare che il mercato del lavoro collassi e che ci troviamo tra qualche settimana migliaia di persone in fila per chiedere un reddito di cittadinanza e un sostegno monetario per uscire dalla povertà. Per ripartire dobbiamo preservare il lavoro, a qualsiasi costo.
