Il Covid-19 indurrà molte imprese italiane a riportare in patria le linee produttive che avevano spostato all’estero. Un fenomeno che potrebbe avere effetti positivi sull’occupazione e sulla stabilità del mercato interno.
Con la mancata azione socialmente solidale, nei primi giorni di crisi da coronavirus in Italia, l’Unione europea si è autocondannata a sopravvivere per mera utilità mercantilistica anziché evolversi davvero in una comunità di destini. Da sola ha creato più danni per il nostro futuro comune di quanti ne possa imputare a decine di Viktor Orban.
Se l’Ue vorrà rimanere minimo comun denominatore economico, dovrà indurre presto le capitali del continente a rivedere l’efficienza e la stabilità istituzionale, ma soprattutto la condivisione di responsabilità per eliminare la possibilità che un Paese si indebiti rimanendo ostaggio finanziario di un altro Stato. Una situazione che sarà accentuata per l’Italia nei confronti della Germania nella fase immediatamente successiva alla crisi del coronavirus. Nuovi prestiti, per quanto contratti a condizioni ritenute normalmente vantaggiose graveranno sulle future capacità di manovra dell’Italia.
Pertanto sul medio termine i governi nostrani devono trovare l’assetto di alleanze necessario per riscrivere le regole della convivenza economica. Sul breve termine, invece, solo una decisa ristrutturazione del potenziale economico potrà mantenere il Paese al riparo dagli appetiti speculativi del mondo finanziario internazionale. La stabilità futura si deve basare sulle capacità di ripresa garantite da una strategia di sostegno che riduca al minimo la burocratizzazione, faciliti l’apertura di attività d’impresa con controlli amministrativi ex post in modo da liberare il potenziale economico della micro imprenditorialità, favorisca la digitalizzazione della società e ricollochi il sistema-Paese in posizione di vantaggio comparto.
La chiusura forzata delle aziende cinesi ha reso consapevoli le aziende occidentali che la catena di produzione basata sull’elevata specializzazione e la fornitura logistica a livello globale dovrà essere ripensata. L’interdipendenza di diversi settori produttivi da stabilimenti ubicati in giro per il globo ha generato in questi mesi forti ritardi e contraccolpi economici che saranno alla base dei futuri ripensamenti organizzativi del settore produttivo occidentale, anche italiano. Tali ragionamenti, prediligendo la certezza della business continuity, porteranno quasi certamente a un potenziamento dei fenomeni di back shoring o near shoring, cioè del rientro all’interno del territorio nazionale (o nelle sue vicinanze, di numerose attività produttive.
Si tratta di un fenomeno che negli ultimi anni era in crescita e che subirà ora un rafforzamento, anche a causa dei lunghi tempi di attesa ai confini nazionali per ragioni sanitarie, e che avrà conseguenze sulla mobilità di persone e delle merci a lungo termine.
In tale contesto sarebbe sensato se il governo italiano incominciasse a ridisegnare gli scenari economici, collaborando con il tessuto imprenditoriale in maniera assai più stretta e fattiva di quanto avvenuto finora. Il periodo di recessione al quale andiamo incontro, che sarà tanto più pesante quanto prolungata sarà ad autunno la lotta alle fasi di ritorno del virus, farà aumentare la disoccupazione e cadere la domanda estera. I tre fattori messi insieme potrebbero generare forti instabilità sociali.
Un sostanziale fenomeno di ritorno sul territorio nazionale, o all’interno della macroregione euro-mediterranea, di parte delle delocalizzazioni a lungo raggio effettuate nei decenni passati dalle aziende italiane potrebbe aver un effetto positivo sull’occupazione e quindi sulla stabilità del mercato interno a medio termine. In un contesto di profondo riassetto del mercato internazionale sarebbe finalmente auspicabile prendere in esame con urgenza, e sull’esempio di realtà estere comparabili, l’istituzionalizzazione dell’interscambio informativo tra il settore pubblico e imprese, che favorisca il rilancio produttivo, la formazione di una nuova dinamica di sviluppo, il miglioramento delle capacità di reazione economica del sistema Paese e la sua competitività a livello globale.
Una struttura di intelligence economica, che permetta al sistema di sicurezza nazionale di migliorare l’efficacia del mandato affidatogli con la legge 124/2007, favorirebbe una maggiore fluidità dello scambio informativo tra il settore produttivo e le istituzioni, velocizzerebbe l’adeguamento dell’economia nazionale al nuovo contesto geoeconomico internazionale e aumenterebbe la resilienza del Paese di fronte alle nuove minacce asimmetriche del contesto internazionale.
E perché lo schema tenga nella sua interezza urge concentrare in un organo, magari interno al Mise, forti capacità di coordinamento nel settore della guerra informativa passiva e attiva per difendere il sistema-Paese dalle sempre maggiori azioni di propaganda destabilizzatrice provenienti dall’estero.
