Hanno maggiore esperienza e, da un punto di vista professionale, sono più gestibili dei giovani. Dopo i licenziamenti di massa soprattutto tra i dipendenti in età avanzata, le aziende cercano le competenze dei «baby boomer». Un’inversione che sta cambiando ruoli consolidati.
Boomer a chi? Roberto Brazzale, il re del burro, ha creato una startup di sessantenni. Servivano i migliori. Bisognava vendere un nuovo prodotto eccellentissimo. Roba da chef pluridecorati e gioiellerie del gusto. «La Rolls Royce del burro» sintetizza l’immaginifico Brazzale, 61 anni, settima generazione dell’omonimo gruppo leader nella produzione del latte e i suoi derivati. Stabilimento storico a Zanè, nel Vicentino. Trecentocinquanta milioni di fatturato. Mille dipendenti. E una fuoriserie alimentare da lanciare sul mercato. Mancava però una struttura per le vendite a gourmet e pasticcieri, appunto. Persone dinamiche, abili nelle relazioni. Così, Brazzale aguzza l’ingegno: «Sapevo di Alessandro: un amico d’infanzia a Thiene con cui andavo a morose. Era in un momento difficile. Lo chiamo, per poi domandargli a bruciapelo: “Vuoi vendere burro?”. E lui, perplesso: “Ma io ho sempre venduto oro…”. Gli rispondo: “Non avrai problemi. Anche questo burro è un gioiello”».
Il sessantenne Alessandro comincia a lavorare per l’azienda: la più antica del settore caseario in Italia. «Poi, con la stessa logica, è arrivato suo fratello Gino» racconta Brazzale. «Allora, ho capito: la carta d’identità non vale più nulla. I sessantenni sono una ricchezza: coniugano esperienza straordinaria a maggior coscienza. Hanno già vissuto momenti complicati, superando le difficoltà». La trovata diventa quindi strategia, sintetizzata dal motto: «I sessanta sono i nuovi quaranta».
Arriva pure Sonia, con cui il futuro capo azienda marinava la scuola in gioventù. E altri cinque coetanei. Otto assunti a tempo indeterminato negli ultimi tre anni, più alcuni vispi trentenni. «Tutti fior di professionisti. Partite Iva, dipendenti, commercianti, artigiani. Lavoravano in settori in ambasce. O erano stanchi del vecchio impiego». Dunque? «Questa storia» sintetizza Brazzale «dimostra che dobbiamo rovesciare il paradigma. Molti hanno ancora tanta voglia di dare. Motivazioni ed entusiasmo non sono inferiori a quelle dei neolaureati. E avere alle spalle altre esperienze, spesso fa apprezzare ancora di più il lavoro. È un rinascimento».
Insomma, ecco il «brazzalesimo». Comincia la riscossa. Espulsi, bistrattati, esodati. Erano un peso, vittime del giovanilismo. Adesso i sessantenni rinascono. Non l’hanno sperimentato solo a Zanè. La Bmw, ad esempio, ha una linea per qualificati dipendenti over cinquanta. La produttività sale, l’assenteismo scende: miracolo a Monaco di Baviera e dintorni. Altro che rottamazione. Del resto, i giovani non abbondano. E le aziende cominciano a far di necessità virtù. Servono longennials, i longevi del terzo millennio. Pimpanti, sportivi, infaticabili. Del resto, pure il quotidiano Financial Times rivela: negli Stati Uniti, se si escludono le società di social media, l’età media dei fondatori delle start up di successo non è più venti o trent’anni. Bensì 47.
Già, boomer a chi? Anche a leggere i glaciali dati dell’Istat, emerge chiaramente: l’occupazione è trainata da chi ha già abbondantemente sorpassato il dantesco «mezzo del cammin di nostra vita». I baby boomer, quelli nati fino alla metà degli anni Sessanta, sbancano: sia nel numero dei contratti a tempo indeterminato sia nelle ore lavorate. Gli assunti tra i 50 e i 64 anni crescono sempre di più: nel 2012 erano il 27 per cento, ora veleggiano intorno al quaranta. Così, le aziende rivalutano una generazione che, solo qualche anno fa, sembrava da cestinare. E adesso diventa invece determinante per la nostra traballante economia. D’altronde, già nel 2018, per la prima volta nella storia, il numero della popolazione «over sessanta» ha superato gli «under trenta». Le curve demografiche impongono di cercare gente esperta. I giovani scarseggiano. Mentre i diversamente giovani abbondano.
In America, dove adorano codificare i fenomeni socioeconomici, lo chiamano «re-hiring». Ovverosia: la riassunzione di ultra-cinquantenni licenziati qualche anno fa. Ma anche in Italia è cominciato il rinascimento lavorativo decantato da Brazzale. «Ci sono diversi elementi scatenanti» spiega Paolo Gubitta, ordinario di Organizzazione aziendale all’Università di Padova, che da anni studia la tendenza. «Intanto, c’è un allungamento del ciclo di vita professionale, grazie alle innovazioni tecnologiche. Poi, gli ultimi baby boomer e i successivi appartenenti alla generation X sono molto numerosi, invece i Millennials sono in costante declino. Il combinato disposto rende la popolazione sopra i 55 anni un bacino di reclutamento molto interessante. Anche perché sono lavoratori tendenzialmente poco pretenziosi. Sanno di essere a fine corsa e non hanno pretese di carriera difficili da soddisfare. Mentre i giovani, ovviamente, sono più esigenti».
La rivincita dei «longennials» può diventare, tra l’altro, una salvezza per la nostra scassatissima previdenza. L’Italia spende il 16,2 per cento in pensioni, quasi il doppio dei Paesi Ocse. Il futuro è quantomai fosco: assegni sempre più bassi e l’insostenibile peso di pensioni da pagare a chi è ancora impiegabile. «Questa non è gente che chiede di essere parcheggiata» dice Gubitta. «Vuole ancora vivere pienamente. È un delitto considerarli tare da scaricare sul sistema». Certo, non tutti i sessantenni hanno le competenze giuste. «Potrebbero però acquisirle, con una formazione modello Lego: piccoli mattoncini di aggiornamenti formativi, pochi giorni e poi subito al lavoro. Uno stile immediatamente spendibile: orientato a generare competenza, piuttosto che a trasmettere conoscenza». Il professore padovano l’ha già sperimentato, insieme alla Cisl del Veneto, per riqualificare gli operai in alcune aziende della regione: Ferroli, Gabrielli e Baxi. Ovviamente, pure stavolta, dagli Stati Uniti arrivano illuminanti e pluridecorati esempi. Goldman Sachs ha messo a punto il suo «Returnship program», dedicato ai senior: delle 350 persone che hanno completato il programma di formazione e affiancamento durato dieci settimane, circa la metà è tornata a lavorare per la banca d’affari americana.
Il ruolo dei più maturi, ricorda Gubitta, può diventare strategico anche per la formazione dei giovani. Vedi il caso Luxottica, che ha il suo quartier generale ad Agordo, nel Bellunese. Il nuovo contratto integrativo, siglato lo scorso dicembre, rilancia la staffetta generazionale. A chi ha già diritto alle pensione verrà concesso il part time per tre anni, con contributi pieni.Rimanendo in Veneto, c’è la Cometec di Limena, nel Padovano. Si occupa di meccanica di precisione. E ha deciso di puntare sui maturi. Come l’Arpa Lieviti, un’azienda di Ozzano, in provincia di Bologna. Carla Gherardi, la presidente, rivela perché predilige i cinquantenni: «In loro abbiamo ritrovato la dedizione, la serietà e la voglia di lavorare che avevamo noi quando abbiamo mosso i primi passi in azienda». La pensano così anche alla Mr. Kelp di Firenze, una società di pulizie, disinfestazione e giardinaggio. Privilegia assunzioni di chi ha perso il lavoro o ha chiuso l’attività. Lo stesso vale per la Plastic Puglia, azienda di Monopoli, leader mondiale nella produzione di sistemi di irrigazione. Il suo fondatore, il barone Vitantonio Colucci, ha passato settimane lanciando accorati appelli: personale specializzato cercasi. Eppure, niente. Nessun candidato degno. Alla fine s’è proposto Vito, 61 anni, licenziato a febbraio del 2022 da una ditta di legnami. Ed è stato lui il primo assunto del nuovo corso, in ossequio al motto preferito del barone Colucci: «Dalla culla alla bara, ogni giorno si impara».
Il brazzalesimo si diffonde però anche nel pubblico. Un esempio da imitare viene ancora dal Veneto, nel settore sanitario. Una delibera regionale permette di «conferire incarichi di lavoro autonomo al personale medico in quiescenza al fine di garantire i livelli essenziali di assistenza». Mancano quattromila camici. Perciò si è deciso di ricorrere ai pensionati. Come all’Asl di Vicenza. Dove perfino arzilli settantenni affollano le corsie. Perché dovrebbero farsi da parte? A maggior ragione, vista la loro insostituibilità. Del resto, negli Stati Uniti, la patria dell’ultra modernismo, si prepara la sfida per la presidenza. Salvo clamorosi colpi di scena, si scontreranno Joe Biden e Donald Trump. Ottantuno anni l’uscente. Settantasette il suo predecessore. E nessunissima voglia di far spazio agli scalpitanti giovanotti.