Il presidente dell’Autorità portuale, decaduto per incompatibilità, è l’unico ad aver sottoscritto direttamente con Pechino il protocollo per la Via della seta. Un’entrata a gamba tesa avallata dalle istituzioni locali, ma non cosi gradita oltre Atlantico.
La verità sul caso di…. No, non stiamo parlando di Harry Quebert e del celebre romanzo di Joel Dicker diventato una delle più affascinanti e seguite serie tv. Lo strano caso è quello di Zeno D’Agostino, presidente dell’Autorità di sistema portuale di Trieste e Monfalcone, decapitato dall’Agenzia anticorruzione Anac, a causa di una incompatibilità di cariche ricoperte, e diventato oggetto di una sorta di processo di beatificazione collettiva.
Nel capoluogo del Nord-Est, al grido di santo subito, si è unito sotto le stesse bandiere (rosse ovviamente) l’intero arco istituzionale, dai portuali della Compagnia scesi in sciopero in difesa del presidente del porto, alle istituzioni di segno politico formalmente opposto (Il sIndaco forzista Roberto Di Piazza e il Presidente leghista della Regione, Massimiliano Fedriga), sino a all’Arcivescovo di Trieste Gianpaolo Crepaldi.
Per non parlare poi del coro di consensi al processo di beatificazione che si è alzato da tutta Italia, anche da imprenditori portuali, che – come il presidente dei terminalisti portuali, Luca Becce, che ha invitato i presidenti di tutti i porti italiani a dimettersi in segno di solidarietà… Appello caduto, neanche a dirlo, nel vuoto.
Proprio questa levata di scudi per il manager ferroviario e logistico sta sollevando più di un interrogativo. Prima di Zeno D’Agostino, altri cinque presidenti di porti erano incappati in inchieste di Anac e della magistratura, sino ad essere rinviati a giudizio o interdetti immediatamente dai pubblici uffici. Fra loro anche il potentissimo Luigi Merlo, presidente di Genova e finito sotto i riflettori di Atac (tuttora accesi) per i suoi rapporti con il colosso armatoriale MSC di Ginevra. Ma, in tutti questi casi, la reazione si era limitata alle attestazioni generiche di stima e nella rituale «fiducia nella giustizia».
Per Zeno D’Agostino, no. Eppure l’inchiesta di Anac c’è eccome, iniziata nel 2016 e focalizzatasi su due autocertificazioni redatte e firmate di pugno dal presidente D’Agostino ( il 19 agosto del 2015 e il 29 agosto del 2016) nelle quali dichiarava di non avere «incompatibilità» a ricoprire la carica di presidente, benchè ricoprisse già quella palesemente incompatibile di presidente del Terminal passeggeri di Trieste. Peraltro, lo stesso D’Agostino aveva candidato a ricoprire una carica di vertice nel Terminal passeggeri un altro Pd doc, Franco Mariani, già segretario di Assoporti, quando presidente della stessa Associazione dei porti c’era proprio D’Agostino.
La seconda considerazione riguarda la rapidità e la qualità della scelta del commissario chiamato a reggere il timone dell’Autorità portuale decapitata, da parte del ministro dei Trasporti, Paola De Micheli in stretto coordinamento con il collega alle Attività produttive, il triestino Stefano Patuanelli. Al vertice del porto di Trieste è stato chiamato a tempo di record e nel segno di una continuità Mario Sommariva, già segretario della Filt Cgil e specialmente segretario e braccio destro del presidente D’Agostino.
La terza considerazione, forse la più importante, riguarda l’affaire-Cina. Zeno D’Agostino è stato l’unico presidente di porto in Europa a sottoscrivere direttamente con la Repubblica popolare cinese il Protocollo per Belt & Road Initiative (che piace molto ai Cinquestelle), in altre parole quella via della seta made in Pechino che punta a creare teste di ponte commerciali (e non solo) in Mediterraneo.
Una «colonizzazione» a tutto tondo, garantita anche dall’arrivo a Trieste di compagnie cinesi travestite da società ungheresi (come emerso nelle scorse settimane) e dal forte coinvolgimento della Cina (anche attraverso negoziati con operatori triestini come il gruppo Parisi) nello sviluppo di una grande piattaforma merci nuova di zecca proiettata verso i mercati dell’Est europeo. Un’entrata a gamba tesa avallata dalle istituzioni locali, ma forse non cosi gradita a livello internazionale specie oltre Atlantico.
