L’offerta di occupazione delle imprese deve incontrare i circa 660 mila percettori del sussidio «impiegabili»: finora l’azione dei tradizionali centri di collocamento non è stata efficace. «Su questo sono invece specializzate le agenzie grazie a una conoscenza profonda del mercato» dice Rosario Rasizza, a.d. di Openjobs.
È stato un errore affidare ai centri per l’impiego, che non avevano la formazione e gli strumenti adeguati, il compito di ricollocare i fruitori del reddito di cittadinanza, per di più in piena pandemia. Ma il tema è che non si possono mischiare le politiche passive del lavoro, cioè aiutare chi ha bisogno di un sussidio, con le politiche attive, cioè trovare un’occupazione ai 660 mila percettori del Reddito di cittadinanza che sarebbero abili al lavoro». Lo ribadisce Rosario Rasizza, amministratore delegato di Openjobmetis, un’agenzia per il lavoro italiana, l’unica quotata in borsa, con 800 dipendenti diretti e 135 filiali. «La nostra missione è incrociare domanda e offerta di lavoro, un’attività di cui si discute tantissimo in questo periodo e che noi facciamo da anni» sorride Rasizza. «Noi ci occupiamo dell’economia reale, i nostri lavoratori vanno nelle aziende clienti, grandi e piccole. Chi meglio di noi può sapere che cosa il mercato cerca e qual è la vera verità sull’occupazione, la disoccupazione, il lavoro nero? Per questo ci piacerebbe che le agenzie per il lavoro fossero un punto di riferimento per il nuovo governo, vorremmo aiutare il ministro Marina Calderone a comprendere meglio quali sono le dinamiche del lavoro».
Ma che ruolo potrebbero avere oggi le agenzie per il lavoro?
Il nostro settore ha dimostrato di aver trovato un’occupazione a 700 mila persone, senza prendere un euro di sussidi. Penso che potremmo svolgere una parte attiva nell’aiutare anche quei 660 mila abili al lavoro. Conosciamo molto bene il territorio e le esigenze dei nostri clienti: le agenzie per il lavoro hanno in Italia 2.500 filiali e ogni commerciale fa 4 visite al giorno, in media. Significa che quotidianamente entriamo in 10 mila imprese. Si capisce dunque che conosciamo le necessità delle aziende meglio dei centri per l’impiego che non vedono nessuno.
In che modo il governo potrebbe utilizzarvi?
In maniera molto semplice: fornendoci l’elenco dei percettori del Reddito di cittadinanza. Ci bastano nome, cognome, telefono e mail. Così possiamo contattarli, chiedere loro di venire in una nostra filiale, conoscerli, capire che esperienze hanno alle spalle e provare a mandarli a lavorare.
Sembra facile.
Le racconto questo aneddoto: tempo fa ho partecipato a due trasmissioni televisive dove c’erano dei percettori del Reddito. Li ho invitati ad andare nelle nostre filiali, una a Catania e l’altra a Palermo: uno è stato assunto come receptionist in una società di formazione, un altro ora lavora in un grande centro commerciale appena aperto.
Si dice che al Sud il lavoro non c’è: è vero o no?
È vero in parte: va cercato e bisogna sapere come si fa. Mi rifiuto di accettare l’idea che non si possa fare niente, non lo accetto come persona, come imprenditore, come italiano.
Si sostiene anche che molti dei percettori del Reddito abbiano qualifiche troppo basse, magari un passato di lavori in nero che non risultano da nessuna parte.
Intanto lavorare in nero non vuol dire non avere competenze. E poi a noi spesso vengono richiesti lavoratori senza particolari competenze: durante la pandemia molte aziende della grande distribuzione ci chiedevano persone che facessero la spesa al supermercato per noi che eravamo chiusi in casa. Per fare una spesa non occorre alcuna competenza.
Usciamo dal tema Reddito di cittadinanza: dal suo osservatorio come vede il mercato del lavoro?
Stiamo vivendo un periodo molto effervescente. Con alcune novità rispetto al periodo pre-pandemia: oggi una delle prime domande che fanno i candidati è sapere quanti giorni di smartworking sono previsti, la famiglia e gli affetti sono diventati più importanti. Quindi siamo in un mercato fluido, dinamico, che non va costretto da lacci e lacciuoli. Stiamo ancora combattendo con le norme del decreto Dignità che non hanno più alcun senso eppure nessuno osa toccarle per ragioni politiche. Oppure dobbiamo applicare la norma che impone di cambiare il lavoratore in somministrazione dopo che ha lavorato due anni presso un cliente: che senso ha? Il lavoratore ha già un contratto di lavoro a tempo indeterminato con me, è super-blindato, perché deve cambiare azienda?
Quali sono oggi le professioni più richieste, quelle che fate più fatica a trovare?
L’Italia è lunga e stretta e ogni territorio ha le sue caratteristiche: pensiamo al distretto delle calzature nelle Marche, a quello della moda in Toscana, quello del tondino a Brescia e dintorni. Ciò che manca oggi sono le figure specializzate, cioè le persone che hanno un mestiere in mano: dal tornitore al saldatore, dal pasticcere al macellaio, dall’esperto di paghe ai periti elettronici.
Però alcuni di questi lavori non sono più percepiti come qualificanti e gli italiani non li vogliono più fare.
Concordo. La nostra società che si occupa di badanti le trova ormai solo nei Paesi dell’Est. Si tratta di storture. Come la scarsa volontà di cambiare città per trovare un lavoro. Vede, io mi chiamo Rosario e sono nato a Varese: perché i miei genitori sono due migranti che sono venuti in Lombardia a cercare un futuro migliore.
Lei è ottimista sul 2023?
Sono ottimista perché faccio da 21 anni l’imprenditore. Ma battute a parte, le 8 mila imprese nostre clienti con cui ci interfacciamo tutti i giorni ci dicono: «Abbiamo superato il Covid, supereremo anche questa crisi».
