Nel pieno del risiko bancario italiano, si alza il sipario sul dibattito attorno all’utilizzo del golden power da parte del governo. A prendere posizione sono alcuni tra i principali protagonisti del settore bancario e assicurativo, con reazioni diversificate ma tutte centrate sul delicato equilibrio tra mercato, sicurezza nazionale e interessi strategici.
Carlo Messina, consigliere delegato di Intesa Sanpaolo, difende con convinzione l’impiego dei poteri speciali nell’operazione che coinvolge Unicredit e Banco BPM. «L’uso del golden power fa parte del nuovo mondo in cui siamo entrati», ha dichiarato intervenendo al consiglio nazionale della Fabi, sottolineando come oggi la gestione del risparmio debba essere considerata una questione di sicurezza nazionale. «Mi stupisce che ci si sia arrivati solo adesso», ha aggiunto con tono quasi critico verso un ritardo sistemico del Paese nell’adottare questi strumenti.
Messina ha anche espresso preoccupazione per le tensioni che attraversano il sistema bancario nazionale: «Il consolidamento bancario in atto non sta offrendo un’immagine di best practice. La dialettica e l’ostilità in corso rischiano di compromettere l’immagine del Paese». A proposito di Generali, Messina ha chiarito la propria posizione: in caso di un tentativo di scalata da parte di Unicredit, «chiamerei Andrea Orcel e gli direi: fermati». Il manager ha poi ribadito l’intenzione di Intesa Sanpaolo di non forzare la mano su operazioni che potrebbero creare problemi antitrust: «Farei da spettatore anche in quel caso».
Sulla stessa linea, il ceo di Banco BPM Giuseppe Castagna, che ha espresso un giudizio positivo sull’intervento del governo nell’operazione proposta da Unicredit. «Il golden power è uno strumento legittimo, già applicato in passato, e in questo caso mi sembra giustificato», ha detto, riferendosi alle criticità legate alla presenza di Unicredit in Russia. «Il governo ha il diritto di non voler vedere un operatore che fa profitti in un Paese con cui siamo in conflitto politico». Castagna ha poi criticato l’offerta di Unicredit, definendola priva di contenuti valoriali per gli azionisti, e ha rivendicato il diritto di BPM di difendersi, in attesa di un’offerta concreta: «Siamo sereni, ma non disposti a farci prendere in giro».
Più critico nei confronti dell’approccio governativo è stato invece Carlo Cimbri, presidente di Unipol. Hha espresso perplessità sulla partecipazione statale in ambito bancario, in particolare su Mps. «Trovo sbagliato che un governo abbia una presenza stabile e finanziaria in un soggetto bancario. Quando c’è commistione di ruoli, il sistema può non funzionare in modo fluido», ha affermato, mettendo in guardia dai rischi di sovrapposizione tra interesse pubblico e operatività privata.
Il dibattito resta aperto, con visioni anche contrastanti, ma un punto comune sembra emergere: in un contesto internazionale instabile e con la pressione di nuovi equilibri geopolitici, il settore finanziario è tornato ad essere un terreno strategico dove la politica gioca un ruolo di primo piano.
