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Gli aiuti di Stato volano con i più forti

Gli aiuti di Stato volano con i più forti

Germania e Francia salvano con soldi pubblici le rispettive compagnie di bandiera e altre loro multinazionali «colpite» dal coronavirus. Bruxelles che fa? Ratifica le misure dei partner più influenti dell’Unione. Resta un problema: una concorrenza sleale verso imprese magari più efficienti, ma con appoggi politici più deboli…


Lockdown e allentamento. Due termini entrati nel linguaggio comune per indicare due fasi, opposte, della pandemia da Covid-19. Salvo alcune eccezioni, gli Stati europei hanno dapprima contrastato il virus con regole di distanziamento sociale, per poi temperarle al migliorare della situazione. Anche la Commissione europea ha fatto ricorso a una forma di allentamento; alla rovescia, però. Di norma Bruxelles controlla che i singoli governi non aiutino le imprese nazionali con misure fiscali o aiuti diretti distorsivi della libera concorrenza sul mercato. Chiamata a combattere gli effetti del virus sull’economia, la Commissione ha invece cominciato ad allentare le proprie regole. Da un lato ha velocizzato il giudizio sugli aiuti di Stato promossi dai governi, e dall’altro ha dato luce verde dall’altro a una raffica di aiuti a sostegno dell’economia. Vero è anche che, in questi giorni, i 3 miliardi previsti da Roma per Alitalia sono sotto la lente dell’Antitrust europeo proprio perché sostegni a una compagnia che era già in crisi prima della pandemia.

«Un atteggiamento più permissivo è comprensibile» osserva parlando a Panorama Tomaso Duso, direttore del Dipartimento imprese e mercati dell’istituto di studi economici Diw di Berlino. Economista italiano da un quarto di secolo in Germania, il professor Duso spiega che il razionale economico degli aiuti di Stato è che ci sia un fallimento del mercato, «e il fallimento c’è: le implicazioni della crisi del coronavirus sono eccezionali».

Vuoi per la mancanza di credito, vuoi perché non ci sono investimenti o perché molti asset rischiano di perdersi per sempre. «Al tempo stesso la Commissione sta cercando di capire se questi aiuti avranno effetti distorsivi sulla libera concorrenza». Qual è la procedura che Bruxelles segue nel valutare le proposte degli Stati membri? «Di norma, la Commissione appura se esiste un fallimento del mercato, quindi valuta l’adeguatezza della misura a risolvere il problema, infine giunge il giudizio ex ante sulla concorrenza». E seguono un sì pieno, un sì condizionato oppure un no. Ma dal coronavirus in poi «la Commissione ha già detto sì ad aiuti per poco meno di duemila miliardi di euro, tutti con motivazioni ragionevole».

Flessibile ma non per questo poco attenta, la Commissione guidata dalla tedesca Ursula von der Leyen ha comunque imposto delle condizioni generali: come quella secondo cui le imprese beneficiarie di aiuti di Stato non possano distribuire dividendi fino al rimborso dell’aiuto ricevuto, «altrimenti avremmo il paradosso del denaro dei contribuenti utilizzato per pagare gli azionisti di una società». E ci mancherebbe…

Così arriviamo al caso tedesco: bloccata dalla pandemia, ad aprile Lufthansa comunica che sta perdendo un milione di euro all’ora. Privatizzata nel 1997, la compagnia mantiene solidi legami politici con l’establishment tedesco. Nel giro di qualche settimana, il governo della cancelliera Angela Merkel comunica a Bruxelles il suo piano di aiuti di Stato da 9 miliardi di euro a favore del vettore. Una cifra-monstre, pari a circa il doppio di quanto ottenuto in totale dall’altro colosso europeo, Air France-Klm, dai governi francese e olandese. Escluse dal tavolo degli aiuti restano invece quelle imprese senza santi in paradiso, come Ryanair, che non a caso lamenta da settimane la sostanziale improduttività del sostegno a favore dei suoi concorrenti e punta il dito contro gli effetti perniciosi dell’aiuto su un settore già marcato da forti asimmetrie.

Dopo un breve dibattito tra i cristiano democratici della Cdu-Csu e i socialdemocratici della Spd, la grande coalizione ha staccato l’assegno a Lufthansa. I moderati volevano condizionare il prestito a una parziale ri-nazionalizzazione (il 20 per cento) della compagnia, mentre la Spd pretendeva anche un accesso diretto al management aziendale. Hanno vinto i primi. Il professor Duso aveva immaginato un piano diverso: dare vita a un fondo europeo garantito da tutti gli Stati per aiutare tutte le compagnie in difficoltà. E quando il ricorso all’aiuto di Stato si è fatto più concreto, forte del suo ruolo di ex advisor della Commissione Ue, Duso ha suggerito al governo tedesco di non rientrare in Lufthansa con capitale proprio ma di garantire un prestito esterno. Quella trovata alla fine, prosegue l’accademico, «non è la soluzione migliore ma è comprensibile sotto il profilo politico». A 48 ore dalla ricezione della notifica, Bruxelles ha detto sì al piano, a condizione però che il vettore cedesse 72 coppie di slot alla concorrenza a Monaco e a Francoforte, scali dove Lufthansa gode di una posizione di assoluta dominanza. «Condizioni assolutamente ragionevoli» secondo Duso ma respinte dalla compagnia. Si è così aperto un negoziato – «e questo è già capitato altre volte» – fra governo e Commissione per giungere a un nuovo compromesso. La cessione di 24 coppie di slot a compagnie che siano «nuove» in quegli aeroporti o che non abbiano ricevuto aiuto di Stato.

Mossa che mette parzialmente fuori gioco Ryanair, assente a Monaco ma già attiva a Francoforte, e che esclude anche Air France-Klm ed EasyJet, quest’ultima ricapitalizzata per 600 milioni. Condizioni meno gravose per Lufthansa, ottenute grazie al peso politico della Germania in Europa. Il confronto sull’asse Bruxelles-Berlino in materia non è nuovo. Un anno fa l’ex commissaria (poi riconfermata) alla Concorrenza Margrethe Vestager aveva respinto la proposta franco-tedesca per la fusione fra la tedesca Siemens e la francese Alstom, osservando che un simile colosso avrebbe soffocato il mercato europeo delle infrastrutture ferroviarie. Oggi la politica dei «campioni nazionali» sostenuta in primo luogo dal ministro tedesco dell’Economia e uomo di fiducia di Merkel, Peter Altmaier, rischia di rientrare dalla finestra grazie alla crisi del coronavirus.

C’era d’altronde da aspettarselo: nel dare luce verde al Recovery Fund da 500 miliardi, poi salito a 750, Merkel e Macron avevano anche invitato l’Europa a ripensare la politica di concorrenza. Se a prevalere sarà la politica nazionale su quella europea, a rischiare di più saranno le imprese piccole e quelle dei Paesi, come l’Italia, privi della forza della Germania.

Senza contare il rischio di una pioggia di ricorsi da parte di compagnie come per esempio Ryanair. «Chi riesce a uscire dalla crisi sulle proprie gambe non vuole essere punito perché le aziende meno efficienti sono politicamente meglio connesse» conclude Duso. È un momento difficile per la Commissione, che da un lato deve garantire la competizione nel mercato ma dall’altro non può dire di no agli aiuti di Stato. E il caso di Lufthansa è solo quello più macroscopico: Berlino ha anche salvato l’operatore turistico Tui con misure di sostegno da 2 miliardi di euro, e Adidas con 3 miliardi. Aiuti di Stato che di nuovo impensieriscono la commissaria Vestager, colta fra l’incudine della crisi e il martello di aiuti di Angela Merkel.

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